Il Card. Pietro Parolin, Segretario di Stato del Vaticano ha rilasciato nei giorni scorsi una lunga intervista a LIMES. Riprendo solo i passi dell’intervista relativi alla guerra in Ucraina. L’intervista è stata rilanciata integralmente da FarodiRoma da cui riprendo i passi.
Il Papa ha ripetutamente rivolto a russi e ucraini accorati appelli di pace. Senza esito, anzi senza riscontro. Perché?
La voce del Papa, spesso, è «vox clamantis in deserto» («una voce che grida nel deserto»). È voce profetica, di lungimirante profezia. È come un seme gettato, che ha bisogno di un terreno fertile per portare frutto. Se gli attori principali del conflitto non prendono in considerazione le sue parole, purtroppo, non succede nulla, non si ottiene la fine dei combattimenti. Era accaduto così nel 1917, con la famosa Nota di pace di Benedetto XV durante l’«inutile strage» della prima guerra mondiale, ignorata dalle potenze belligeranti di allora. Si è ripetuto con gli appelli di Pio XII, che fece di tutto per scongiurare l’immane tragedia della seconda guerra mondiale. Pensiamo ancora, più vicina a noi, all’accorata richiesta di san Giovanni Paolo II, che nel 2003 supplicò di non attaccare l’Iraq. Pure oggi, nella tragica vicenda ucraina, non sembra emergere al momento disponibilità a intavolare reali negoziati di pace e ad accettare l’offerta di una mediazione super partes. Come è evidente, non è sufficiente che una delle parti lo proponga o lo ipotizzi in via unilaterale, ma è imprescindibile che entrambe esprimano la loro volontà in questo senso. Ancora una volta… vox clamantis in deserto. Ma le parole del papa restano comunque una testimonianza di altissimo valore, che incide in tante coscienze, rendendo più consapevoli gli uomini che la pace, e la guerra, iniziano nei nostri cuori e che tutti siamo chiamati a dare il nostro contributo per promuovere la prima ed evitare la seconda.
Papa Francesco ha subito denunciato la «guerra mondiale a pezzi» in corso. Perché questa sua profezia è stata sottovalutata, e in che senso l’aggressione russa all’Ucraina può segnare un salto negativo verso la congiunzione dei pezzi in un conflitto mondiale vero e proprio?
La guerra in Ucraina ci colpisce per diversi motivi, soprattutto perché è un conflitto nel cuore dell’Europa, tra nazioni cristiane, iniziato da un paese che possiede ordigni nucleari, con la possibilità concreta che la situazione sfugga di mano. Voi avete ragione allora quando segnalate la possibilità di un salto negativo verso la congiunzione dei pezzi in un conflitto mondiale vero e proprio. Credo che noi non siamo ancora in grado di prevedere o calcolare le conseguenze di quanto sta accadendo. Migliaia di morti, città distrutte, milioni di sfollati, l’ambiente naturale devastato, il rischio di carestia per la mancanza di grano in tante parti del mondo, la crisi energetica… Come è possibile che non si riconosca che l’unica risposta possibile, l’unica via praticabile, l’unica prospettiva percorribile è quella di fermare le armi e promuovere una pace giusta e duratura? Quanto all’acuta osservazione di papa Francesco sulla terza guerra mondiale a pezzi e l’aggiunta della saldatura dei pezzi, vorrei aggiungere che il papa e la Santa Sede hanno sempre dimostrato una grande attenzione alle tante guerre dimenticate, che, essendo lontane da noi, ci preoccupano meno o comunque escono più in fretta dai riflettori dei grandi media internazionali. Varrebbe la pena di rileggere i testi dei messaggi Urbi et orbi del papa e dei suoi discorsi al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede.
Papa Francesco non è «il cappellano dell’Occidente», come invece potevano apparire alcuni dei suoi predecessori. È una scelta legata alla sua biografia o una svolta profonda nella visione del mondo della Chiesa?
