La persecuzione dei cristiani cinesi in Cina ed il silenzio del Vaticano in un articolo scritto da padre Mario Alexis Portella, sacerdote della Cattedrale di Santa Maria del Fiore e Cancelliere dell’Arcidiocesi di Firenze, pubblicato su Crisis Magazine, nella mia traduzione.
Lo scorso novembre, Papa Francesco, per la prima volta, ha definito gli Uiguri musulmani della Cina un popolo “perseguitato”, cosa che gli attivisti per i diritti umani lo hanno sollecitato per anni. Tuttavia, durante la sua solenne benedizione Urbi et Orbi la domenica di Pasqua, Francesco ha snobbato gli Uiguri, omettendo accuratamente qualsiasi riferimento a coloro che soffrono le violazioni dei diritti umani sotto il regime comunista cinese, quando ha nominato una serie di paesi, come Libano, Giordania, Siria, Yemen, Iraq, Nigeria e Tigray dove la gente è afflitta da violenza e conflitti.
A parità di condizioni, c’è un gruppo la cui sofferenza il papa argentino non ha ancora riconosciuto: i cristiani cinesi, la cui situazione peggiora di giorno in giorno.
È incredibile che la voce più influente per i cristiani nel mondo sia rimasta in silenzio sulle sempre crescenti persecuzioni cristiane nella Cina comunista.
Come riportato il Giovedì Santo da Radio Free Asia, i funzionari del Partito Comunista Cinese (PCC) stanno detenendo i cristiani in strutture segrete e mobili di “trasformazione” per farli rinunciare alla loro fede. I metodi di lavaggio del cervello includono percosse di routine, indottrinamento e isolamento per indurre all’autolesionismo.
Il cristianesimo è legale in Cina, a condizione che i fedeli si sottomettano all’Associazione patriottica cattolica cinese, fondata nel 1957, riconosciuta dal Vaticano in un accordo provvisorio del 2018, rinnovato nel 2020. Di conseguenza, i funzionari cinesi nominano o stabiliscono i vescovi per la sua chiesa di stato; il vescovo di Roma approva in seguito. Il PCC ne gestisce anche una per i protestanti, la Chiesa delle Tre Sorelle.
Demografia cristiana in Cina
La maggior parte dei cristiani cinesi rifiuta entrambe le istituzioni statali, poiché si sospetta che siano infiltrate da membri del partito comunista, soprattutto perché il clero “statale” è tenuto a usare le sue piattaforme per promuovere l’agenda del regime. Come alternativa, anche se illegale, molti cristiani cinesi scelgono le cosiddette “chiese domestiche”, dove piccoli gruppi si riuniscono per pregare e studiare la Bibbia in case private. Pechino stima ufficialmente che la Cina ospita circa 40 milioni di cristiani. Contando i cristiani delle “chiese domestiche”, tuttavia, gruppi indipendenti ritengono che il numero sia più vicino a 100 milioni di persone, che è più del totale dei membri del PCC stesso.
Il Council on Foreign Relations calcola che la Cina è sulla buona strada per avere la più grande popolazione mondiale di cristiani entro il 2030, con una proiezione di 247 milioni. Uno studio di ricerca Pew stima che nel 2010, la Cina ospita circa 93-115 milioni di protestanti; i cattolici sono circa 12 milioni, anche se non è chiaro quanti di loro facciano parte della “Chiesa sotterranea” che esiste parallelamente a quella di stato. Mentre queste cifre ammontano solo al cinque per cento della popolazione cinese, tra i 10 paesi con la più grande popolazione cristiana, la Cina è al settimo posto.
Questi dati demografici sono allarmanti per il governo cinese perché, secondo il corrispondente del New York Times a Pechino, Javier C. Hernández, il cristianesimo “promuove valori occidentali e ideali come i diritti umani che sono in conflitto con gli obiettivi del governo autoritario della Cina e l’abbraccio del signor Xi della cultura tradizionale cinese e gli insegnamenti confuciani che sottolineano l’obbedienza e l’ordine”. Questa è una delle ragioni per cui il PCC, secondo quanto riferito, applica “stretti controlli” sulle pratiche religiose dei suoi cittadini. Le “chiese domestiche” sotterranee, che non aderiscono alla versione del cristianesimo approvata dal PCC, sono spesso fatte oggetto di radis da parte della polizia e dei funzionari dell’ufficio religioso.
Sessioni di lavaggio del cervello
Un membro di una “chiesa domestica” cristiana nella provincia sudoccidentale del Sichuan, che ha chiesto di essere identificato con lo pseudonimo di Li Yuese, ha detto di essere stato tenuto in una struttura gestita dal Dipartimento del Lavoro del Fronte Unito del PCC, che lavora in tandem con la polizia di sicurezza dello Stato, per dieci mesi dopo un raid nella sua chiesa nel 2018. Il Dipartimento del Lavoro del Fronte Unito, che riferisce direttamente al Comitato Centrale del PCC, “raccoglie informazioni su, gestisce le relazioni con, e tenta di influenzare gli individui e le organizzazioni d’elite all’interno e all’esterno della Cina”.
