Nicholas Sandmann (sinistra) e Nathan Phillips  (destra)

Nicholas Sandmann (sinistra) e Nathan Phillips (destra)

 

di Sabino Paciolla

 

Uno studente del liceo di Covington, nel Kentucky, Nicholas Sandmann, ha citato in giudizio il Washington Post per diffamazione martedì, sostenendo che il giornale lo ha falsamente accusato di atti razzisti nei confronti di un attivista nativo americano in un incidente avvenuto a gennaio al Lincoln Memorial di Washington, DC.

Lui ed i suoi amici, al termine della Marcia della vita a Washington, il 18 gennaio scorso, stavano assistendo ad un pesante attacco verbale fatto da un gruppo di israeliti ebrei di colore. Subito dopo, un attivista nativo americano, tale Nathan Phillips, gli si è fatto incontro cantando una canzone e suonando un tamburo a pochi centimetri dal suo volto. Il ragazzo, molto educatamente, è rimasto impassibile.

Nonostante questo, tutti i media di una certa area politica, capeggiati, secondo gli avvocati del giovane, dal Washington Post, hanno imbastito una campagna mediatica contro il ragazzo ed i suoi amici accusandoli di aver accerchiato il nativo americano e di aver usato espressioni razziste nei suoi confronti. Un completo ribaltamento dei fatti: i ragazzi, da vittime, sono diventati gli aggressori. Il video incriminato che ribalta la realtà, e che è diventato subito virale, lo potete trovare qui.

Perché tutto questo? Semplice, il ragazzo era bianco ed indossava un cappello rosso con la scritta “MAGA”, iniziali di Make American Great  Agan, cioè “Fa che l’America torni ad essere di nuovo grande”, che è stato lo slogan elettorale di Trump. E quale miglior occasione per poter attaccare Trump ed i suoi elettori? I media schierati americani non si sono fatti scrupoli di attaccare un teenager per attaccare in realtà Trump.

Al danno si è aggiunta la beffa. In un impeto di adesione al Politicamente Corretto, sia la diocesi di Covington, cui appartiene la scuola frequentata dal giovane, sia altre arcidiocesi, e persino alcuni rappresentanti della stessa Marcia per la vita, senza una preventiva verifica dei fatti, senza alcuna prudenza, senza alcuna attesa per la visione di altri video, che pure erano numerosi, hanno subito stigmatizzato l’episodio, esprimendo da una parte solidarietà al nativo americano e, dall’altra, una reprimenda nei confronti del ragazzo. Tanto che la stessa scuola cattolica frequentata dal teenager aveva aperto un’azione disciplinare che sarebbe potuta sfociare nella sua espulsione per atti di razzismo.

Nè le diocesi, nè i responsabili della Marcia della vita hanno capito quale fosse il vero obiettivo di certi media: oscurare la Marcia della vita, anzi, infangarla, perché ogni anno, con sempre maggiore vigore e partecipazione, porta alla ribalta il problema dell’aborto, una spina nel fianco di una certa cultura.

Purtroppo, sia le diocesi, sia i responsabili della Marcia per la vita ci sono cascati, e si sono uniti, involontariamente, alla campagna di odio verso il povero ragazzo, ma, in realtà, verso loro stessi. Un’involontaria azione autolesionistica. Così, un gruppo di ragazzi adolescenti che non avevano fatto nulla di male, ma che erano stati scelti come bersaglio opportunistico, sono stati oggetto di una aggressiva e senza scrupoli denuncia pubblica.

Invece, bastava essere prudenti e verificare i fatti, anche attraverso l’ausilio dei filmati (vedere quello in fondo a questo articolo). E invece no, alcuni vescovi hanno ritenuto di sposare da subito la vulgata del razzismo dei bianchi trumpiani nei confronti di persone native americane.

Però, per fortuna, molti siti internet e giornali cattolici non mainstream, alcuni direbbero di stampo conservatore e/o tradizionalista, si sono subito levati a difesa del giovane, costringendo le diocesi a riconsiderare i loro precedenti comunicati ufficiali. Solo dopo qualche giorno le diocesi, scusandosi, hanno dovuto ammettere di essersi sbagliate.

La stessa diocesi di Covington ha istruito una indagine interna che ha confermato pienamente la versione dello studente, discolpandolo. Anzi confermando che i fatti erano stati totalmente stravolti.

Ma la lacrimosa e falsa storia raccontata da Nathan Phillips al Washington Post e che suonava: «Si stava mettendo male per me e ho pensato: “Devo riuscire ad andarmene da questa situazione e finire la mia canzone al memoriale di Lincoln”. Ho provato a farlo, ma quel ragazzo mi si è parato davanti e mi sono ritrovato in un vicolo cieco», non poteva rimanere senza conseguenze.