Ha detto bene: «come invece potevano apparire», perché non mi sembra che sia realmente accaduto. Ricordo, ad esempio, la posizione espressa da Pio XII sulla guerra in Corea, nel 1950, e il suo rifiuto di farsi in qualche modo «arruolare» dal presidente degli Stati Uniti Harry Truman. Ricordo la mano tesa all’islam da san Giovanni Paolo II, che ricusò, con tutte le forze che ancora gli rimanevano, l’idea dello «scontro di civiltà» dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Non dimentichiamo il suo gesto di riunire i leader delle religioni mondiali ad Assisi per promuovere la pace e togliere qualsiasi giustificazione all’abuso del nome di Dio per fini di violenza e di terrorismo. Ho proposto solo due esempi, ma ce ne sarebbero molti altri utili a dimostrare come il cliché di «cappellano dell’Occidente» non si addice al pastore della Chiesa universale, nonostante i tentativi di accaparrarselo dall’una e dall’altra parte. Papa Francesco, che i cardinali nove anni fa hanno chiamato sul Soglio di Pietro andandolo a prendere «quasi alla fine del mondo», appare ancor meno omologabile al cliché di cui sopra. Credo che l’universalità e la particolare attenzione e sensibilità verso le popolazioni dei paesi più poveri, come pure una Chiesa meno eurocentrica e uno sguardo multilaterale rispetto ai problemi internazionali facciano parte del dna della Chiesa cattolica. E si inscrivano in un processo iniziato e poi portato avanti nei precedenti pontificati. Ogni Papa, almeno a partire da Pio XII, ha fatto un passo in più in questa direzione.
Kiev o Mosca: quale destinazione ha la priorità nell’agenda del Santo Padre e perché?
Come il Santo Padre stesso ha spiegato pubblicamente, il suo desiderio più grande, e quindi la sua priorità, è che attraverso i suoi viaggi si possa giungere a un beneficio concreto. In quest’ottica, egli ha detto di volersi recare a Kiev per portare conforto e speranza alle popolazioni colpite dalla guerra. Allo stesso modo, ha annunciato la sua disponibilità di viaggiare anche a Mosca, in presenza di condizioni che siano veramente utili alla pace. Credo che nel cuore del papa vi siano le vittime della guerra e di tutti i conflitti dimenticati. I morti, innanzitutto, poi i loro familiari, coloro che hanno perso tutto, coloro che sono dovuti scappare. Papa Francesco ha inteso dimostrare concretamente questa vicinanza con i viaggi dei cardinali Konrad Krajewski e Michael Czerny e con la missione in Ucraina del segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, l’arcivescovo Paul R. Gallagher.
Papa Francesco ha incontrato tre volte Vladimir Putin, nel 2013, 2015 e 2019. Qual è il suo rapporto con il presidente russo?
Fin dai primi mesi di pontificato, papa Francesco si è rivolto al presidente russo a proposito del conflitto in Siria. I successivi incontri erano stati cordiali e avevano permesso di trovare dei punti di convergenza. Dal febbraio scorso, i contatti sono avvenuti tramite i canali diplomatici, non più direttamente. Ma vorrei qui ricordare il gesto compiuto dal papa all’indomani dello scoppio delle ostilità, quando, seppur già dolorante al ginocchio, volle recarsi di persona all’ambasciata della Federazione Russa presso la Santa Sede per supplicare il presidente Putin di interrompere l’aggressione all’Ucraina.
Negli Stati Uniti e in altri paesi si accusa spesso il Papa di essere filorusso. Talvolta con toni aspri. Che ne pensa?
