molnupiravir della Merck
molnupiravir della Merck

 

 

di Sabino Paciolla

 

Michael Z. Lin è un medico e professore associato di bioingegneria e neurobiologia alla prestigiosa Stanford University, una delle più importanti al mondo, dove conduce ricerche sui virus a RNA, compreso lo sviluppo di farmaci antivirali per il covid-19.

Qualche giorno fa ha pubblicato sul The Washington Post un articolo dal tono abbastanza preoccupato sul molnupiravir, un farmaco appena sfornato da Merck per il trattamento della covid-19. Di questo farmaco ci siamo già occupati su questo blog (leggi qui e qui). Gli articoli pubblicati hanno messo in evidenza le criticità di questo nuovo medicinale. E’ utile sintetizzare il parere del professore della Stanford University poiché molto interessante. 

Michael Z. Lin, ricordando che giovedì scorso la Food and Drug Administration (l’ente governativo americano che controlla e autorizza i farmaci, l’equivalente della nostra EMA europea) ha concesso l’autorizzazione all’uso di emergenza per il molnupiravir, ha detto: “Questa approvazione è significativa non perché il molnupiravir sia un farmaco particolarmente buono, ma perché è piuttosto inefficace e pericoloso. In particolare, molnupiravir potrebbe creare nuove varianti di SARS-CoV-2 che sfuggono all’immunità e prolungano la pandemia”.

La preoccupazione del prof. Lin risiede nel meccanismo di azione del molnupiravir che si basa sull’innesco di un aumento esponenziale del numero delle mutazione del virus SARS-COVID-2 fino a farlo “impazzire” e morire. Questo meccanismo si innesta però su un virus che già di suo è caratterizzato da una mutazione continua che dà luogo a varianti, alcune delle quali si affermano come dominanti e che noi conosciamo bene e che denominiamo con lettere dell’alfabeto greco: Alfa, Beta, Delta… e ora Omicron. 

Queste continue mutazioni, alcune delle quali presentano anche la caratteristica di evadere in varia misura le difese immunitarie, comprese quelle sollecitate dai vaccini, costituiscono il maggior patema d’animo. Tutti vorremmo infatti trovare una soluzione, mediante farmaci nuovi e già conosciuti o vaccini, che tenesse a bada o vincesse definitivamente le mutazioni del virus. 

Tornando al meccanismo di mutazione del molnupiravir, il prof. Lin dice: “Che il molnupiravir possa mutare la SARS-CoV-2 fino alla morte è stato dimostrato nelle condizioni controllate di una capsula di Petri e nelle gabbie degli animali da laboratorio, portando la Merck a testarlo nei pazienti con covid-19 negli studi clinici.

Ma le persone non sono capsule di Petri o animali da laboratorio, e mentre il molnupiravir funziona in una certa misura, non ha funzionato molto bene nei pazienti di covid-19. In particolare, molnupiravir ha ridotto le ospedalizzazioni solo del 30 per cento. Al contrario, il farmaco antivirale Paxlovid di Pfizer, che funziona con un meccanismo diverso ed è stato anche approvato questa settimana dalla FDA, ha ridotto l’ospedalizzazione dell’89%. (Il mio laboratorio fa ricerca sui farmaci che utilizzano lo stesso meccanismo di Paxlovid – inibizione dell’enzima proteasi virale – indipendentemente da qualsiasi affiliazione aziendale). Questo significa che la maggior parte delle volte che il molnupiravir ha avuto l’opportunità, non è riuscito a inibire la replicazione virale abbastanza da permettere al paziente di evitare l’ospedalizzazione.

La ricerca della Merck, pubblicata giovedì, spiega perché. Ha trovato che il virus vitale può ancora essere rilevato in alcuni pazienti il terzo giorno di trattamento con il farmaco. Ciò significa che per almeno diversi giorni, il farmaco è nel corpo mutando il virus – ma non tutti i genomi del virus hanno acquisito abbastanza mutazioni per morire. Per quei primi giorni, quindi, il paziente è un terreno fertile per i virus mutati vitali.”

Ciò significa, sembra dire il prof. Lin, che se le mutazioni non portano alla morte del virus, possono in realtà costituire un terreno fertile per possibili mutazioni rare che si diffondono per infezioni continue tra malato e colui che si prende cura di lui (familiari e/o operatori della sanità). 

