di Alessia Battini
Era il 1978 quando, in Italia, si consumò il più grave crimine morale contro la Vita umana: il Presidente Giulio Andreotti firmò una Legge che abrogava l’articolo del Codice Penale che puniva il reato di aborto. “Non è un diritto!” si difesero i democristiani “Questa legge tutela la maternità lasciando alle donne una possibilità di scelta.” Una sconfitta clamorosa per l’ala più conservatrice del Parlamento, e una vittoria su tutti i fronti per coloro che avevano presentato la proposta. Ad oggi la 194 permette che migliaia di bambini, ogni giorno, vengano uccisi legalmente, a spese dello Stato, appena una donna ne fa richiesta. La procedura impone un colloquio con l’ostetrica del consultorio, a cui viene data talmente tanta importanza che durante la pandemia si svolgeva per telefono, senza neanche incontrarsi di persona; segue una settimana di riflessione in solitaria. Salvo casi eccezionali in cui la Provvidenza allunga una mano, allo scattare del settimo giorno la mamma prenota l’aborto, molte decidono frettolosamente per riuscire a prendere la pillola abortiva ed evitare così l’intervento. Dopo la decisione viene il momento dell’azione: che sia tramite l’assunzione della pillola RU486, che causa una pericolosa (a volte letale) emorragia che porta all’espulsione del bambino, che sia tramite l’intervento chirurgico per aspirazione tramite una canula infilata nell’utero, o che sia tramite l’iniezione di una soluzione salina che uccide il bambino costringendo la madre a un vero e proprio parto, in tutti i casi una Vita viene sacrificata e un’altra rovinata in modo irreversibile. Tantissime le voci di donne che hanno dichiarato, anche dopo anni, di essersi pentite, tantissimi i medici abortisti che sono diventati obiettori di coscienza dopo aver realizzato qual era lo scopo del loro lavoro.
Ogni compromesso su questo tema è una sconfitta e la 194 ne è la prova schiacciante, è il primo dogma della Vita ad essere stato confutato: se non c’è vita dal momento del concepimento, c’è da quando ognuno decide che ci sia. Non stupiamoci poi se, anche in Italia, si alzano le prime voci favorevoli al cosiddetto “aborto post-nascita”, paragonato dai suoi sostenitori (a mio parere con ragione) all’interruzione di gravidanza: se tu decidi che un feto nel grembo materno non è una persona, perché io non posso sostenere che non lo sia neanche un esserino totalmente incapace di sopravvivere autonomamente, inconsapevole della sua stessa esistenza?
Mettendo in discussione l’inizio della Vita, inevitabilmente arriva un momento in cui si mette in discussione anche la morte. Nel 2021 la Camera approva un DdL sulla legalizzazione dell’eutanasia. Anzi: sull’abrogazione della norma che punisce il reato di aiuto al suicidio (vi ricorda qualcosa?).
Concentriamoci un momento sul termine “eutanasia”. Dal greco eu (bene) e thanatos (morte): secondo i greci antichi l’eutanasia era la morte bella, naturale, accettata con condiscendenza nel momento deciso dagli dei. Vi era poi una concezione differente, spesso chiamata con l’accezione di eutanasia sociale, che prevedeva l’eliminazione dei soggetti più deboli, a causa di malformazioni, disabilità o disturbi mentali, che non erano in grado di lavorare e combattere e per questo erano considerati “inutili”. È questa la visione che si diffonde alla fine degli anni ‘30 del 1900 in Germania, dove erano condannate a morte tutte le “vite indegne di essere vissute”. Le prime camere a gas furono costruite nel 1939, per l’uccisione di massa di tutti quei soggetti portatori di handicap fisici e mentali ricoverati negli ospedali pubblici. Aktion T4, la prima forma di eutanasia del regime e il principio dell’eugenetica nazista: coloro che non potevano essere utili allo Stato, che non potevano vivere una vita “normale”, ovvero conforme agli ideali superficiali e consumistici del nostro tempo, dovevano essere eliminati.
Oggi, quando si parla di eutanasia, a quale delle due visioni facciamo maggiormente riferimento? Ovviamente al momento non si parla di eliminazioni indiscriminate per volontà dello Stato, la Corte Costituzionale infatti, in una sentenza del 2019, basava l’atto sulla scelta del soggetto che, a causa di un dolore fisico o mentale insopportabile, decide di risparmiarsi queste sofferenze e togliersi la vita. Ma non è forse giudicare una vita “non degna di essere vissuta” se riconosciamo a una persona tetraplegica, o allettata, o affetta da disturbi psichiatrici gravi, o semplicemente molto anziana e bisognosa di cure, il diritto di uccidersi? Di rinunciare al bene più prezioso che possiede? In base a quali criteri possiamo permetterci di considerare una vita più meritevole di essere vissuta di un’altra?
C’è chi dichiara che l’eutanasia sia una scelta necessaria per i malati terminali, costretti a sopportare gravi sofferenze e un’interminabile attesa della morte. Personalmente ritengo che, come afferma Ippocrate, il medico non debba somministrare né consigliare sostanze letali, ma che sia tenuto a fare in modo che il paziente soffra il meno possibile durante questo tempo, utilizzando tutti gli strumenti che ha a disposizione. Non possiamo permetterci di pensare che, in questi casi, non si tratti più di una vita degna di essere vissuta.
Le posizioni moderate di quelli che si etichettano “conservatori” hanno permesso che nella nostra società fossero ammesse pratiche abominevoli, inconcepibili e ingiustificabili. Tutti i giorni la Vita viene minacciata, non solo da coloro che la attaccano apertamente, ma anche, e soprattutto, da coloro che non la difendono attivamente, che si mascherano dietro un buonismo e una moderazione che su questi temi non ci possiamo permettere. Dunque, in questa Giornata per la Vita 2023 chiediamoGli l’unità, la forza e il coraggio di combattere contro questi abomini e contro quelli che verranno. Non per un attaccamento a una vita che sappiamo essere solo un preludio alla Vita Vera, ma per un attaccamento viscerale alla Verità su cui si fondano la Fede e gli ideali che ci rendono vivi e che, ricordiamolo, non ammettono compromessi.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. Sono ben accolti la discussione qualificata e il dibattito amichevole.
E’ l’impero della cultura della morte. Nel caso specifico, avviato da sedicenti cristiani che di cristiano avevano – e ancor oggi mantengono – solo la maschera. Basti pensare al “cattolicissimo” Bidet e al suo caro braccio destro, Camola.
Ma non parliamo più di aborto: lo si chiami infanticidio! Non si dica più eutanasia ma induzione al suicidio!
Un grazie alla lettrice che si è presa la briga di una riflessione su questo tema mai dibattuto a sufficienza.
Riporto il commento che è giuto alla casella del blog:
Complimenti Alessia Bell’articolo veritiero
Oggi fanno passare bene ciò che è male
Il peccato non più considerato,
la disumanità nell appropriarsi della vita altrui, come progresso e “conquista”
Amore e pietà sono messi al bando
E spesso con l’inganno come è accaduto per Eluana ENGLARO facendo passare per vero ciò che era falso,
così per l’embrione da cui ognuno di noi ha dovuto passare come tappa fondamentale prima di nascere donna o uomo
Antonella