Dom Giulio Meiattini è monaco benedettino presso l’abbazia della Madonna della Scala di Noci (Ba). E’ professore di teologia al Pontificio ateneo Sant’Anselmo, un’istituzione universitaria cattolica con sede a Roma, dipendente dalla Santa Sede. In questo articolo commenta l’opera più famosa di Rod Dreher, L’Opzione Benedetto.
di Giulio Meiattini
Rod Dreher. La sua Benedict option, “opzione Benedetto”, vuole indicare una strada per i cristiani di ogni confessione (con un sapore ecumenico) nella presente congiuntura di crisi della civiltà occidentale e di scristianizzazione avanzata. Dopo aver lanciato questa proposta in alcuni articoli e interviste già anni fa, all’inizio del 2017 è uscito il suo libro L’opzione Benedetto. Il volume ha suscitato molto interesse, discussioni e anche critiche accese[1].
La proposta di Dreher ha qualche antecedente preparatorio, a cui egli si collega. Nel 1981 in un famoso libro intitolato Dopo la virtù, il filosofo americano Alasdair MacIntyre scriveva nell’ultima pagina:
«Un punto di svolta decisivo in quella storia più antica si ebbe quando uomini e donne di buona volontà si distolsero dal compito di puntellare l’imperium romano e smisero di identificare la continuazione della civiltà e della comunità morale con la conservazione di tale imperium. Il compito che invece si prefissero (spesso senza rendersi conto pienamente di ciò che stavano facendo) fu la costruzione di nuove forme di comunità entro cui la vita morale potesse essere sostenuta, in modo che sia la civiltà sia la morale avessero la possibilità di sopravvivere all’epoca incipiente di barbarie e oscurità. Se la mia interpretazione della nostra situazione morale è esatta, dovremmo concludere che da qualche tempo anche noi abbiamo raggiunto questo punto di svolta. Ciò che conta, in questa fase, è la costruzione di forme locali di comunità al cui interno la civiltà e la vita intellettuale e morale possano essere conservate attraverso i nuovi secoli oscuri che già incombono su di noi. (…) Questa volta, però, i barbari non aspettano al di là delle frontiere: ci hanno già governato per parecchio tempo. Ed è la nostra inconsapevolezza di questo fatto a costruire parte della nostra difficoltà. Stiamo aspettando: non Godot, ma un altro san Benedetto, senza dubbio molto diverso»[2].
Nel 1969 il lungimirante teologo J. Ratzinger aveva espresso con anticipo sorprendente un’opinione simile, con queste parole:
«Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diventerà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la fede e la preghiera al centro dell’esperienza e sperimenterà di nuovo i sacramenti come servizio divino e non come un problema di struttura liturgica. A me sembra certo che si stanno preparando per la Chiesa tempi molto difficili. La sua vera crisi è appena incominciata. Si deve fare i conti con grandi sommovimenti. Ma io sono anche certissimo di ciò che rimarrà alla fine: non la Chiesa del culto politico, ma la Chiesa della fede»[3].
E’ a questo retroterra che si riallaccia la proposta di Dreher, che qui non è possibile esaminare con la precisione che meriterebbe, ma solo in modo molto approssimativo. L’autore parte da un’analisi della società americana (ma noi potremmo aggiungere anche quella europea), che mostra l’interna contraddizione delle sue basi originarie: un’antropologia liberale fondata sui diritti umani, sta ormai sfociando in una concezione arbitraria della libertà umana, che avrebbe la possibilità di autodeterminarsi senza limiti, quanto al senso dell’universo, della vita, del proprio corpo, del proprio genere. Dal liberismo economico e dal liberalismo politico al libertinismo morale (di cui la rivoluzione sessuale è l’ultimo approdo).
In questa situazione per l’autore non è pensabile che i cristiani possano operare come forza influente sul piano politico o istituzionale. La storia politica americana (come quella della nostra Europa, d’altra parte) mostra la non incidenza dei pochissimi politici autenticamente cristiani e soprattutto l’incoerenza dei molti che si dicono tali. Davanti alla decadenza culturale e sociale che si sta profilando, lo stesso mondo dei credenti appare confuso e infiltrato da questa mentalità liberal. Commentando una frase di Philip Rieff – “L’uomo religioso nasceva per essere salvato. L’uomo psicologico nasce per essere contento” – Dreher cosi descrive questo humus culturale:
“Oggi molti cristiani sono in realtà adepti del DMT, Deismo moralistico terapeutico: si tratta di essere gentili con tutti, come chiedono tutte le religioni, di sentirsi bene con se stessi ed essere felici, e alla fine Dio ci accoglierà tutti in Cielo. Non c’è alcuna comprensione del fatto che la vita cristiana richiede sofferenza e sacrificio. La gente oggi va in chiesa come si va all’ospedale, in cerca di una guarigione. Ma la maggioranza chiede solo di essere liberata dalla sofferenza. Accettano una pillola o un’iniezione che tolgono il dolore, ma non guariscono. La vera guarigione richiede una chirurgia spirituale che è dolorosa, ma che dà per risultato l’autentica guarigione” (…)
“Ho scritto un libro intitolato Come Dante può salvarvi la vita, perché Dio ha usato la Divina Commedia per farmi scoprire i miei peccati e pentirmene. Nessuno arriva in Paradiso senza passare attraverso l’Inferno e il Purgatorio, questa è una grande verità. Oggi troppi cristiani desiderano e offrono il Paradiso senza Inferno e Purgatorio, e non funziona. Penso che questo cristianesimo “fake” non durerà: il cristianesimo senza la croce è falso. L’uomo di oggi non vuole la croce: questa è la differenza fra l’uomo psicologico e l’uomo religioso”[4].