Confesso che mi spaventa un po’ questa semplificazione. Il Papa è filorusso perché invoca la pace? Il Papa è filorusso perché condanna la corsa al riarmo e l’impiego di ingenti somme per l’acquisto di nuove e sempre più potenti armi, invece di utilizzare le risorse disponibili per la lotta alla fame e alla sete nel mondo, la sanità, il welfare, l’educazione, la transizione ecologica? Il papa è filorusso perché invita a riflettere su ciò che ha portato a questi inquietanti e pericolosi sviluppi, ricordando che una convivenza fondata sulle alleanze militari e sugli interessi economici è una convivenza dai piedi di argilla? Il Papa è filorusso perché chiede di applicare lo «schema di pace» invece di perpetuare lo «schema di guerra»? Non si può semplificare a tal punto la realtà! Papa Francesco ha condannato fin dal primo istante, con parole inequivocabili, l’aggressione russa dell’Ucraina, non ha mai messo sullo stesso piano aggressore e aggredito né è stato o apparso equidistante. È stato, per così dire, «equivicino», cioè vicino a quanti soffrono le conseguenze nefaste di questa guerra, le vittime civili innanzitutto, e poi i militari e i loro familiari, comprese le madri di tanti giovani e giovanissimi soldati russi che non hanno più avuto notizie dei loro figli morti durante i combattimenti. Ritengo pertanto ingenerose e anche un po’ grossolane certe critiche, legate forse, per tornare a quanto si diceva prima, alla constatazione che il papa non fa il «cappellano dell’Occidente».
La Chiesa è pacifista? Entro quali limiti accetta il ricorso alle armi?
Il Vangelo è annuncio di pace, promessa e dono di pace. Tutte le sue pagine ne sono piene. La invocano gli angeli al momento della nascita di Gesù a Betlemme. La augura Egli stesso ai suoi appena risorto. La Chiesa segue l’esempio del suo Signore: crede nella pace, lavora per la pace, lotta per la pace, testimonia la pace e cerca di costruirla. In questo senso è pacifista. Quanto al ricorso alle armi, il catechismo della Chiesa cattolica prevede la legittima difesa. I popoli hanno il diritto di difendersi, se attaccati. Ma questa legittima difesa armata va esercitata all’interno di alcune condizioni che lo stesso catechismo enumera: che tutti gli altri mezzi per porre fine all’aggressione si siano dimostrati impraticabili o inefficaci; che vi siano fondate ragioni di successo; che l’uso delle armi non provochi mali e disordini più gravi di quelli da eliminare. Il catechismo, infine, afferma che nella valutazione di questa problematica, gioca un ruolo importante la potenza dei moderni mezzi di distruzione. Per tali ragioni, papa Francesco, nell’enciclica Fratelli tutti afferma che non si può più pensare alla guerra come a una soluzione, perché i rischi saranno probabilmente sempre superiori all’ipotetica utilità che le viene attribuita. Conclude con lo stesso grido di san Paolo VI alle Nazioni Unite, il 4 ottobre 1965: «Mai più guerra!».
È giusto armare la resistenza ucraina?
Risponderei a tale domanda rimandando ai princìpi appena esposti. Le decisioni concrete spettano ai governanti, come riconosce il catechismo della Chiesa cattolica. Non va dimenticato, tuttavia, che il disarmo è l‘unica risposta adeguata e risolutiva a tali problematiche, come sostiene il magistero della Chiesa. Si rilegga, ad esempio, l’enciclica Pacem in terris di san Giovanni XXIII. Si tratta di un disarmo generale e sottoposto a controlli efficaci. In questo senso, non mi pare corretto chiedere all’aggredito di rinunciare alle armi e non chiederlo, prima ancora, a chi lo sta attaccando.
In disaccordo con il patriarca Kirill, il concilio della Chiesa ortodossa ucraina ha affermato la sua piena indipendenza e autonomia dal Patriarcato di Mosca. Come valuta questo scisma di fatto e quali riflessi può avere nel rapporto fra Roma, Mosca e Kiev?
Non so se sia appropriato parlare di uno «scisma». Di certo, la guerra in atto, che vede coinvolti popoli fratelli nella fede cristiana e che celebrano, in maggioranza, la stessa liturgia, rappresenta una ferita profonda e sanguinosa per il cristianesimo orientale e per tutti i cristiani. Anche in questo caso, è ancora presto per comprendere le conseguenze di quanto sta avvenendo, ma è certamente più sconvolgente e scandaloso che siano i cristiani, nel cuore dell’Europa, a essere protagonisti di tali tragiche vicende.
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