Fedor Dostoevskij, scrittore russo
Fedor Dostoevskij, scrittore russo

 

 

di Giovanna Ognibene

 

Un pomeriggio del declinante dicembre mi sono imbattuta nella replica di un vecchio sceneggiato televisivo (si chiamavano così prima delle infauste stagioni delle Elise di Rivombrosa e compagne). Respingo con fermezza l’accusa di coltivare il pregiudizio artistico per cui bianco e nero significa automaticamente il capolavoro, ma insomma un po’ di nostalgia c’è. Erano I Demoni di Dostoevskij, nella versione televisiva del 1972 diretta da Sandro Bolchi. Mi sono beccata il serrato dialogo tra Petr Stepanovic e Nicolaj Stavrogin, due tra i protagonisti di questo straordinario romanzo.

“I Demoni” già alla mia prima lettura negli anni ’80 mi apparvero un’impressionante lucida disamina del “cuore” del movimento terroristico delle Brigate Rosse. Oggi sono ancora di sconcertante attualità e di forza profetica, perché in fondo infinite possono essere le variazioni ma la linea melodica del cuore umano e delle sue passioni, quella per il potere tra tutte, è sempre uguale.

Così invece di proporne una faticosa ‘traduzione’ critica, ho pensato fosse meglio riportare le parole stesse dello scrittore russo, sfrondandole evidentemente di tutte le frasi irrilevanti per il discorso che Dostoevskij fa al posto mio; risparmio così tempo e anche voi sventurati. Naturalmente un caldo invito a leggere tutto il romanzo, un mattonazzo di circa 800 pagine, ma tutte piene di vita.

Prima due parole di presentazione: Stavrogin è un nobile ricco di doti e possibilità che subisce la fascinazione del male, nel più puro stile luciferino: Il suo “non serviam” vince la nostalgia del bene che tuttavia permane in lui. Appartiene alla categoria del demoniaco eroico affascinante, non a caso è molto bello come il Martin in “La Caduta degli Dei”, film di Visconti del ’69, in cui il regista cita esplicitamente lo Stavrogin nell’episodio dello stupro della bambina.

Petr Stepanovic invece rappresenta il male prosaico, quello che si mimetizza, in fondo piagnucoloso per i propri diritti negati, meschino e bugiardo; incarna l’aspetto furfantesco del demonio, che ritroviamo in altri demoni dello stesso Dostoevskij, di Thomas Mann, Bulgakov: il demonio farabutto, il demonio cialtrone. I due posseduti hanno un legame comune  con Stepan Trofimovic, padre assente di Petr e già aio di Nikolaj. 

Figura di mediocre intellettuale, vanitoso sino a convincersi d’essere perseguitato dal potere per le sue posizioni politiche; in realtà un puro parassita, come riconosce solo nei momenti di verità alcolica. Rappresenta lo spirito libertario e progressista dell’intellighenzia di quell’epoca, mistificatrice e mistificata. Dostoevskij sbaglia solo quando afferma che “il liberalismo superiore” e il “liberale superiore”, cioè il liberale senza nessuno scopo, “sono possibili solo in Russia”.

Forse ai suoi tempi, ma il genotipo si è diffuso nei decenni successivi ed è una pianta infestante anche in Italia, vale a dire l’intellettuale che non si assume la responsabilità delle conseguenze delle sue teorie. Spesso architetti à la page di ardite costruzioni intellettuali del tutto noncuranti se destinate a paurosi crolli. Così D.: “Un tempo di noi si diceva in città che il nostro circolo era un semenzaio di libero pensiero, di corruzione e di ateismo… Mentre non facevamo che le più innocenti, simpatiche chiacchiere liberali, “allegrette” e del tutto russe”.  

Il guaio è che mentre i tanti Stepan Trofimovic di ogni tempo si dilettano a disegnare le loro spirali di Escher, a parlare e immaginare una loro personale Arcadia intellettuale e sociale, i giovani, i  Petr e i  Nikolaj, a loro modo prendono tutto molto sul serio, come faranno le Guardie Rosse di Mao, i Pasdaran e i Talebani, e financo le gretine climatiche. Quelli avevano ed hanno ancora, nel romanzo lo testimonia la parabola di Stepan Trofimovic, legami con la tradizione, un terreno saldo sotto i piedi, questi sono disponibili alle più spericolate acrobazie.

Seguiamo ora come Petr Stepanovic squaderna davanti a Nikolaj i suoi progetti, della cui organizzazione significativamente nulla è sicuro, è incerto se esista un comitato centrale insurrezionale, se esistano altre cellule oltre a quella di cui fanno parte; sicuro è solo che Petr è un farabutto, per sua stessa orgogliosa ammissione, e che sarà l’unico a scampare probabilmente con la cassa.