L’opzione Benedetto, consiste per Dreher in una “ritirata strategica”, simile a quella che Benedetto da Norcia compì dando vita a delle comunità in cui la vita, in ogni suo aspetto, aderisse al vangelo e lo rispecchiasse. E’ grazie a queste piccole comunità, disseminate sul territorio, che l’Europa ha potuto lentamente rinascere, attraverso la tessitura culturale, etica, religiosa dei micro-legami sociali. Benedetto non ha cercato di formulare un progetto grandioso di rinascita della civiltà, ma ha permesso questo risultato mirando a qualcosa di più elementare e fondamentale: creare comunità di veri credenti, preoccupati esclusivamente di vivere il vangelo e di assomigliare a Cristo. Si tratterebbe, secondo l’analogia usata all’inizio del libro, di approntare un arca mentre si vanno addensando le nubi di un futuro diluvio. Perciò, cristiani di oggi non dovrebbero tanto preoccuparsi di influire direttamente sul piano politico o macroeconomico, non ne hanno la forza, non esistono le condizioni. La ritirata strategica significa rinunciare oggi a mietere, e mettere al sicuro il seme per tempi più propizi, difendere e garantire l’identità cristiana promuovendo una sorta di “contro-cultura” (V. Havel) che protegga il cristianesimo attraverso la creazione di ambienti in qualche misura distinti dal resto della società.
“Mi guardo intorno, e dappertutto nel mio paese di solito si nota molta poca differenza fra i cristiani e gli altri. Anche le scienze sociali dicono la stessa cosa: il cristianesimo sta crollando fra le giovani generazioni, e i ragazzi che continuano a dirsi cristiani credono cose che non sono ortodosse. Quando parlo coi docenti di università cattoliche e protestanti, mi dicono che i loro studenti non sanno quasi nulla del cristianesimo. Questo è certamente colpa della catechesi scadente, ma ancora di più è colpa della cultura cristiana indistinta di oggi. Non abbiamo la garanzia che l’edificazione di piccole comunità cristiane impegnate salverà la fede delle giovani generazioni, ma cosa altro possiamo fare?”[5]
L’opzione Benedetto si è attirata diverse critiche. La Civiltà Cattolica, chiaramente aderente al modello bergogliano della “Chiesa in uscita”, non poteva certo apprezzare questa “ritirata strategica” e ha accusato Dreher, niente di meno, che di elitarismo “donatista”[6]. Una reazione che ci permette di vedere chiaramente che quello che l’opzione Benedetto va a toccare è un punto vitale nella visione dei rapporti Chiesa-mondo. L’opzione Benedetto si sta rivelando perciò un’occasione “apocalittica”, nel senso etimologico del termine, cioè rivelativa delle tensioni e le crepe profonde che in questo momento di trapasso epocale attraversano la Chiesa.
Anche altri recensori, meno prevenuti e più imparziali, hanno rilevato alcuni rischi del libro: quello di un certo fondamentalismo o di accentuare troppo l’impermeabilità del cristianesimo verso il resto del mondo (l’America conosce bene questo tipo di cristianesimo mennonita o amish). Tuttavia Dreher si è difeso da queste accuse spiegando che non intende promuovere un estraniamento o una clausura ecclesiale rispetto al mondo, verso il quale deve rimanere comunque una comunicazione virtuosa. E a me sembra che alcune pagine del suo libro gli diano ragione [7].
E’ probabile, come sostengono alcuni lettori, che l’opzione Benedetto abbia bisogno di definirsi ancora meglio. D’altra parte lo stesso Dreher ha dichiarato che egli avrebbe voluto attendere ancora del tempo prima di pubblicare il volume, che doveva essere molto più lungo e circostanziato, ma che l’editore lo ha pressato a congedarlo prima del previsto.
[1] Dopo la traduzione francese è da poco apparsa quella italiana: L’opzione Benedetto. Una strategia per cristiani in una nazione post-cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo 2018.
[2] A. McIntyre, Dopo la virtù, Feltrinelli, Milano 1988, 313.
[3] J. Ratzinger, Fede e futuro, Queriniana, Brescia 1984.
[4] R. Casadei, L’Opzione Benedetto spiegata dal suo autore. Intervista a Rod Dreher, in Tempi del 10 luglio 2017 (in: https://www.tempi.it/lopzione-benedetto-spiegata-dal-suo-autore-intervista-a-rod-dreher/).
[5] Ivi.
[6] A. Gonçalves Lind, Qual è il compito dei cristiani nella società di oggi? “Opzione Benedetto” ed eresia donatista, in La Civiltà Cattolica 169 (2/2018) 105-115.
[7] Cf. L’opzione Benedetto, cit., 197-206; 261ss. Anche se si potrebbero distribuire meglio certi accenti.
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