di Massimo Lapponi
Già da molto tempo gli scienziati, e, al loro seguito, i filosofi, vanno discettando sul fatto che tra gli uomini e gli animali non ci sarebbe una vera differenza qualitativa, ma che gli uni e gli altri avrebbero gli stessi caratteri fondamentali. L’uomo non discende dalla scimmia? E l’intelligenza non l’hanno anche i cani e le formiche?
Personalmente, non essendo né uno scienziato né un filosofo professionista, non mi pronuncio su una questione che, benché così complessa, per molti sembra essere ormai passata in giudicato. Ma, forse suggestionato inconsciamente dalla mia ignoranza, l’altra notte ho fatto un sogno che vorrei riferire, perché mi ha lasciato notevolmente disorientato.
Nel sogno, dunque, si vedeva una pianura sconfinata, nella quale erano radunate un’infinità di specie di animali e di piante. Sembrava che si fossero dati tutti appuntamento per discutere una questione di vitale importanza. Era, insomma, una sorta di parlamento vegeto-animale – mi scuso per il neologismo, che in alcun modo voleva essere allusivo!
A capo della grande assemblea vi era un enorme orangutan, il quale, con visibile fatica, alla fine era riuscito ad ottenere il silenzio e l’attenzione.
“Animali! Piante!” esordì. “La razza degli uomini, pur essendo esattamente come tutti noi, per secoli si è creduta superiore e ci ha sfuttati sfacciatamente facendo credere anche a noi che fossimo razze inferiori, incapaci di razionalità e quindi prive di libero arbitrio. Per tutto questo tempo siamo stati docili e obbedienti, seguendo regolarmente le cosiddette ‘leggi della natura’ e rinunciando, per un’eccessiva mansuetudine, all’uso dell’intelligenza e della libertà.
“Ma ormai gli uomini stessi incominciano a riconoscere i nostri diritti e a capire che anche a noi deve essere riconosciuta uguale dignità, indipendenza e libera iniziativa.
“Questo giusto, anche se tardivo, riconoscimento deve essere per noi uno stimolo ad uscire dalla pecorile – e mi scuso con le pecore per il termine abusato! – subordinazione alle cosiddette ‘regole stabilite’. Ragazzi! Ora ci si richiede un salto di qualità!
“Abbiamo anche noi la ragione? Sì! Abbiamo anche noi il libero arbitrio? Sì! Dunque adoperiamolo! Certamente fa comodo agli uomini sapere che le pecore la sera rientrano ‘regolarmente’ nell’ovile! Ma gli uomini, da parte loro, non vogliono assolutamente dare simili garanzie, e di nulla sono così insofferenti come di essere considerati ‘pecore!
“Dunque, care pecore, incominciate voi a dare il buo esempio, e domani sera non rientrate nell’ovile! Questo sarà il segnale del nostro riscatto!
“Da quel momento dovremo partire dal principio che il fatto che ‘è sempre stato così’ non costituisce una ‘norma’, anzi, non significa niente, ed è nobile dimostrazione di libero arbitrio d’ora in poi fare tutto il contrario!
“Quindi, nel mondo animale finiamola con la pratica consuetudinaria dell’accoppiamento del maschio con la femmina, della generazione e dell’allattamento, dell’allevamento dei piccoli da parte del maschio e soprattutto della femmina che li ha generati! E nel mondo vegetale, finiamola col continuare a trasferire il polline sullo stimma! Soprattutto voi, api, che siete tanto intelligenti, dovete usare la vostra intelligenza per affermare la vostra libertà! Smettetela di prendere il polline dagli stami e di svolazzare poi intorno al pistillo di un fiore della stessa specie per fecondarlo! Questo comportamento è pecorile – e mi scuso ancora con le pecore! Vi ripeto che ormai anche noi dobbiamo far valere il nostro libero arbitrio!
“Dunque, cari animali e piante, l’attività sessuale deve essere rigorosamente separata dalla funzione riproduttiva. D’ora in poi piante e animali possono – anzi debbono! – agire secondo il ‘principio del piacere’, e perciò garantire all’attività sessuale la piena indipendenza da qualsiasi scopo che sia estraneo al godimento che essa procura – a cominciare, ovviamente dall’attività riproduttiva. Personalmente, penso, infatti, che ognuno abbia il diritto di fare ciò che più gli piace. Non facciamone una questione morale o sociale, ci mancherebbe! È solo una questione di senso comune, nella convinzione che, dopo tutto, ciascuno ha il diritto di fare ciò che più gli piace, senza che altri ci mettano il naso.
