Una lettrice mi scrive.
Quando su di un certo argomento si è udito di tutto e sopportato non poco, risulta difficile la temperanza. Questa, una doverosa e anticipatoria premessa.
Ciò detto, dopo la comparsa di innumerevoli, accreditate versioni di “verità a modo mio” a proposito della figura del Santo Padre Benedetto XVI, e dopo le più disparate dissertazioni di esperti e intellettuali nonché di semplici commentatori d’occasione, confesso che vorrei essere avvocato, alla maniera di Gamaliele, ripensando, con meraviglia e spirito grato, agli albori della Chiesa.
Un buon avvocato del Corpo Mistico, infatti, sarebbe capace per vocazione – e non per tornacontocrazia – non solo di difendere Cristo, il nostro Capitano, Re e Signore dell’Universo, ma chiunque Lo rappresenti nel Suo Pensiero e nel Suo Volere, dal vociare sgraziato e scomposto – purché il più erudito possibile, secondo il bon ton in uso tra i salotti di un neocattolicesimo ormai tanto in voga quanto depistante – che si impone alle orecchie degli sprovveduti come nuovo verbo degno di ogni fiducia, in grado di spazzar via confusione ed eresia già all’esordio del suo proferimento. Figurarsi!
Se il prender atto che l’attuale pontificato, destando non pochi dubbi, interrogativi e preoccupazioni, ha come prima importante conseguenza il giustificare lo scardinamento da ogni autorità da Dio costituita, per procedere in totale autonomia di percorso e di giudizio, idealmente rifondando una chiesa (il minuscolo è d’obbligo) di soli “buoni”; beh, questo la dice lunga sull’origine di un simile azzardo.
Se si afferra l’insegnamento di San Giovanni della Croce secondo cui “ogni passione ottunde il giudizio”, si ha l’esatta percezione che Papa Francesco sia il paravento perfetto dietro cui alcuni si nascondono per sviare l’attenzione dal segreto proposito di voler affondare retroattivamente tutto ciò che della Chiesa non si è, in realtà, compreso e accettato. Emerge così una sottile ma ostinata impressione che la Storia della Salvezza debba essere salvata da sé stessa. Una bestemmia.
Ed è più o meno ciò che avviene nei confronti di quel martire bianco che è stato Papa Benedetto XVI; con l’erronea convinzione che certo cianciare sia voluto da Dio, sia necessario alla verità, sia confacente all’edificazione di una Chiesa migliore dei recentissimi tempi passati! E perché ciò avvenga, tra l’altro, sembra non resti altro da fare che assestare picconate, continue e brutali, alle rovine di un Corpo Mistico tutto “sbagliato”, in fondo, che va riportato alla sua forma originale potando certi rami (in realtà, tutti quelli dopo Papa Pio XII, come da miglior tradizione sedevacantista). Come se potessimo ridare alle membra di un adulto le fattezze di quelle da bambino!
Che dire?
Oh innocente Superbia, oh beato Orgoglio che ci mostri la via?! E servitori di cotanta Saggezzah, eminenze grigie che si espongono per pura carità, nevvero, fremono ad ogni raglio d’asino ritenendosi gli unici erogatori di verità, adombrando sistematicamente la Parola di Dio, la Via, la Verità e la Vita, con totale, fattivo sprezzo dei Suoi Vicari.
Abbiamo dimenticato l’altissimo insegnamento di San Paolo in 1Cor 12,12-27, in cui – non a caso – la Chiesa viene paragonata al corpo umano:
“Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l’udito? Se fosse tutto udito, dove l’odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo?”
Ed è così che, sordi alla Parola di Dio e ai richiami dei più semplici, proprio come seppe esserlo Papa Benedetto XVI nonostante il suo immenso sapere, vogliamo tutti essere “capo”, mettendoci al posto di altri preposti a farlo per divino mandato!
Pensiamo; ma fuori dalle Scritture, ormai.
A quando un rivendicare pubblicamente la Signoria del Verbo sul nostro cianfrugliare?
Ci fregiamo di essere cattolici senza più avere, né preoccuparci di mostrare, un pensiero cristocentrico.
L’autoreferenzialità, talvolta esasperata da qualche laurea di troppo o da nessuna laurea, è veleno che non risparmia alcuna forma di partitismo in essere, pur tra fratelli che dovrebbero condividere ardentemente e assiduamente il pane della Parola Sua, e non il briciolame continuo di umana produzione!
Sempre più preoccupati di essere à la page, di avere followers (a dispetto di Cristo, la “maggioranza” continua ad avere un fascino letale!), di “monetizzare” il parto podalico di neuroni egoriferiti, dicendo prima di altri, diversamente da altri, meglio di altri!
