Di seguito un articolo del vaticanista di Catholic Culture. Eccolo nella mia traduzione.
La Costituzione degli Stati Uniti (Articolo I, Sezione 9) proibisce le leggi ex post facto. Un legislatore può rendere illegale un’attività, ma non può rendere il divieto retroattivo: non si può essere puniti per aver fatto qualcosa che era legale nel momento in cui lo si è fatto.
Il Codice di diritto canonico ha una disposizione simile. Il canone n. 9 afferma che: “Le leggi riguardano le questioni del futuro, non quelle del passato…”. Ma la frase continua con un’importante qualificazione: “… a meno che in esse non si preveda il nome di questi ultimi”.
Poiché non ho alcuna competenza in materia di diritto canonico, non posso offrire un’opinione informata sul fatto che un requisito canonico imposto oggi si applichi ad azioni compiute nel passato. Ma questa domanda sembra ora rilevante. Perché oggi il Vaticano ha pubblicato un documento che sembra imporre un requisito – un’ulteriore restrizione alla Messa latina tradizionale – che prima non esisteva.
All’inizio del mese ho sostenuto (appoggiandomi molto all’eccellente analisi di J.D. Flynn su The Pillar) che il cardinale Arthur Roche non aveva la giusta autorità per dire ai vescovi diocesani che dovevano chiedere il permesso del Vaticano prima di concedere ai loro sacerdoti il permesso di celebrare la liturgia tradizionale.
Ebbene, il cardinale Roche ha ora quell’autorità, grazie al rescritto emesso oggi (il 21 febbraio, ndr) dal Vaticano. Il nuovo documento, emesso con l’esplicita approvazione di Papa Francesco, conferisce al Dicastero per il Culto Divino (di cui il Cardinale Roche è a capo) l’unica autorità di emettere dispense dalle severe disposizioni della Traditionis Custodes, che limita l’uso della liturgia tradizionale. I vescovi diocesani non possono emettere tali dispense di propria autorità.
Ciò che rende questa storia particolarmente interessante è il fatto che a dicembre il cardinale Roche ha affermato di avere già la sola autorità di autorizzare le dispense. Il Codice di Diritto Canonico (n. 87) dà ordinariamente ai vescovi diocesani l’autorità di concedere le dispense di propria iniziativa, tranne nei casi in cui il Vaticano si è riservato tale autorità. La Traditionis Custodes non dice che la Santa Sede si è riservata tale autorità. In effetti il cardinale Roche sosteneva che fosse implicita nel documento. Ma – ancora una volta, in qualsiasi circostanza ordinaria – la legge è ciò che la legge dice, non ciò che un interprete pensa che la legge implichi. A meno che quell’interprete non sia il Papa. Poiché il Papa è il legislatore supremo, e poiché Papa Francesco ha emanato la Traditionis Custodes, la sua lettura del documento è l’ultima parola.
Il cardinale Roche ha categoricamente respinto l’idea che la sua interpretazione del documento papale possa essere andata oltre le intenzioni del Papa. “È un’assurdità pensare che il prefetto di un dicastero possa fare qualcosa di diverso dall’esercitare la volontà del Santo Padre”, ha assicurato a un amichevole interlocutore. Il cardinale ha poi accusato che l’articolo di Flynn, sollevando delicatamente la questione dell’autorità, non era “un vero e proprio attacco a me, ma all’autorità del Papa, che per i cattolici è un atto sorprendente e pieno di arroganza”.
Ebbene, se l’analisi di Flynn era assurda, perché il Vaticano ha sentito il bisogno di rafforzare l’autorità del dicastero del cardinale Roche con il nuovo rescritto? Perché il nuovo documento si è preso la briga di affermare esplicitamente ciò che il cardinale sembrava pensare che qualsiasi lettore sensato avrebbe già saputo? Il documento di oggi dice che il Papa ha “confermato” le restrizioni che il cardinale Roche aveva annunciato a dicembre (sostenendo che la Santa Sede ha la sola autorità di emettere dispense, e quindi privando i vescovi diocesani di tale diritto), ma il rescritto assomiglia molto a un nuovo atto legislativo canonico, che impone tali restrizioni. Dopotutto, se le restrizioni fossero già in vigore, il rescritto non sarebbe stato necessario; un semplice riferimento al linguaggio pertinente nella precedente direttiva papale sarebbe stato sufficiente.
Questo rescritto è quindi un caso di legislazione ex post facto? Ricordiamo che il canone n. 9 consente una legislazione di questo tipo, se “è previsto… per nome”. Il rescritto afferma esplicitamente che l’autorità di dispensare dalle disposizioni della Traditionis Custodes è riservata alla Santa Sede. Quindi i vescovi che hanno emanato tali dispense, pensando che il loro diritto di farlo fosse chiaro in base alla disposizione del Canone n. 87 – poiché nulla nella Traditionis Custodes diceva il contrario – sono stati ora privati di tale diritto – in modo retroattivo.
Ancora una volta, il Papa è il legislatore supremo della Chiesa cattolica. Il suo diritto di creare, modificare e interpretare il diritto canonico è indiscusso. Ma in questo caso, come in altri, il suo approccio insensibile ai dettagli della legislazione canonica e il suo disprezzo per i diritti dei vescovi diocesani smentiscono le sue incessanti affermazioni di promuovere uno stile di governo “sinodale”. Come ha detto il vaticanista Andrea Gagliarducci concludendo la sua rubrica MondayVatican questa settimana: “Certo, tutti i Papi sono re, ma pochi usano le prerogative dei re. Papa Francesco lo fa. Questo non si può negare”.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. Sono ben accolti la discussione qualificata e il dibattito amichevole.
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