Li ha detto che la maggior parte dei suoi compagni di detenzione, come lui, erano persone che erano state rilasciate su cauzione durante la detenzione penale per aver partecipato ad attività legate alla chiesa. Poiché non avevano commesso alcuna azione che potesse far scattare un procedimento penale, sono stati arrestati dalla polizia e mandati nelle strutture di “trasformazione” – il parallelo dei campi di “rieducazione” (campi di concentramento) in cui sono detenuti i musulmani uiguri nella regione nord-occidentale cinese dello Xinjiang, dove, oltre alla tortura, sono costretti a sopportare un lavoro disumano e a subire procedure di sterilizzazione forzata.
“Usavano metodi di lavaggio del cervello”, ha detto Li, “su quelli di noi che erano in libertà provvisoria dal centro di detenzione. Era in un luogo segreto, in un seminterrato. Usano metodi davvero subdoli. Ti minacciano, ti insultano e ti intimidiscono. Erano funzionari del Fronte Unito, uomini, donne, a volte non identificati, di solito in borghese. La polizia chiude un occhio su questo…. Non c’erano finestre, non c’era ventilazione e non c’era tempo per uscire. Mi venivano dati solo due pasti al giorno, che venivano portati nella stanza da una persona designata. Non riuscivo a dormire; dopo che sei stato lì dentro una settimana, la morte comincia a sembrare più bella che stare lì. Sbattevo me stesso contro il muro per autolesionarmi”.
La persecuzione dei cristiani in Cina va da tattiche più blande, come offrire ai poveri cristiani cibo o altri incentivi finanziari per sostituire le croci nelle loro case con l’iconografia comunista, a torture estreme e atrocità dei diritti umani inflitte ai cristiani in prigione.
Secondo un rapporto della rivista per i diritti umani Bitter Winter, una cristiana autoproclamatasi membro della Chiesa di Dio Onnipotente – una setta cristiana vietata nel paese – ha descritto anonimamente le tattiche di tortura che ha dovuto subire, come l’essere costretta a stare in piedi per 18 ore al giorno per 14 giorni consecutivi, durante i quali la guardia le ha proibito di andare in bagno e le ha ordinato di mangiare in piedi. Poiché le veniva dato poco cibo, era sempre affamata.
“Il quarto giorno, mentre ero sull’attenti, i miei piedi sono diventati insensibili, sembravano di piombo. Quando andavo in bagno di notte, dovevo muovermi lentamente con le mani che sostenevano le ginocchia. La parte posteriore dei miei piedi e le mie gambe erano tutte nere”, ha detto. “Se rimanevo nella toilette oltre i tre minuti stabiliti, i prigionieri gridavano per sollecitarmi e mi versavano acqua fredda sul corpo. Siccome mi versavano l’acqua più di una volta, le mie scarpe erano sempre bagnate, rendendo i miei piedi ancora più gonfi, così che avevo difficoltà a mettere i piedi nelle scarpe. Anche le mie mani cominciarono ad essere gonfie e insensibili. Avevo sonno e fame, ero stordita e agitata”.
“Nove giorni dopo, poiché non mi è stato permesso di evacuare in tempo, il mio stomaco era gonfio di dolore, così che non avevo appetito, e non potevo dormire bene la notte”, ha detto la donna, ricordando che poiché stava in piedi per molto tempo, le sue mani e i suoi piedi erano terribilmente gonfi. Aveva difficoltà a respirare, ma i prigionieri che la sorvegliavano e controllavano la punivano ancora lasciandola in piedi fino a mezzanotte.
Perché il Vaticano tace?
L’89enne vescovo emerito di Hong Kong, il cardinale Joseph Zen, ha descritto l’intera vicenda come “la cosa più crudele” che il Vaticano abbia fatto riguardo alla Chiesa cattolica in Cina, e “assolutamente contro la dottrina della Chiesa, perché incoraggia le persone a far parte di una Chiesa scismatica”.
Il Vaticano ha rimproverato la critica di Zen su come il Papa ha gestito la situazione di cui sopra – l’anno scorso, Zen ha chiesto di incontrare Francesco, ma il Papa era “molto occupato” e non poteva riceverlo.
Questo porta a chiedersi: perché il Vaticano è rimasto in silenzio su questo?
Nel 2018, la Commissione Esecutiva del Congresso degli Stati Uniti sulla Cina ha riferito che la persecuzione religiosa era già in aumento: le autorità locali cinesi hanno demolito chiese, rimosso croci al posto di simboli comunisti e continuato a detenere il clero che si rifiuta di sottomettersi alla chiesa di stato. Questo è stato accolto con il silenzio.
Va da sé che la Santa Sede vuole stabilire legami diplomatici formali con la Cina comunista, e il Papa non vuole perdere una tale opportunità storica. Ma a quale prezzo, se si stabiliscono relazioni complete?
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