Pare proprio che ciò che conta sia il carpe diem anche tra cattolici (si riporti alla mente la fine di Anania e di sua moglie Saffira, che è poi la fine di tutti i furbi). Che importa, dunque, se ciò che affermiamo scandalizza e ferisce le anime più fragili e non ancora spiritualmente ferrate, inducendole al distacco dalla fede: conta solo l’“io valgo, ho maturato le competenze necessarie, il mio parere è il migliore, le mie intenzioni le più rette, le mie azioni le sole ispirate!”. Quando non il “devo pur campare”; ovviamente mai dichiarato.
E avanti così, a suon di upvotes autoassegnati o di like che ci mandano in sollucchero. Puah, si può dire?!
Da aspirante avvocato delle cause perse, allora, avrei pur buttato giù qualche logica ovvietà e qualche fatterello da contrapporre alle sempre più sfrontate e, si badi bene, funzionali accuse di eresia, di modernismo, di ratzingerismo e chi più ne ha più ne metta, all’indirizzo di quel “santo” che è stato e che è, l’uomo, il sacerdote, il vescovo, il cardinale, il Papa Joseph Aloisius Ratzinger, se non fosse che aborro entrare continuamente in polemica e in singolar tenzone.
Piuttosto penso sia di gran lunga più utile – ancora una volta – annodare la nostra vacuità al peso cogente della Parola di Dio, su cui noi tutti dovremo rendere conto all’esame finale.
Ed allora, perché non assaporare insieme qualche fugace morso alle pagine saporose e svezzanti del Vangelo?
“Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi”. Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: “Siamo forse ciechi anche noi?”. Gesù rispose loro: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane”. Gv 9,39-41
Ma ripensando al trattamento, ricollegabile unicamente a mano d’uomo “psichico” (e non certo “pneumatico”, secondo il pensiero paolino), riservato a Papa Benedetto XVI prima e dopo il suo trapasso, rammentavo il sottile e convincente ragionamento con cui Gamaliele seppe difendere gli apostoli dal sinedrio, affermando:
“Per quanto riguarda il caso presente, ecco ciò che vi dico: Non occupatevi di questi uomini e lasciateli andare. Se infatti questa teoria o questa attività è di origine umana, verrà distrutta; ma se essa viene da Dio, non riuscirete a sconfiggerli; non vi accada di trovarvi a combattere contro Dio!”. (Atti 5,38-39)
Allora mi chiedo: pensiamo mai davvero a quale possa essere il nostro ruolo “biblico” nei frangenti della vita? Non siamo forse noi, proprio oggi, quel sinedrio? Noi, quei ciechi? Sempre noi, quei tali che si ritrovano a combattere contro Dio per aver tentato di distruggere – ieri, oggi, domani – qualche suo apostolo?
Perdonerà il lettore se oso riproporre, per un’ultima provocazione, una fola che tutti conosciamo, la cui morale andrebbe assolutamente recuperata dall’oblio per farne tesoro al tempo presente, hic et nunc:
<<Un lupo ed un agnello, spinti dalla sete, erano giunti allo stesso ruscello. Più in alto si fermò il lupo, molto più in basso si mise l’agnello. Allora quel furfante, spinto dalla sua sfrenata golosità, cercò un pretesto di litigio. “Perché – disse – intorbidi l’acqua che sto bevendo?”
Pieno di timore, l’agnello rispose:
“Scusa, come posso fare ciò che tu mi rimproveri? Io bevo l’acqua che passa prima da te.”
E quello, sconfitto dall’evidenza del fatto, disse: “Sei mesi fa hai parlato male di me”.
E l’agnello ribatté:
“Ma se ancora non ero nato!”
“Per Ercole, fu tuo padre a parlar male di me” – disse il lupo.
E subito gli saltò addosso e lo sbranò fino ad ucciderlo ingiustamente.>>
E ora, amatissimo e incompreso Papa Benedetto XVI, confidenzialmente, mi abbandono a un pensiero di commiato:
Sei stato mansuetissimo agnello e non certo lupo travestito o vile pecora, come in troppi ti dipingono; vera icona del Buon Pastore e sacrificio a Dio gradito, modello di virtù quasi estinte e voce di uno che grida infaticabilmente nel deserto; un Santo Padre con pregi e difetti – come chiunque sulla terra – ma inconfutabilmente Servo di Dio, tutto Amore e Verità nella misura a te destinata, secondo il Cuore di Cristo. Per questo sei stato tanto ostacolato, sottovalutato e frainteso, rigettato dal mondo e da chi ne fa parte.
A Dio!
Firmato: Hinato
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