3d illustration of viruses attacking nerve cells, concept for Neurologic Diseases, tumors and brain surgery.

 

 

di Sabino Paciolla

 

Prendo lo spunto da un articolo di Remnant MD, rielaborandolo e ampliandolo, per spiegare uno dei rischi più importanti di eventi avversi connessi agli innovativi vaccini contro la COVID: le malattie autoimmuni. 

Premessa 

Sintetizziamo in breve il meccanismo di funzionamento del vaccino a mRNA:

  1. L’RNA messaggero (mRNA), contenuto nel vaccino e di natura sintetica, che è fatto per innescare la produzione della proteina Spike è avvolto in nanoparticelle lipidiche (LNP) che servono a non farlo degradare subito 
  2. Le LNP vengono iniettate nel muscolo deltoide di un essere umano
  3. Le LNP entrano nel flusso sanguigno
  4. Il flusso sanguigno diffonde le LNP in tutto il corpo
  5. Le cellule del corpo si fondono con le LNP, quindi, l’mRNA entra nel citoplasma e, attraverso i ribosomi, spinge la cellula a produrre la proteina Spike, cioè l’antigene. Questo è una molecola che è riconosciuta dal sistema immunitario come estranea o potenzialmente pericolosa 
  6. La proteina spike poi migra verso la superficie della cellula per uscire dalla stessa. A questo punto viene subito intercettata dal sistema immunitario che provvede a distruggerla insieme alla cellula che la contiene. 
  7. I linfociti T, cellule del sistema immunitario, sono deputati a questa attività di “killeraggio”, circolano infatti nel corpo e distruggono ogni cellula che presenta l’antigene della proteina Spike

ATTENZIONE: Questo è il punto critico finale:

Prima che le tue cellule si fondessero con le LNP, le cellule del tuo corpo erano considerate sane dal tuo sistema immunitario

Dopo la vaccinazione, i linfociti T killer percepiscono quelle cellule sane come infette, e per questo avviano il processo della loro distruzione

Questa è la definizione di una risposta autoimmune – il sistema immunitario dell’ospite si rivolge contro le proprie cellule sane per distruggerle.

 

Ora passiamo ad un articolo interessante

Il 17 marzo 2022, Panagis Polykretis ha pubblicato online, prima della stampa, sullo Scandinavian Journal of Immunology un articolo intitolato:

Ruolo del processo di presentazione dell’antigene nel meccanismo di immunizzazione dei vaccini genetici contro COVID-19 e necessità di valutazioni di biodistribuzione

L’articolo, del quale tralascio solo le parti più tecniche, spiega bene quali siano i rischi di malattie autoimmuni che i vaccini COVID possono comportare. Eccolo nella mia traduzione. 

 


 

Il meccanismo dei vaccini ‘tradizionali’ consiste nell’inoculazione di virus, che sono stati precedentemente inattivati ​​(es. da trattamenti termici), o attenuati (es. da passaggi multipli in condizioni di crescita non ottimali). 1 Tali virus, che hanno perso la capacità di provocare infezioni acute, consentono al sistema immunitario di riconoscerli come patogeni esogeni, favorendo la produzione di anticorpi specifici e di linfociti T memoria.

I vaccini genetici contro il COVID-19 che hanno ottenuto l’autorizzazione all’uso [in emergenza] nell’Unione Europea, vale a dire i vaccini a base di adenovirali (prodotti da AstraZeneca e Janssen) e i vaccini mRNA (prodotti da Pfizer/BioNTech e Moderna), codificano informazioni genetiche che permettono alle cellule umane di produrre un antigene virale (un antigene è una molecola in grado di essere riconosciuta dal sistema immunitario come estranea o potenzialmente pericolosa, ndr). Più precisamente, i suddetti vaccini innescano il meccanismo di sintesi proteica delle cellule umane a sintetizzare la proteina spike del capside virale della SARS-CoV-2.

Dopo la sua sintesi da parte dei ribosomi, la proteina spike viene elaborata dall’apparato di Golgi e presentata al sistema immunitario in due forme: i) come proteina intera, esposta sulla membrana cellulare, che può essere riconosciuta dalle cellule B e dalle cellule T-helper (Figura 1A); o ii) sotto forma di frammenti caricati sul complesso maggiore di istocompatibilità I (MHC I), che presenta gli antigeni endogeni ai linfociti T CD8+ (Figura 1B). Il sistema immunitario riconosce l’antigene estraneo, avvia la risposta infiammatoria e le fasi successive che portano alla produzione di anticorpi specifici da parte delle cellule B.

Quando un linfocita CD8 + o CD4 + (cioè la cellula del sistema immunitario, ndr) rileva una cellula che esprime un gene virale (ad esempio a causa di un’infezione), un gene mutante (ad esempio a causa di un cancro) o un gene estraneo (ad esempio a causa di un trapianto), si lega all’MHC attivando il risposta immunitaria che porta alla distruzione della cellula anormale.