“Alla riproduzione, poi, penserà la scienza, che sa bene come regolare misura, forma, quantità e qualità dei nascituri. Ma questo non c’entra con la libertà di godersi la vita, di cui, finalmente, anche noi possiamo e dobbiamo usufruire!”
A questo punto del discorso si sentì un batter di ali e, nel mezzo dell’assemblea andò a planare un vecchio gufo. Tutti si voltarono verso di lui, stupiti di vederlo mettersi così al centro dell’attenzione.
“Cari animali e piante e caro orango” disse il gufo. “Non è mia abitudine intervenire in queste discussioni, perché i nostri vecchi ci hanno insegnato che tacere è segno di saggezza – soprattutto in certe assemnblee in cui dominano gli spropositi. Ma quando gli spropositi superano il limite del sopportabile, allora anche il gufo deve fare la fatica di dire la sua, a costo di essere beffeggiato per essere troppo saggio in un’assemblea di sconsiderati.
“Ebbene, caro orango, se si mettesse in pratica quello che tu consigli, credo che non ci sarebbe bisogno di aspettare la terza guerra mondiale per porre fine alla vita sulla terra! Se il polline non viene portato dalle api nei pistilli, il mondo vegetale finisce, e con esso quello animale, che ha bisogno delle piante per nutrirsi”.
“Ma” intervenne l’orango “ho detto che penseranno gli scienziati a far nascere le piante e gli animali, senza più far ricorso alle api e alla fecondazione naturale!”
“E tu credi che gli scienziati saprebbero riorganizzare tutta l’immensa opera della riproduzione del mondo vegetale? E poi, per quanto riguarda il modo animale, tu sai bene che non basta far nascere un cucciolo o un pulcino, ma che il piccolo ha assolutamente bisogno della madre per poter crescere e svilupparsi fino alla piena maturità. Sai che l’istinto materno degli animali non può essere sostituito da nulla…”
“Questo non è vero! Lo nego assolutamente! Qualsiasi animale a cui venga affidato un cucciolo o un pulcino prodotto in laboratorio può adempiere alla perfezione il ruolo della madre…”
“Lo chiami ‘ruolo della madre’! Dunque ammetti che è quello il ruolo che serve! Certamente un animale può imitare, fino a un certo punto, il comportamento di una madre. Ma questo soltanto finché esistono le madri! Quando le madri non esisteranno più, allora quale ruolo dovranno imitare gli affidatari dei cuccioli e dei pulcini prodotti in laboratorio? Sai che la gallina segue i suoi pulcini con una premura che fa sbalordire. Succede, per esempio, che a volte vengano messe nella covata uova di anatra. Quando nascono gli anatroccoli, per la gallina sono come i suoi pulcini. Ora polli e galline hanno una paura viscerale dell’acqua, mentre ovviamente gli anatroccoli non l’hanno. Quando, dunque, gli anatroccoli, guidati dall’istinto, corrono nell’acqua, la chioccia li insegue spaventata per loro, e continua a crocchiare disperatamente inseguendo il piccolo fino ad entrare nell’acqua lei stessa, nonostante il terrore che ne ha istintivamente. Credi tu che i tuoi animali affidatari, che si vantano di seguire il libero arbitrio, avrebbero la stessa premura materna? Forse, finché ci sono chiocce che danno loro l’esempio, proverebbero ad imitarle, ma una volta scomparse le chiocce, quale esempio potrebbero imitare?”
Dopo questo intervento del gufo nella pianura successe un finimondo. Gli animali e le piante gridavano tutti insieme, creando un tale bailamme che non si sapeva più che cosa diceva l’uno e che cosa diceva l’altro, né, tanto meno, da quale parte fossero il torto e la ragione.
A questo punto mi sono svegliato e ho incominciato a chiedermi: sì, certamente non solo i teologi, ma anche gli scienziati e i filosofi che credono soltanto nel determinismo della materia esaltando il libero arbitrio umano. Ma non aveva un po’ di ragione anche Mefistofele, quando diceva:
«Ei la chiama “ragione”, e se ne vale
per esser d’ogni bestia più bestiale»?
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