Beato Angelico - L'Apparizione a Maria

Beato Angelico – L’Apparizione a Maria

 

di Pierluigi Pavone

 

1.

A differenza di altri contesti, come ad esempio le parabole, l’unica cosa che conta – quanto al fatto della Resurrezione –, l’unica cosa che interessa è appunto… il fatto in sé. A noi interessa unicamente se Gesù di Nazareth sia risuscitato dalla morte. In che senso? Nell’unico senso possibile e fondamentale: non nel suo significato morale, allegorico, esistenziale o filosofico. A noi non interessa nulla che “la speranza vince sulla delusione”; a noi non interessa nulla che “c’è sempre un domani”; tanto meno che “in primavera rinascono i fiori”, o che “dopo la notte c’è sempre l’alba”. L’unica cosa che conta è se il Figlio di Dio, vero Dio e vero Uomo, morto nella sua umanità il venerdì santo, abbia riacquistato la vita. E lo abbia fatto per non morire più.

Se fosse vero che non sappiamo nulla della resurrezione di Cristo, ma possiamo ipotizzare mille teorie su nevrosi collettive, allucinazioni di persecutori con sensi di colpa; se fosse vero che non sappiamo se Maria di Magdala abbia realmente e fisicamente visto il Signore e che il Signore sia effettivamente apparso – non come fantasma – ai discepoli, ma possiamo accontentarci del significato spirituale e teologico della resurrezione e delle apparizioni di Cristo, allora “mangiamo e beviamo, perché domani moriremo” (1 Cor 15, 32).

2.

Prenderemo in considerazione l’interpretazione psicanalitica? Il fatto che il peccato originale sia la restituzione mitica dell’omicidio del Padre-Padrone; il fatto che il Dio degli ebrei sia il “ritorno del rimosso”, quanto allo stesso Padre-Padrone, in un tempo temuto-odiato-ammirato; il fatto che Gesù altro non sia che il liberatore anarchico da quel senso di colpa da cui si sarebbe sviluppata, nella società, la religione; il fatto che Gesù altro non sia che il superamento di ogni morale, dottrina e legge? La risposta è “sì”, se non sappiamo nulla di storico della resurrezione e delle apparizioni di Cristo, ma abbiamo la “restituzione affettiva” delle prime comunità cristiane, che “lo hanno fatto risorgere nel loro cuore”…

Prenderemo in considerazione l’interpretazione critico-illuminista o comunista? Il fatto che del Gesù vero Dio non sappiamo nulla, ma possiamo apprezzare la sua umana attenzione ai poveri? Il fatto che Gesù fu un grande iniziato di spiritualità? La risposta è di nuovo “sì”, se abbiamo un insieme di contradditori resoconti biblici e qualche suggestione emotiva.

3.

Noi vogliamo sapere se l’interpretazione degli apostoli, il loro riferirci questo fatto della resurrezione e le apparizioni di Gesù – secondo Matteo in Galilea, secondo Luca in Giudea –, sia oltre il limite della restituzione storica, oppure no. Al di là dei motivi che ragionevolmente hanno spinto un evangelista a selezionare un episodio contro la scelta diversa di un altro evangelista, seppur in maniera complementare. Leggendo gli ultimi capitoli di tutti e quattro i Vangeli ci troviamo, di primo acchito, di fronte a luoghi e particolari  differenti sul dove e quando sia apparso Gesù.

Una prima sezione è parallela e di fatto co-presente: Cristo risorge; i primi testimoni sono donne e c’è un dialogo diretto con Cristo (tranne in Luca dove parlano solo i “due uomini”), al di là del numero degli angeli presso la tomba vuota (in Matteo e Marco è al singolare); la corsa al sepolcro di Pietro e Giovanni (qui Giovanni è più attento ai dettagli, invece è taciuta da Marco e Matteo). Poi Matteo “salta” direttamente in Galilea e chiude in pochissimi versetti sulla Missione universale. Giovanni e Luca si trattengono a Gerusalemme: Èmmaus; gli Undici riuniti dove appare Gesù col saluto “Pace a voi!”, con la specificazione in Giovanni della assenza (la prima di due volte) di Tommaso detto Dìdimo.

4.

Una lettura al limite dell’imbarazzante vedrebbe contraddizione anche nel solo Matteo (senza confronti), tra il versetto 28,7 (il comandamento di andare in Galilea – per vederlo – da riferire ai discepoli) e l’apparizione dello stesso Gesù alle donne spaventate; oppure nel solo Luca (anche qui senza confronti), tra l’intera sezione che va dall’incontro con i discepoli diretti a Èmmaus, il loro ritorno a Gerusalemme dopo averLo riconosciuto, la conferma degli Undici circa la resurrezione a l’apparizione a Pietro, la successiva apparizione di Gesù tra i discepoli e l’indicazione della immediata Ascensione (similmente a Marco), con tanto di specificazione lucana del luogo di Betània. La contraddizione starebbe nel fatto che nel primo capitolo di Atti l’Ascensione è posticipata – invece – di quaranta giorni.

Perché sono letture superficiali e imbarazzanti? Perché ad esempio nel contrasto Luca/Atti, è chiaro che il primo resoconto non contraddice affatto il secondo: è evidente che ci sia una immediatezza a-temporale tra resurrezione e salita al cielo (glorificazione di Cristo), ma dall’altra parte una permanenza “visibile e temporanea” dello stesso Cristo con i suoi. Alla stessa maniera non esiste una sola prova di incompatibilità tra il resoconto di Matteo con quello di Luca e Giovanni. Per secoli neanche i polemisti pagani più accaniti hanno sollevato drastiche critiche e obiezioni.

Da quando invece si radicalizzano i differenti resoconti sulle apparizioni post-pasquali, come se ci fosse innegabile contraddizione, a prova di una invenzione mitica o psicologica?

Da quando la critica ha assunto come assioma dogmatico che i Vangeli in generale non possono che essere il frutto di alienazioni spirituali. Approfondiremo questo nella successiva parte…

 

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