di Aurelio Porfiri
Bisognerebbe capire e riprendere il concetto di “scuola” per poter sperare che ci sia una rinascita nella musica come nell’arte sacra. Non dimentichiamo che i grandi pittori hanno avanzato nella loro arte non solo per l’indubbio talento di cui il buon Dio li ha forniti, ma anche “per essere stati a bottega” di questo o quel maestro. E cosa doveva essere apprendere l’arte dai grandi maestri che a loro volta l’avevano presa dai maestri a loro precedenti? Ecco come si trasmetteva la tradizione, che ognuno poi incarnava nel suo tempo e con i suoi mezzi espressivi, ma senza tradirla. Non dimentichiamo mai che nella parola “tradizione” è insito anche il senso di “tradimento”. Anche quest’ultimo è un consegnare, ma in modo vile, cioè non a coloro ai quali quella persona o quel deposito era destinato.
La scuola garantiva una trasmissione ordinata della sapienza tradizionale in modo che essa fosse un bagaglio per i neofiti per poter guardare, come si usa dire, sulle spalle dei giganti. Ecco perché le tradizioni artistiche, per quanto non direttamente di origine divina o apostolica, avrebbero dovuto avere ben altro rispetto di quello che purtroppo ci tocca testimoniare negli ultimi decenni. Nei cori, nelle cappelle musicali venivano destinati i migliori, non come oggi dove si promuove, con pochissime eccezioni, “chi non dà fastidio” (e meglio se prete, così può essere controllato facilmente).
No, se questi sono i criteri di quella Chiesa che in passato si rivestiva dello splendore dell’arte, non abbiamo di che sperare. Dobbiamo volgere lo sguardo altrove mentre essa si mostra impudica vestita di stracci che non ne denotano, attenzione, la povertà evangelica, ma la miseria spirituale.
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