sacerdoti

 

di Aurelio Porfiri

 

In precedenza, ci si è soffermati sullo stretto legame che esiste tra il sacerdozio e il servizio, e abbiamo visto come la riflessione su questo elemento fosse uno degli antidoti possibili al clericalismo. Un altro che mi sento di proporre qui riguarda un altro binomio anti clericalista, quello tra sacerdozio e sacrificio. Già, sacrificio. Questa parola è anche fondamentale per riflettere su certe derive scorrette della missione del sacerdote. Il sacrificio è propriamente “rendere sacro”. Il sacerdote, nel suo nome stesso, ha questa funzione importanza di colui che offre alla divinità le cose sacre, il sacer. Questo ruolo e funzione del sacerdote è centrale, io credo non ci sia nulla più importante di questo. Quando ci si trova impegnati in mille cose che fanno mettere da parte la cura e l’intensità che si deve alle cose liturgiche, si sta camminando su una strada sbagliata. È come un insegnante preso da mille cose ma che tralascia i suoi studenti. Tutto può essere importante ma non tutto è rilevante e per il sacerdote rilevante è essere colui che rappresenta i fedeli nelle cose del sacer, è colui che per un munus a lui proprio agisce in Persona Christi, è colui che sempre ci deve indirizzare verso dove l’incenso si dirige. Il sacerdote sacrifica la sua vita per questo, anche aspirazioni che magari avrebbero potuto essere legittime in uno stato laicale: prima di tutto quella della famiglia intesa come moglie e figli (con annessi e connessi) e poi anche quella della carriera. Il suo unico avanzamento di carriera dovrebbe essere quello che conoscerà in Paradiso. Certamente si chiede molto a colui che intraprende il sacerdozio e forse non sempre i candidati riflettono pienamente su ciò che si lascia e su quello che si trova. Ma un sacerdote che corre appresso a promozioni, lauti stipendi, vita mondana, certamente non è il tipo di sacerdote che ci piace vedere. E non è solo una questione di gusti, ma come detto sopra, esso anche contraddice la sua stessa missione. Esso ci deve mostrare Cristo, non se stesso e le sue aspirazioni od opinioni, per quanto esse possano essere legittime se presentate in altri ambiti.

Come si vede, non si tratta solo di essere coloro che offrono il sacrificio, ma questo sacrificio lo vivono in se stessi ogni giorno della loro vita. Nel canone si chiede di renderci “perfetti nell’amore”. Ecco, questa perfezione si realizza nel sacrificio anche doloroso di se stessi, delle proprie aspirazioni umane, delle proprie voglie di carriera o di macchine lussuose di per se non necessarie, di vini pregiati o cibi ricercati. Certo non si vuole escludere i piaceri della vita ma bisogna diffidare da essi quando distolgono dall’unica e vera missione a cui ogni sacerdote, colui che offre il sacrificio anche di se stesso, dovrebbe aspirare.

Osserviamo in questi giorni la Chiesa in mezzo a tanti scandali. Certo fa dolore e ci sprona a pregare per il Papa sempre di più, che Dio lo illumini sul modo più adeguato per affrontarli. Ma noto che alcune soluzioni per le varie crisi della Chiesa sono in contrasto con una rinascita vera del cattolicesimo a lungo termine. Si pensa che andare incontro al mondo possa favorire un avvicinamento dei cosiddetti “lontani”. Guardate, sarebbe come dire che se io mi sposto per andare accanto al mio amico X è lui che si è avvicinato a me. In realtà sono io che sono andato verso di lui. Così mi sembra la Chiesa, in certi suoi membri; vanno ad abbracciare il mondo per poi dirci che il mondo sta riscoprendo la Chiesa. È vero che bisogna andare verso i lontani, ma per portargli la luce di Cristo, non per “allontanarci” anche noi.

 

 

 

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