Dopo l’articolo del card. Sarah, che ho pubblicato oggi (qui), ritengo opportuno, riportare il parere di un noto esperto di diritto canonico, Ed Peters, nonché  scrittore, stimato a livello internazionale. Il suo è un contributo utile al dibattito che, come noto, si sta intensificando ad alti livelli.

Eccolo nella mia traduzione.

Foto: Edward Peters, canonista.

Foto: Edward Peters, canonista.

Anche se questo post non è stato causato dalle osservazioni riportate dal cardinal Sarah (qui), secondo le quali ordinare “viri probati” sarebbe una violazione definitiva della tradizione apostolica, la sua (a mio avviso) seria esagerazione di questa affermazione sottolinea quanto sia importante che, in questa materia, tutti ci sforziamo di parlare con precisione, per non dire correttamente, di ciò che è o non è in discussione riguardo all’ordinazione di uomini sposati. Ora, torniamo a questo post come è stato originariamente preparato.

Non c’è obiezione canonica o dottrinale all’ordinazione di uomini sposati per il ministero sacerdotale.

Se abbia senso pratico, tuttavia, ordinare gli uomini sposati è un’altra questione, e se tali ordinazioni possano sminuire l’apprezzamento del celibato stesso come “un dono speciale di Dio” che, infine, Deo Gratias, ha trovato la sua forma nel diritto codificato (Can. 277), è anche un’altra. Entrambe queste preoccupazioni richiedono delle considerazioni approfondite, queste, soprattutto in tempi in cui non si è adusi a fare considerazione approfondite su questioni complesse.

A questo proposito, però, vorrei fare due osservazioni diverse.

1.  Sacerdoti simplex.

Insolito secondo il Diritto Pio-Benedettino (quello del 1917 di Pio X, ndr) (qui)  e praticamente inedito secondo il Codice Johanno-Paulino (quello di papa GiovanniPaolo II del 1983, ndr) (qui)  i cosiddetti “sacerdoti simplex” sono uomini ordinati al sacerdozio ma, nonostante la loro buona posizione canonica, mancano della “facoltà” per esercitare la confessione sacramentale (come richiesto dal Canone 966) e/o per predicare (generalmente presunta, ma soggetta a restrizioni, secondo il Canone 764). I sacerdoti Simplex possono celebrare l’Eucaristia, battezzare solennemente, ungere i malati, catechetizzare i fedeli e svolgere una varietà di incarichi ecclesiastici tra cui quello di pastore associato (o, del resto, di pastore o cappellano, anche se la fattibilità di tali incarichi sarebbe molto discutibile).

In breve, i sacerdoti simplex sono “pienamente sacerdoti” e sono vincolati da tutti gli obblighi clericali, semplicemente non hanno alcune delle autorizzazioni canoniche di cui i sacerdoti hanno bisogno per certe aree di ministero.  Ma avere questo tipo di ministero ristretto, un ministero incentrato sulla celebrazione della Messa e, per esempio, sulla cura spirituale dei bambini e degli anziani (cioè di quelli più colpiti dalle difficoltà della vita nelle regioni remote) significa che i vescovi potrebbero, credo, vedere un loro modo per ridurre il programma di educazione altrimenti vasto richiesto (vedere i canoni 232 e seguenti) agli uomini destinati a un ministero sacerdotale a tempo pieno e onnicomprensivo. In breve, i sacerdoti simplex avrebbero bisogno di meno formazione e meno sostegno diocesano. Ho appena pubblicato un breve articolo sui sacerdoti simplex – vedi Edward Peters, “Il ‘sacerdote simplex’: ministero con un passato, ministero con un futuro”, Fellowship of Catholic Scholars Quarterly 41 (2018) 109-114 – e fornirò un link quando sarà disponibile on-line.

Ora, a proposito di questi obblighi di ufficio…

2 Celibato e continenza sacerdotale

Il canone 277 richiede una continenza perfetta e perpetua, e quindi il celibato (qui), di tutto il clero occidentale. Mentre qualche mitigazione dell’obbligo del celibato è stato introdotto nella nostra vita (ma solo alcune, vedi, ad esempio, Canone 1087 (qui)), nessuna mitigazione nell’obbligo della continenza, un’antica, anzi apostolica, aspettativa in Occidente, è stata introdotta nella legge canonica moderna. La questione della continenza clericale e le sue implicazioni sono state ampiamente discusse da me (e da altri) (leggi qui)  e non ripeterò questa discussione ora.

Basti dire, tuttavia, che nulla di ciò che ho visto a seguito di queste discussioni, inclusa una lettera del 2011 di Card. Coccopalmerio (la cui interpretazione di Amoris laetitia autorizza la santa Comunione per i cattolici divorziati risposati, che ho anche contestato (qui)) mi dissuade dal leggere la legge ora come è stata sempre e all’unanimità letta in Occidente, cioè come esigente perfezione perfetta e perpetua di tutti chierici occidentali, sposati o non sposati

Ma proprio perché qui si parla di ciò che la legge è ora, rispetto a ciò che (secondo alcuni) dovrebbe essere la legge, il Sinodo dell’Amazzonia (qui) (che discuterà, tra l’altro,  anche di questa materia, ndr) deve, credo, confrontarsi con l’obbligo dimostrabile della continenza clericale (ancora una volta, un obbligo distinguibile dal celibato) che ha sempre caratterizzato il ministero ordinato occidentale e, come parte della sua più ampia considerazione dei sacerdoti sposati, simplex o altro, decidere se tale antico obbligo debba essere (1) ripudiato (come è di fatto ora la situazione);  (2) raffinato (come è possibile, ma ad un certo costo); o (3) recuperato (come è stato fatto in altri momenti cruciali della storia della Chiesa).

Questo, o i vescovi da riunire, potrebbe solo calciare la lattina lungo la strada.

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(A beneficio dei lettori del Blog, riporto in italiano il canone 277 (qui):

Can. 277 – §1. I chierici sono tenuti all’obbligo di osservare la continenza perfetta e perpetua per il regno dei cieli, perciò sono vincolati al celibato, che è un dono particolare di Dio mediante il quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e sono messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini.

§2. I chierici si comportino con la dovuta prudenza nei rapporti con persone la cui familiarità può mettere in pericolo l’obbligo della continenza oppure suscitare lo scandalo dei fedeli.

§3. Spetta al Vescovo diocesano stabilire norme più precise su questa materia e giudicare sull’osservanza di questo obbligo nei casi particolari.)

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