Non è neppure sicuro se gli obiettivi vengano poi realizzati, di sicuro un omicidio, un grande scandalo e caos: sembrano solo i preliminari, ma in fondo che ne seguano altre azioni finalizzate è accessorio, irrilevante: è la distruzione dell’ordine che dà la sperata ebbrezza: a questa specie di voluttà del potere Petr non sa resistere,  (Maio sono per ora Colombo senza l’America; è forse ragionevole Colombo senza l’America?) ed in una specie di estasi preconizza il futuro, quando le masse, “loro” cadranno nell’inganno.

Per questo gli serve Stavrogin, perché “è bello, superbo, come un Dio che non cerca nulla per sé, con l’aureola del sacrificio, un dio che si nasconde. L’essenziale è la leggenda! Voi li vincerete, li guarderete e li vincerete… E gemerà la terra in un gemito: viene la nuova legge giusta, e s’agiterà il mare, e crollerà la baracca, ed allora penseremo al modo di fondare un edificio di pietra. Per la prima volta! Costruiremo noi, noi, noi soli!”

Secondo il suo sistema

“Ogni membro della società vigila sull’altro ed è tenuto a denunciarlo. Ciascuno appartiene a tutti, e tutti a ciascuno. Tutti sono schiavi, e nella schiavitù sono uguali. Nei casi estremi c’è la calunnia e l’omicidio, ma soprattutto l’eguaglianza. Per prima cosa si abbassa il livello dell’istruzione, delle scienze e degli ingegni.

A Cicerone si taglia la lingua, a Copernico si cavano gli occhi, Shakespeare viene lapidato. Gli schiavi devono essere eguali… Non occorre l’istruzione, basta scienza! Ma bisogna adattarsi all’obbedienza. Al mondo manca una cosa sola, l’obbedienza. La sete dell’istruzione è già una sete aristocratica. Non appena c’è la famiglia o l’amore, ecco già il desiderio della proprietà. Noi faremo morire il desiderio: spargeremo le sbornie, i pettegolezzi, le denunce; spargeremo una corruzione inaudita; spegneremo ogni genio nelle fasce. Tutto allo stesso denominatore, l’eguaglianza perfetta.

Ma occorre anche la convulsione; a questo penseremo noi dirigenti. Gli schiavi devono avere dei dirigenti. Piena obbedienza, piena assenza di personalità, ma ogni trent’anni … anche la convulsione, e tutti cominciano a divorarsi l’un l’altro, fino a un certo punto, unicamente per evitare la noia.

Sapete, ho pensato di dare il mondo al papa. Che venga fuori a piedi e scalzo e si mostri alla plebe … e tutto si precipiterà a seguirlo, come un esercito… Bisogna solo che l’Internazionale si accordi col papa, e così sarà. Il vecchietto consentirà subito. E poi non ha altra via d’uscita.

Ve l’ho già detto: noi penetreremo proprio nel popolo. Sapete che già ora siamo terribilmente forti! Non sono nostri solo quelli che sgozzano e bruciano… Questi disturbano soltanto. Senza la disciplina non concepisco nulla. Perché sono un furfante e non un socialista… Sentite, li ho contati tutto: il maestro che ride coi bambini del loro Dio e della loro culla, è già nostro. L’avvocato che difende l’omicida istruito, dicendo che è più evoluto delle sue vittime e che per procacciarsi del denaro non poteva non uccidere, è già nostro. Gli scolari che uccidono un contadino per provare la sensazione sono già nostri. I giurati che assolvono tutti i delinquenti sono nostri. Il procuratore che trema in tribunale di non essere abbastanza liberale è nostro, nostro.

Da per tutto c’è una vanità di proporzioni smisurate, un appetito bestiale, inaudito… Sapete voi, sapete, quanti ne conquisteremo con le sole ideucce bell’e pronte?

Ma una generazione o due di corruzione ora sono necessarie; d’una corruzione inaudita, volgare, quando l’uomo si trasforma in un rettile abietto, vile, crudele, egoista, ecco che cosa occorre. Ed anche di un po’ di “sangue fresco” perché s’abitui.”

Spesso la profezia presenta questo aspetto curioso, che è presbite, vede male da vicino, ma diviene più chiara man mano che si allontana. E forse è per questo che un’Istituzione accademica ha cassato un seminario su Dostoevskij? Perché slavofilo di circa 150 anni fa, alieno perciò dai nostri valori occidentali? O è stato solo un caso in cui si è combinata un’esplosiva primigenia idiozia con i più bassi istinti di piaggeria?

 


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