di Aurelio Porfiri

 

Penso molti avranno visto la copertina della rivista paolina Credere, in cui fa bella mostra suor Nathalie Becquart, suora delle Missionarie di Cristo Gesù, dette Saveriane, nominata come sottosegretario del Sinodo dei Vescovi e quindi prima donna con il diritto di voto, cosa che ci viene ricordata un giorno sì e l’altro pure, il che la dice lunga sulla reale attenzione della Chiesa per questi argomenti e di come vengano considerati “normalità”: se una cosa è veramente normale non la si deve sempre stare a ripetere. Ma non è questo di cui mi voglio occupare.

Voglio commentare sull’immagine che suor Becquart offre di se, vestita come una laica qualunque. Il giornalista Salvatore Cernuzio su La Stampa (febbraio 2021) così la descrive: “Fisico esile da ex skipper, vestita elegantemente, con occhi chiari e vivaci, si trova a Roma da circa un mese, dopo la nomina del Papa comunicatale al cellulare il 2 febbraio, giorno della Vita Consacrata, e ufficializzata il 6. Ha lasciato la sua comunità Xavière a Parigi, in cui ha sempre vissuto, e ora si trova nella «grande barca» del Vaticano a studiare, ascoltare, imparare”.

Ora, io non sto a criticare suor Becquart che per quello che mi riguarda può anche essere una santa, ma dico che per aiutarci a santificarci anche a noi, la testimonianza dell’abito aiuterebbe molto, perché un conto è vedere una signora elegante con i capelli messi a posto, un altro una donna con un abito che chiaramente indica una dedizione e un dono di sé che sacrifica l’eleganza del vestire e la messa in piega per essere segno visibile di un modo di essere nel mondo, ma non del mondo. Ora c’è da dire in difesa di suor Becquart che anche le sue consorelle non vestono un abito religioso particolare, la sua congregazione probabilmente non ne prevede uno. Non sono sicuro se questo risalga alla loro fondazione, potrebbe anche essere. Se così fosse, suor Becquart mi perdonerà, io credo ancora nell’importante elemento della distinzione che un abito offre. Probabilmente loro non vestono un abito particolare per mischiarsi più facilmente tra la gente, ma io continuo a preferire i medici che vestono da medici, i preti che vestono da preti (e Dio sa quanto il clero ha responsabilità in questa sciatteria nel vestire) e le suore che nel vestire testimonino un modo di essere nel mondo ma non del mondo. Molte suore, anche consorelle di suor Becquart, hanno testimoniato con il martirio la propria fede, e noi ci augureremmo questo non debba più accadere, a noi basterebbe la testimoniassero con la loro coerenza di vita e con la testimonianza del loro abito religioso.

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