Il prof. Lin sottolinea una cosa importante: “La bassa efficacia di Molnupiravir può non sorprendere, perché i farmaci che mutano solo un genoma virale non sono mai stati testati prima nelle persone. Al contrario, il precedente farmaco antivirale capace di mutare i virus, la ribavirina, aveva anche effetti diretti, compreso il blocco dell’enzima di replicazione virale e la stimolazione dell’immunità innata – e questo con virus molto meno contagiosi. Non sapevamo quanto bene un farmaco la cui unica funzione è quella di introdurre mutazioni potesse funzionare contro un virus altamente contagioso e in rapida replicazione. Ora lo sappiamo: non molto bene.”

La Merck, d’altra parte, raccomanda: “Il completamento dell’intero corso di trattamento di 5 giorni e l’isolamento continuo in accordo con le raccomandazioni di salute pubblica sono importanti per massimizzare la clearance virale (la distruzione del virus, ndr) e minimizzare la trasmissione della SARS-CoV-2.”

Poiché però il farmaco si immagina sarà preso a casa, cosa succederebbe se il contagiato non completasse il ciclo dei 5 giorni di cura o se non mantenesse l’isolamento? Il rischio, è chiaro, sarebbe quello di aumentare esponenzialmente le mutazione del virus che, diffondendosi, porterebbe ad un prolungamento della pandemia.

Poi il prof. Lin mette in evidenza un aspetto che tutti noi stiamo vedendo, che è quello che vede un aumento dei contagi proprio nelle nazioni in cui la vaccinazione è più avanzata. E’ infatti quello che sta avvenendo in Italia dove la vaccinazione ha raggiunto livelli elevati insieme ad altrettanto elevati livelli di contagi. Proprio in questi giorni, dopo che la vaccinazione con la terza dose dei vaccini COVID procede con passo veloce, i contagi hanno raggiunto livelli mai visti prima dall’inizio della pandemia. 

A tal proposito il prof. Lin dice: “Inoltre, il foglio informativo [di molnupiravir] riconosce che ‘i cambiamenti nella proteina spike si sono verificati in posizioni mirate da anticorpi monoclonali e vaccini’. In modo sconcertante, tuttavia, aggiunge: ‘Il significato clinico e di salute pubblica di questi cambiamenti sono sconosciuti’. Il significato dei cambiamenti nelle posizioni della proteina spike ad opera di anticorpi e vaccini è molto ben noto: questi cambiamenti sono ciò che ha permesso ad ogni variante di preoccupazione – da alfa a beta a delta a omicron – di eludere l’immunità da precedenti infezioni, vaccini o trattamento con anticorpi monoclonali”.

La cosa curiosa è che la FDA ha autorizzato questo farmaco in via emergenziale, imponendo alla Merck di fornire entro i prossimi tre mesi “le mutazioni virali indotte dal molnupiravir nei partecipanti agli studi clinici”. Giustamente, il prof. Lin si chiede come mai la FDA non abbia chiesto queste informazioni PRIMA di concedere l’autorizzazione in via emergenziale. Sarebbe stato infatti meno rischioso. Meglio rilevare questi dati su un campione piccolo di persone piuttosto che registrarli su un’intera popolazione, con il rischio di suscitare pericolose mutazioni in libera uscita. 

La conclusione dell’articolo del prof. Lin è sconfortante. Eccola:

La FDA e la Merck hanno essenzialmente coinvolto il pubblico in una scommessa senza dibattito pubblico. Stanno scommettendo che ogni singola copia del virus mutato che sarà trasmessa da pazienti che assumono molnupiravir sarà neutrale, o che danneggia il virus stesso e non il suo ospite – che non ci sarà nemmeno un caso di un colpo fortunato che crei un virus più capace o evasivo. Questa sembra una cattiva scommessa,  visto che la SARS-CoV-2 ha una storia in questa pandemia di vincere le proprie scommesse. Ma ora che il dado è stato lanciato, dobbiamo prendere tutte le misure possibili per usare il farmaco in modo responsabile e quantificare i suoi rischi. La nostra capacità di porre fine alla pandemia potrebbe dipendere da questo.

 

 

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