Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Regis Martin e pubblicato su Crisis magazine. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella mia traduzione.
C’è stato un tempo, non molto lontano, in cui la controversia che imperversava tra i cattolici riguardava il modo migliore di ricevere la Santa Comunione. Si sarebbe mostrata maggiore riverenza ricevendo Nostro Signore sulla lingua, come era consuetudine da secoli, o sulla mano, cosa che non pochi innovatori proponevano come in qualche modo più appropriata? Tutto ciò appare oggi così pittoresco in un contesto di crescente apostasia, in cui un numero allarmante di cattolici non crede più nemmeno nell’Eucaristia. Che differenza può mai fare il modo in cui si riceve Gesù se c’è così poca certezza che è Gesù che si riceve?
Ne abbiamo fatta di strada dai tempi felici di Hilaire Belloc, il quale, alla domanda se credesse davvero che il pane e il vino diventassero il Corpo e il Sangue, l’Anima e la Divinità di Gesù Cristo, rispose che avrebbe creduto che fossero stati trasformati in un elefante se la Chiesa glielo avesse detto.
Quei giorni sono ormai lontani, lasciandoci con una situazione inimmaginabilmente peggiore di qualsiasi altra affrontata in precedenza. In effetti, è dai tempi della crisi ariana del IV secolo, quando la divinità di Cristo fu messa a dura prova, che i tempi non sono più così disastrati. Non è solo la fede nell’Eucaristia ad essere crollata, anche ogni oggetto di fede sembra sempre meno sicuro, comprese le strutture stesse della realtà. Forse i profeti della modernità avevano ragione, dopo tutto, quando ci assicuravano che nell’era a venire tutto ciò che è solido si sarebbe dissolto nel nulla.
“Qualcosa è arrivato con una spugna”, diceva Nietzsche, “e ha cancellato l’orizzonte”. Lasciando cosa esattamente? Un’assenza incombente dove, fino a quello che sembra solo l’altro ieri, c’era la Presenza reale testimoniata da quasi tutti. E ora ci muoviamo nell’oscurità, abbandonati da coloro il cui unico mandato era quello di tenere le luci accese.
Non è il buio che sentiva Santa Teresa nelle ultime settimane della sua passione, aggrappata con un’unghia a una fede per la quale non trovava appigli, ma è buio lo stesso. Per il Piccolo Fiore (Santa Therese of Lisieux, ndr), che morì di tisi all’età di ventiquattro anni, sembrava abbastanza reale solo il vuoto assoluto che le ribolliva sotto la pelle, facendole gridare: “Sono assalita dalle peggiori tentazioni dell’ateismo”.
Eppure, nonostante la notte oscura della fede che la avvolgeva, non si arrendeva, rifiutando di rinunciare a Dio. Anche quando le fu crudelmente negata la consolazione del Santo Viatico alla fine – le sue condizioni erano state giudicate troppo gravi per permetterlo! “Tout est grace”, dichiarò. “Tutto è grazia”. Sì, anche la stessa negazione era diventata un momento di grazia, interamente abbracciato in attesa del Cristo che avrebbe visto molto presto nell’aldilà.
Ma chi crede così al giorno d’oggi? Gli architetti del Sinodo, molti dei quali non hanno mai parlato dell’Eucaristia in uno dei loro interminabili discorsi. La centralità della presenza di Cristo sull’altare sembra, se non un imbarazzo, certamente fuori tema. Rimane solo una serie di fissazioni sinodali su questioni di assoluta irrilevanza, un po’ come gli addetti al ponte che sistemano le sedie sul Titanic prima del suo definitivo inabissamento.
Pensate a tutti quei tavoli e quelle sedie abbinate, disposti con tanta cura per garantire condizioni di parità a ogni membro emarginato della Chiesa. In cui non ci deve essere alcun accenno di gerarchia, di distinzione episcopale tra le tante teste parlanti. Che si tratti di un cardinale curiale o di una studentessa universitaria, non fa differenza; nessuna opinione è migliore di un’altra. Provate a immaginare: più di 400 partecipanti, ognuno con il proprio sacerdote, profeta e papa.
Nel frattempo, l’abisso che separa il rumore interno, in cui le questioni di empowerment sono state presto al centro dell’attenzione, da un mondo esterno sempre più disperato e privo di senso a causa della perdita di ogni reale senso di presenza divina, si allarga ogni giorno di più. Avendo il mondo perso la poesia del trascendente, tutti sono rimasti a mormorare in prosa. Il mondo sta rapidamente perdendo la sua storia, che è la Sua Storia, raccontata dall’Artista stesso, Cristo Dio Salvatore.
L’unica buona notizia del Sinodo, siamo tutti d’accordo, è che è finito. Almeno per quanto riguarda la fase attuale; le puntate future sono già state programmate. Ma il terribile scollamento rimane. Come ci ricorda Sandro Magister, attento osservatore di quanto sta accadendo, in un recente titolo di prima pagina, “Il Sinodo parla a se stesso. Ma intanto in Italia due giovani su tre non credono più in Dio”.
I leader del Sinodo si interrogheranno mai su questo? Non ha molto senso far luce sulla lobby LGBTQ+, il cui numero crescente di richieste di equità e inclusione ha raggiunto il cuore del Vaticano stesso, se non c’è luce per cominciare. Se Dio è morto, o perlomeno assente, allora parlare di luce non ci porterà da nessuna parte. Dovremo invece abituarci a vivere nel buio, perché è tutto intorno a noi.
C’è, dichiara Magister, “un divario abissale tra le questioni dibattute intorno ai trentacinque tavoli del Sinodo e ciò che accade fuori dalle mura vaticane, nella vita reale”. E citando una lettera indirizzata ai vescovi nel marzo 2009 dall’allora Papa Benedetto XVI, abbiamo uno sguardo penetrante su ciò che sta realmente accadendo nel mondo: “Il vero problema in questo momento della nostra storia”, scrive, “è che Dio sta scomparendo dall’orizzonte umano e, con l’affievolirsi della luce che viene da Dio, l’umanità sta perdendo l’orientamento, con effetti distruttivi sempre più evidenti”.
Se questo non è un campanello d’allarme per i nostri leader, molti dei quali non solo hanno perso la palla, ma hanno deciso di lanciarla nel modo sbagliato, in una direzione mai voluta da Cristo, allora non so cosa riuscirà a farli tornare alla realtà. Nel frattempo, “la priorità assoluta”, conclude Benedetto, “è quella di rendere Dio presente in questo mondo e di mostrare agli uomini e alle donne la via verso Dio. Non un Dio qualsiasi, ma il Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo in un amore che spinge “fino alla fine” (cfr. Gv 13,1) – in Gesù Cristo, crocifisso e risorto”.
Se i nostri leader non prenderanno l’iniziativa su questo fronte, il resto di noi dovrà raccogliere la palla. Speriamo che un numero sufficiente di noi, ascoltando Dio, sappia quale strada prendere.
Regis Martin
Regis Martin è professore di teologia e associato alla facoltà del Centro Veritas per l’etica nella vita pubblica dell’Università Francescana di Steubenville. Ha conseguito la licenza e il dottorato in sacra teologia presso la Pontificia Università di San Tommaso d’Aquino a Roma. Martin è autore di numerosi libri, tra cui Still Point: Loss, Longing, and Our Search for God (2012) e The Beggar’s Banquet (Emmaus Road). Il suo libro più recente, pubblicato da Scepter, si intitola Looking for Lazarus: A Preview of the Resurrection.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. I contributi pubblicati su questo blog hanno il solo scopo di alimentare un civile e amichevole confronto volto ad approfondire la realtà.
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