VI Domenica di Pasqua (Anno C)
(At 15,1-2.22-29; Sal 66; Ap 21,10-14.22-23; Gv 14,23-29)
di Alberto Strumia
Le letture di questa VI domenica di Pasqua – e in particolare il Vangelo – preparano ad entrare nei prossimi misteri della vita di Cristo:
– l’Ascensione: «Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate»
– e l’invio dello Spirito Santo («lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, Lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto»)
che celebreremo nelle due prossime domeniche.
E così facendo preparano gli Apostoli, i discepoli di allora e, oggi, tutti noi i “cristiani”, ad avere le idee chiare sul passaggio graduale dalla conoscenza di Dio che avviene “indirettamente” attraverso dei “segni” a quella che avverrà “direttamente”, per “esperienza”.
1 – Nella prima lettura gli Apostoli si riuniscono in quello che sarà considerato poi il primo Concilio della storia della Chiesa e diverrà noto come Concilio di Gerusalemme. In esso si chiarì definitivamente che la Salvezza viene “solamente” da Cristo e non dall’attaccamento a vecchie usanze senza le quali Egli non sarebbe in grado di salvare («alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: “Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati”»).
Qui si insegna a capire che non sono le formalità esteriori – allora la circoncisione – “da sole” che “automaticamente” portano un bene, la Salvezza, quasi come fossero dotate di un potere in se stesse tale che Cristo stesso ne dipenderebbe. Questo insegna anche a noi, oggi, a non essere attaccati alle sole forme esteriori dei riti. Queste sono importanti, ma più che in se stesse, lo sono per ciò che in esse è significato, Gesù Cristo Salvatore. È a Lui che vale la pena essere attaccati, più che alle forme: queste ultime ci sono per portare a Lui e non viceversa.
2 – La seconda lettura ci parla dell’“esperienza diretta” di Dio che si ha nella dimensione definitiva dell’eternità, senza bisogno di “segni” che facciano da intermediari. Perché non ce n’è più bisogno.
= La Chiesa è liberata da ogni umana imperfezione e vive nella e della Gloria di Dio della quale essa partecipa: è «la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio».
= Qui essa non ha più bisogno neppure di templi, né dei Sacramenti, cioè di “segni” che facciano da intermediari tra lei e Cristo: «In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio». È la descrizione della condizione eterna nella quale Dio si “vede” direttamente.
3 – Il Vangelo Gesù insegna a chi lo vuole seguire («Se uno mi ama») a fare bene attenzione alle sue istruzioni per vivere la vita nel modo giusto («osserverà la mia parola»).
E spiega che i “segni”, nella Chiesa, non sono più importanti in se stessi (cfr. la prima lettura), e neppure perché indicano qualcosa o qualcuno che si trova “lontano” da essi e da noi, e che dobbiamo sforzarci di immaginare con la fantasia, o di raggiungere contando solo sulle nostre umane risorse. I “segni” che Cristo realizza (i Sacramenti) sono efficaci e importanti perché in essi c’è Lui presente (è l’Eucaristia) e, in tutti e sette, c’è il Suo potere in azione a renderli efficaci.
Questo è il significato racchiuso nelle parole che descrivono la condizione di un cristiano in Grazia di Dio: «Il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». Il cristiano diviene egli stesso come un Sacramento perché il Signore lo rende luogo della Sua presenza. E tutti insieme i cristiani che formano la Chiesa la rendono come un Sacramento («La Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il Sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio», Lumen gentium, n. 1) essendo luogo della presenza di Cristo.
Questa è la descrizione della nostra situazione nella Chiesa che vive ancora su questa terra. Non siamo più legati a vecchie forme che servivano ad attendere e a preparare ad un Cristo futuro e lontano; non siamo ancora nell’“esperienza diretta” di Dio nel Paradiso. Siamo in una condizione “intermedia” nella quale Cristo è presente e operante in noi stessi e nei “segni” (i Sacramenti): non lo sperimentiamo ancora visibilmente, ma sappiamo che c’è e si fa sentire riempiendoci interiormente con una serenità di fondo che solo Dio può dare («Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore», Vangelo).
Lo Spirito Santo dà “consistenza esistenziale” (un tempo si diceva “spirituale”) a tutto questo, costruendo in noi una nuova consapevolezza, una concezione di se stessi, degli altri e di tutto che non si ferma alla superficie delle cose, va al loro Fondamento.
Senza questa conoscenza di tutte le cose, si costruisce un mondo fragile e alla fine invivibile, si costruisce sulla sabbia e non sulla roccia (cfr., Mt 7,21-27). Tutti gli sforzi di lavorare per la “pace” tanto conclamata e reclamata, soprattutto in tempo di guerra, sono illusori, infondati, e dai risultati provvisori. Questo vuole insegnare Cristo quando dice: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Vangelo).
La Vergine Maria, che fin dall’inizio fu colmata dalla Grazia («piena di Grazia», Lc 1) dallo Spirito Santo fu resa madre («Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo», Lc 1,35), è la guida sicura per tutti noi per compiere questo percorso dal senso al Fondamento. Il passaggio che ci fa passare dalla comprensione e dall’osservanza delle forme esteriori alla conoscenza del Fondamento che le sostiene, del quale occorre tenere bene conto per non rovinare tutto. E alla fine dalla consapevolezza del Fondamento presente, ora in modo invisibile, alla “visione diretta” di Dio nella Sua Gloria nella Gerusalemme Celeste.
Bologna, 22 maggio 2022
Alberto Strumia, sacerdote, teologo, già docente ordinario di fisica-matematica presso le università di Bologna e Bari.
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