Lazzaro al banchetto del Ricco epulone
Lazzaro al banchetto del Ricco epulone

 

 

Domenica XXVI del Tempo Ordinario (Anno C)

(Am 6,1a.4-7; Sal 145; 1 Tm 6,11-16; Lc 16,19-31)

 

 

di Alberto Strumia

 

È molto semplice, diretto ed esplicito l’insegnamento delle letture di questa domenica.

– La prima lettura sembra descrivere la vita in un mondo come il nostro (quello degli «spensierati di Sion»), nel quale non ci si preoccupa se non di se stessi (perché «si considerano sicuri»), nell’immediata ricerca della soddisfazione degli istinti, senza alcun riferimento a regole che favoriscano una “vita buona” durevole, quali quelle immesse da Dio Creatore nella natura originaria dell’essere umano (I Comandamenti).

Ma inizia con un «Guai!», perché questo modo di concepire la vita e organizzare la società, prima o poi rivela la sua inadeguatezza, scatenando crisi personali, sociali, anche di estensione mondiale in un “mondo globale” come il nostro («andranno in esilio» dal proprio io, finendo dissociati in se stessi; «e cesserà l’orgia dei dissoluti», nella disperazione dello sfinimento fisico, psichico e spirituale).

– La seconda lettura avverte, proprio in merito al dato di fatto che questo tipo di “cultura”, – quando viene posta alla base dell’esistenza e della civiltà – una volta messa alla prova, non realizza affatto una “vita buona”. E avverte, di conseguenza, che “non conviene” vivere in questo modo su questa terra («evita queste cose»). E prospetta, in alternativa, la concezione e l’attuazione di una concezione della realtà e della vita, guidata e riscattata da questo errore, ad opera di Cristo, il quale, essendo vero Dio, oltre che vero uomo, conosce esattamente le leggi che governano una “vita buona”, essendone Lui stesso l’autore.

– Nel Vangelo, Gesù parla chiaramente dell’esistenza di “due livelli” dalla vita umana, mettendoli a confronto:

= quello “terreno”, che precede la morte;

= e quello “ultraterreno” eterno, che la segue, nell’ordine della nostra conoscenza ed esperienza umana diretta.

Fermarsi a considerare il solo “livello terreno”, pensando che non esista anche quello “ultraterreno”, si dimostra, alla fine, il più grave errore (è il peccato originale ostinatamente ribadito) che un essere umano e l’umanità intera possa compiere, nel concepire e nell’organizzare la vita privata come quella pubblica, la sfera personale come la cultura che regge una civiltà. Le conseguenze materiali, antropologiche, morali di un simile errore (ideologia e prassi conseguente) sono riscontrabili da chiunque, indipendentemente dalle sue convinzioni filosofiche e religiose. La visione cristiana, in più, descrive tutto con la chiarezza della Rivelazione, fatta da parte del Creatore stesso agli uomini, individuando le cause originarie del “male essere” della condizione umana.

Poi nel testo del Vangelo del “ricco epulone”, come si chiamava un tempo il personaggio gaudente qui descritto, il quale si trova dopo la morte, nella dannata condizione di sperimentare permanentemente ciò che aveva escluso nella vita terrena, si introduce il tema dell’“avvertimento” da far pervenire a quanti, viventi sulla terra, non hanno compreso il loro errore, con le sue conseguenze: «Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento».

La risposta che viene data a questa richiesta di avvertimento è che di avvertimenti ce ne sono già più che a sufficienza nella storia dell’umanità, se uno vuole intenderli e non ignorarli. L’umanità, come singola persona e nel suo insieme, ha già tutti gli elementi sufficienti per decidere del suo destino presente e di quello eterno! «Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”».

Il ricco protagonista della parabola arriva a chiedere la modalità di avvertimento più schiacciante: «Se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno». La risposta è una profezia sulla stessa Risurrezione di Cristo, alla quale chi si ostina, si rifiuterà liberamente di credere: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti». In effetti Cristo è risorto dai morti e neppure questo, soprattutto oggi, è bastato per la maggior parte dell’umanità.

Ma sembra, ai nostri giorni, di poter aggiungere che ci troviamo di fronte ad un altro serio “avvertimento”, forse l’ultimo in ordine di tempo, per l’umanità. Ed è il venir meno progressivo, per tutti, della “vivibilità” del mondo costruito senza tener conto di Dio Creatore e delle leggi di natura che governano il “vivere bene” dell’uomo (i Comandamenti che compendiano la Legge Naturale).

La vita piacevole degli spensierati della prima lettura, progressivamente si trasforma in disgusto e l’accesso agli stessi beni materiali diventa sempre meno disponibile (uso delirante del potere, odio tra le persone, malattie, guerre, carestia). Tutto finisce per ribellarsi all’uomo. Egli deve constatare «che i suoi prodotti […] proprio quelli che contengono una speciale porzione della sua genialità e della sua iniziativa» finiscono per «essere rivolti in modo radicale contro lui stesso» (Redemptor hominis, n. 15). E il problema non si risolve divinizzando la natura come ambiente materiale, in un neopaganesimo panteista che adora il pianeta, le piante e gli animali e detesta l’uomo. Ma solo ritornando al cristianesimo, a Cristo stesso.

Il ritorno a Cristo e al cristianesimo, oggi, non è – se mai lo fosse stato in altri momenti della storia dell’umanità – una possibilità appena facoltativa, per i più sensibili e devoti, ma è una sorta di necessità vitale, culturale, che si presenta come tale ai singoli e all’umanità intera. Scegliere una strada diversa significa l’autodistruzione delle vite personali, dei legami familiari, delle aggregazioni sociali, dei popoli e dell’umanità intera.

E la Chiesa ha il “mandato” di dirlo («Andate, dunque, e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato», Mt 28,19-20). E in essa si finisce per farsi del male se si trasgredisce: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (I Cor 9,16).

Mentre si percorre la via della verità della vita se, come Maria, si fa ciò che il Signore chiede: «Eccomi, sono la serva del Signore!» (Lc 1,38).

 

Bologna, 25 settembre 2022

 

Alberto Strumia, sacerdote, teologo, già docente ordinario di fisica-matematica presso le università di Bologna e Bari.

 


 

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