Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Ted Galen Carpenter e pubblicato su Antiwar. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella mia traduzione.
Dalla fine della Seconda guerra mondiale, l’élite politica americana ha fatto ricorso a una serie di presunti demoni stranieri per giustificare una politica interventista globale e militarizzata. Vladimir Putin e la Grande Minaccia Russa sono l’ultima versione. Non sorprende che i funzionari statunitensi la citino come ragione per fornire ampi aiuti militari ed economici all’Ucraina. L’amministrazione Biden sostiene che l’Ucraina è in prima linea nella battaglia globale tra autocrazia e democrazia. In modo più sostanziale, i leader statunitensi e i loro sostenitori dipingono l’Ucraina come una barriera fondamentale contro l’espansione imperiale russa nel cuore dell’Europa.
L’establishment della politica estera americana ha sfruttato spudoratamente la “minaccia russa” per giustificare lo stazionamento di ulteriori truppe, aerei, navi e missili statunitensi in Europa, soprattutto nei Paesi membri della NATO. Hanno anche generato il panico tra i Paesi precedentemente neutrali, Svezia e Finlandia, affinché si unissero all’alleanza dominata dagli Stati Uniti. Il conflitto in Ucraina è servito a perpetuare e consolidare lo status egemonico di Washington in Europa e a spingere gli alleati della NATO, talvolta ostinati, a fare maggiore affidamento sulla leadership statunitense per la loro difesa.
L’uso della minaccia russa come pretesto per una politica che i leader statunitensi volevano perseguire in ogni caso non si limita al teatro europeo. Non è nemmeno l’unico caso di inflazione delle minacce in generale. Durante gran parte della Guerra Fredda, le amministrazioni hanno ripetutamente invocato la minaccia del comunismo internazionale (sia la varietà sovietica che quella cinese) per spiegare l’ingerenza militarizzata di Washington in Medio Oriente, Sud-Est asiatico, America Latina e Africa. La cosiddetta Dottrina Truman, che prevedeva aiuti alla Grecia e alla Turchia, ne fu una prima manifestazione. La presentazione della Teoria del Domino da parte di Dwight Eisenhower, che sosteneva che una vittoria comunista in Indocina avrebbe portato a un ampio trionfo totalitario dall’India al Giappone, divenne un’espansione grafica di questa tesi. Non solo divenne un pretesto per l’intervento militare di Washington in Vietnam, ma favorì iniziative successive in luoghi diversi come Nicaragua, Libano e Afghanistan, con effetti terribilmente distruttivi.
La dissoluzione dell’Unione Sovietica creò per breve tempo problemi all’establishment della politica estera statunitense e portò alla disperata ricerca di un nuovo nemico credibile. Colin Powell, presidente degli Stati Maggiori Riuniti, si lamentò di essere “a corto di demoni” e di essere rimasto a Cuba con Fidel Castro e la Corea del Nord con Kim Il Sung. È diventato difficile giustificare una politica imperiale globale e costosa per contrastare questi attori minori, e il bilancio militare di Washington è diminuito leggermente su una base aggiustata per l’inflazione. Sia l’amministrazione Clinton che quella di George W. Bush, tuttavia, si sono mosse per inimicarsi la Russia espandendo la NATO verso est e umiliando l’alleato di lunga data di Mosca, la Serbia, durante le lotte nei Balcani. Queste misure hanno gettato le basi per una nuova guerra fredda.
Non era certo che la strategia anti-Russia al rallentatore avrebbe funzionato, ma gli attacchi terroristici dell’11 settembre hanno risparmiato all’élite di Washington di affrontare questo possibile dilemma. L’establishment politico statunitense aveva ora un nuovo avversario molto spaventoso per giustificare le spese militari gonfiate e gli interventi militari in varie regioni. E a differenza della Guerra Fredda, che si concluse bruscamente, c’era poco pericolo che una guerra contro un nemico amorfo, il “terrorismo islamico”, subisse un destino simile.
Ciononostante, i leader statunitensi si sono probabilmente sentiti sollevati quando i tentativi provocatori della NATO di fare dell’Ucraina una risorsa militare dell’Alleanza hanno infine provocato una risposta aggressiva e poco saggia da parte della Russia. L’opinione pubblica occidentale (soprattutto quella americana) mostrava segni di stanchezza per la guerra, dato che gli interventi nella cosiddetta guerra al terrorismo, in particolare quelli in Iraq, Libia, Siria e Afghanistan, erano diventati fiaschi costosi, sanguinosi e apparentemente senza fine. Le azioni della Russia in Ucraina, in particolare l’invasione del febbraio 2022, hanno dato a Washington uno spauracchio più credibile, che ricorda la minaccia sovietica durante la Guerra Fredda.
Contrastare la “minaccia russa” non solo è diventato il fondamento logico di una politica statunitense dura in Europa, ma è anche una scusa per una politica più attivista in luoghi come l’Africa occidentale e la Siria. Sebbene i politici statunitensi continuino a tirare in ballo la presunta minaccia dell’estremismo islamico come motivo di preoccupazione in entrambe le aree, è chiaramente diventata una giustificazione secondaria. Sia il segretario di Stato Tony Blinken che il vicesegretario di Stato ad interim Victoria Nuland hanno dichiarato che una delle loro principali preoccupazioni è la possibilità che le forze del Gruppo Wagner della Russia si spostino in Niger in seguito al colpo di Stato militare in quel Paese. Gli esperti hanno notato che la Siria è sempre più un campo di battaglia per l’influenza statunitense e russa. In effetti, la motivazione ufficiale di Washington per mantenere le truppe statunitensi in Siria, contro l’esplicita volontà del governo siriano, per contrastare la minaccia dello Stato Islamico in costante peggioramento, rasenta la farsa.
Il popolo americano deve essere molto più attento e resistente allo stanco stratagemma di usare uno spauracchio straniero per giustificare la presenza militare degli Stati Uniti nel mondo. Putin e la presunta minaccia esistenziale russa sono solo l’ultima versione di questa cinica tecnica di propaganda.
Ted Galen Carpenter
Ted Galen Carpenter, Senior Fellow del Randolph Bourne Institute, è autore di 13 libri e più di 1.100 articoli sugli affari internazionali. In 37 anni di carriera presso il Cato Institute, Carpenter ha ricoperto diverse posizioni politiche di alto livello. Il suo ultimo libro è Unreliable Watchdog: The News Media and U.S. Foreign Policy (2022). Visualizza tutti i messaggi di Ted Galen Carpenter
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. I contributi pubblicati su questo blog hanno il solo scopo di alimentare un civile e amichevole confronto volto ad approfondire la realtà.
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