Infatti, gli avvocati del giovane Sandmann hanno presentato la prima di quelle che ci si aspetta siano molte cause per diffamazione, chiedendo danni compensativi e punitivi per aver guidato un Internet mobbing che ha diffamato Sandmann e i suoi coetanei.

Secondo Reuters, gli avvocati Lin Wood e Todd McMurtry stanno chiedendo al Washington Post 250 milioni di dollari di danni per conto di Sandmann, una somma pari all’importo che il miliardario Jeff Bezos, fondatore, presidente e amministratore delegato di Amazon.com, ha pagato per comprare il giornale nel 2013.

La causa sostiene che il giornale ha contribuito a pubblicizzare una foto ormai famigerata che ha contribuito a scatenare una campagna diffamatoria via internet nei confronti dell’adolescente, chiedendo la sua punizione.

Come riportato da DailyWire:“Nel prendere di mira e bullizzando Nicholas (Sandmann) accusandolo falsamente di aver istigato l’incidente del 18 gennaio, il Post ha comunicato che Nicholas si è impegnato in atti di razzismo “accerchiando” Phillips, “bloccando” il suo atto di allontanarsi dagli studenti, e per il resto impegnandosi in comportamenti razzisti”, si legge nella denuncia. “Il Washington Post ha ignorato gli standard giornalistici di base perché voleva portare avanti la sua ben nota e facilmente documentabile agenda di parte contro il presidente Donald J. Trump (“il presidente”) attaccando individui percepiti come sostenitori del presidente.

Il vice presidente per le comunicazioni del Washington Post Kristine Coratti Kelly ha detto a Reuters: “Stiamo esaminando una copia della denuncia e abbiamo intenzione di organizzare una difesa vigorosa”.

Gli avvocati di Sandmann hanno anche accusato il Washington Post di ricorrere all’odierno McCarthyismo (cioè una odierna caccia alle streghe):

In un arco di tre (3) giorni nel gennaio di quest’anno, a partire dal 19 gennaio, il Washington Post si è impegnato in una forma moderna di McCarthyismo (cioè una “caccia alle streghe”, ndr) per rivendicare la leadership di una folla di bulli dei media mainstream e social che ha attaccato, diffamato e minacciato Nick Sandmann, un minore innocente”, ha detto l’avvocato Lin Wood.

Ha continuato: “Il Post ha comunicato a terze parti senza diritto non meno di sei articoli falsi e diffamatori di e riguardanti Nicholas, di cui due sul suo giornale cartaceo e quattro online”.

Secondo il Daily Wire, gli avvocati di Sandmann hanno inviato “lettere per potenziali azioni legali a più di 50 entità che vanno dai politici democratici, alle celebrità e ai personaggi dei media”.

 

Questa lista di giornalisti, giornali e celebrità include:

1. The Washington Post
2. The New York Times
3. Cable News Network, Inc. (CNN)
4. The Guardian
5. National Public Radio
6. TMZ
7. Atlantic Media Inc.
8. Capitol Hill Publishing Corp.
9. Diocese of Covington
10. Diocese of Lexington
11. Archdiocese of Louisville
12. Diocese of Baltimore
13. Ana Cabrera (CNN)
14. Sara Sidner (CNN)
15. Erin Burnett (CNN)
16. S.E. Cupp (CNN)
17. Elliot C. McLaughlin (CNN)
18. Amanda Watts (CNN)
19. Emanuella Grinberg (CNN)
20. Michelle Boorstein (Washington Post)
21. Cleve R. Wootson Jr. (Washington Post)
22. Antonio Olivo (Washington Post)
23. Joe Heim (Washington Post)
24. Michael E. Miller (Washington Post)
25. Eli Rosenberg (Washington Post)
26. Isaac Stanley-Becker (Washington Post)
27. Kristine Phillips (Washington Post)
28. Sarah Mervosh (New York Times)
29. Emily S. Rueb (New York Times)
30. Maggie Haberman (New York Times)
31. David Brooks (New York Times)
32. Shannon Doyne
33. Kurt Eichenwald
34. Andrea Mitchell (NBC/MSNBC)
35. Savannah Guthrie (NBC)
36. Joy Reid (MSNBC)
37. Chuck Todd (NBC)
38. Noah Berlatsky
39. Elisha Fieldstadt (NBC)
40. Eun Kyung Kim
41. HBO
42. Bill Maher
43. Warner Media
44. Conde Nast
45. GQ
46. Heavy.com
47. The Hill
48. The Atlantic
49. Bustle.com
50. Ilhan Omar
51. Elizabeth Warren
52. Kathy Griffin
53. Alyssa Milano
54. Jim Carrey

 

Ecco il video che svela tutta le falsità costruite:

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