I suddetti processi sono essenziali per comprendere le differenze tra i vaccini ‘tradizionali’ e genetici, in termini di presentazione dell’antigene. I vaccini “tradizionali” generalmente non inducono le cellule umane a produrre proteine ​​virali, e quindi le cellule umane non espongono antigeni virali derivanti dalla loro attività proteosintetica. Al contrario, i vaccini genetici contro la COVID-19 spingono le cellule umane a produrre la proteina spike, affidandosi intrinsecamente a una reazione autoimmune, estesa a tutte le cellule che assorbono il materiale genetico e avviano la sintesi proteica.

Un’altra fonte nociva di tossicità si è dimostrata essere la stessa proteina spike. Uno studio ha misurato i campioni di plasma longitudinali raccolti dai destinatari del vaccino Moderna mRNA-1273. Lo studio mostra che notevoli quantità di proteina spike, così come la subunità S1 scissa, possono essere rilevate nel plasma sanguigno diversi giorni dopo l’inoculazione (in realtà anche per qualche mese, leggi qui, ndr). Gli autori ipotizzano che le risposte immunitarie cellulari innescate dall’attivazione delle cellule T, che si verificano giorni dopo l’inoculazione, portano alla morte delle cellule che presentano la proteina spike, rilasciandola nel sangue.

Gli studi di biodistribuzione sono fondamentali per determinare in quali tessuti e organi viaggia e si accumula un composto iniettato. A conoscenza dell’autore, fino ad ora, tale valutazione non è stata effettuata sugli esseri umani per nessuno dei vaccini COVID-19 approvati per uso di emergenza. Per quanto riguarda il vaccino Pfizer/BioNTech BNT162b2, esso viene iniettato nel muscolo deltoide, che defluisce principalmente nei linfonodi ascellari. Teoricamente, le nanoparticelle lipidiche (LNP) in cui è incapsulato l’mRNA dovrebbero avere una biodistribuzione molto limitata, mirando ai linfonodi ascellari drenanti.4 Tuttavia, uno studio farmacocinetico eseguito da Pfizer per l’agenzia di regolamentazione giapponese evidenzia che le LNP mostrano nei roditori  una distribuzione fuori bersaglio (cioè si allontanano dal posto in cui si pensava dovessero rimanere, ndr), accumulandosi in organi quali milza, fegato, ipofisi, tiroide, ovaie e in altri tessuti.5 Allo stesso modo, i risultati dei rapporti di valutazione dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) mostrano una distribuzione extra-obiettivo delle LNP usate da Pfizer/BioNTech e Moderna, nel fegato e in altri organi dei roditori.6, 7

Fino ad oggi, più di 1000 studi peer-reviewed evidenziano una moltitudine di eventi avversi nei destinatari del vaccino COVID-19.9 Tali studi riportano gravi reazioni avverse dopo la vaccinazione, tra cui trombosi, trombocitopenia, miocardite, pericardite, aritmie cardiache, disturbi del sistema nervoso e altre alterazioni. È degno di nota il fatto che molti dei suddetti effetti collaterali erano già stati segnalati nell’analisi cumulativa riservata (cioè a conoscenza solo di Pfizer e FDA, ndr) post-autorizzazione resa pubblica nell’ambito di una procedura del Freedom of Information Act (FOIA) (cioè accesso agli atti mediante richiesta avanzata ad un tribunale, ndr), che fornisce i dati sui decessi e sugli eventi avversi registrati da Pfizer dal 14 dicembre 2020 al 28 febbraio 2021.10

In conclusione, è essenziale sottolineare che ogni cellula umana che assume le LNP e sintetizza la proteina virale (nel caso dei vaccini a mRNA), o che viene infettata dall’adenovirus ed esprime e sintetizza la proteina virale (nel caso dei vaccini a base di adenovirus), viene inevitabilmente riconosciuta come una minaccia dal sistema immunitario e uccisa (Figura 1). Non ci sono eccezioni a questo meccanismo. La gravità del danno risultante e le conseguenze per la salute dipendono dalla quantità di cellule coinvolte, dal tipo di tessuto e dalla forza della successiva reazione autoimmune. Per esempio, se l’mRNA contenuto nelle LNP venisse internalizzato dai miociti cardiaci, e tali cellule producessero la proteina spike, l’infiammazione risultante porterebbe probabilmente alla necrosi del miocardio, con un’estensione proporzionale al numero di cellule coinvolte. Pertanto, è fondamentale eseguire valutazioni farmacocinetiche nell’uomo, al fine di determinare l’esatta biodistribuzione dei vaccini contro COVID-19, e quindi identificare i possibili tessuti a rischio.

 

figura 1
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