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Don Luigi Giussani e Julian Carron

 

 

di Mattia Spanò

 

La lettera che il cardinal prefetto Farrell ha scritto a Davide Prosperi, presidente ad interim della Fraternità di Comunione e Liberazione, ha suscitato nei militanti del movimento fondato dal Servo di Dio don Luigi Giussani un comprensibile sgomento.

Fin dall’inizio, sia che si rivolgesse ai Memores Domini sia che lo facesse alla Fraternità, il cardinale ha sempre privilegiato una comunicazione diretta, tesa a rimuovere tutte le possibili intermediazioni.

Per quanto questa scelta di disintermediare possa apparire come la volontà di spazzare via ogni velleità di esegesi, come dire, propiziatoria (aggiustamenti, travisamenti o veri e propri stravolgimenti del senso) in realtà l’effetto che sovente ottiene è l’opposto: tot capita, tot sententiae.

In secondo luogo, bisogna prendere atto che questo tipo di comunicazioni hanno valore canonico, vale a dire giuridico. Non si tratta dunque di un semplice “parere”, un “invito”, o una “correzione”, né meno che mai una sanzione da prendere alla leggera, ma di un dispositivo vincolante. Se volessimo fare un paragone incongruo ma efficace, un avviso di garanzia o di chiusura delle indagini preliminari.

Pertanto è chiaro che Prosperi sia tenuto a rispondere, o probabilmente l’abbia già fatto, con una comunicazione diretta al cardinale, oltre la lettera che ha già scritto ai membri della Fraternità, e che questa comunicazione avrà ugualmente rilievo canonico. Lui stesso, del resto, ammette che il momento è “delicatissimo”.

Nel testo, il cardinale fa alcune affermazioni di gravità eccezionale. “Anzitutto – scrive – mi preme precisare che la ‘dottrina sulla successione del carisma’, proposta e alimentata durante l’ultimo decennio in seno a CL da chi era incaricato della conduzione, con strascichi che vengono ancora coltivati e favoriti in occasione di alcuni interventi pubblici, è gravemente contraria agli insegnamenti della Chiesa”.

“Pertanto – aggiunge – La prego di voler provvedere affinché sia promossa, quanto prima, un’opportuna formazione sul tema dei carismi nella Chiesa e di far cessare ogni azione volta a promuovere questa falsa dottrina fra i membri di CL”.

Benché quasi ogni frase della lettera vada attentamente considerata e correttamente recepita, questo mi sembra il cuore del messaggio.

Il cardinale prefetto non lo nomina, ma il riferimento a don Julian Carròn è inequivocabile. Così come non deve ingannare la formulazione: si tratta, né più né meno, dell’anticamera dell’accusa di eresia.

La Chiesa ha dato ampie prove di saper esaminare simili situazioni con prudenza, con saggezza e dando agli accusati tempo e modo di ravvedersi (in qualche occasione è stata meno magnanima, ma l’ha anche riconosciuto e fatto atti di contrizione pubblici).

Non è poi detto che l’accusato sia sostanzialmente colpevole di eresia – si veda l’abusato caso che oppose il pisano Galileo al santo cardinale Roberto Bellarmino. Né si può trascurare che siano esistiti eretici brillanti come Meister Eckhart.

L’accusa di eresia non ha mai comportato alcun giudizio morale, né sul valore o sulla fede dell’accusato (o sulla sua buonafede).

Eresia significa “scelta”: ogni scelta può essere benedicente o maledicente. Una scelta di tipo spurio rispetto a quello che è il magistero tradizionale – gli “insegnamenti” di cui parla Farrell – della Chiesa, che le giudica come “errori” esattamente come una comunità fruttariana tende ad espellere un membro che mangi mele con contorno di lombata di maiale, o almeno sarebbe impegnata a segnalarne la bizzarra coerenza.

Non sono amico di Carròn, e nemmeno una persona che ne condivide lo spirito e l’approccio alla fede. Non ho mai incontrato e non conosco il prete spagnolo. Quando l’ho criticato, anche duramente, l’ho fatto in relazione ad alcune sue affermazioni che ho trovato stridenti con la mia sensibilità.

Aggiungo: condivido in pieno l’analisi del cardinale prefetto, sia nella parte distruttiva che in quella costruttiva.

Mi sembra infatti che la maggior parte dei cattolici ignorino in base a cosa parli un cardinale di così alto lignaggio, responsabilità e autorità (qualunque cosa si pensi di lui sul piano personale), e ciò valga a dire che non sanno come interpretarne il messaggio, il che può indurre a darne una lettura negativa o, peggio, punitiva.

Lo ignorano perché molti cattolici, per mancanza di educazione, semplicemente non sanno cosa sia davvero la Chiesa.

Per soprammercato, vittime di uno Sturm und Drang cinematografico di matrice hollywoodiana, diamo peso e rilevanza quasi esclusiva ai rumori forti, gli spari, i botti, il montaggio frenetico, mentre le cose che davvero contano accadono in silenzio, quasi inosservate.

Questo ha una prima importante implicazione: quando ci si dichiara figli amorevoli di una madre, è bene conoscere cosa davvero pensi e desideri quella madre per il nostro bene o, con una brutta espressione, come quella madre funzioni.

La lettera del prefetto inoltre descrive con grande accuratezza quello che è un aspetto essenziale del cristianesimo: come e in che senso il carisma si trasmette.

È vitale allora seguire con affetto e cura il richiamo a formarsi: lo stesso Giussani ambiva a presentare il fatto cristiano, ma anche a fornire gli strumenti per vagliarlo verificandone il valore.

Tuttavia forse una precisazione non guasta, anzi aiuterebbe a far luce su queste cose: quando il cardinale fa riferimento alla grave contrarietà con gli “insegnamenti della Chiesa”, a quali insegnamenti si riferisce? A quelli di sempre sul carisma, o agli accenti caratteristici della sensibilità di questo pontificato?

Se infatti questa sacrosanta formazione dovesse malauguratamente mettere in luce gli errori – sempre possibili in ognuno, e restarne al riparo è già una grazia, un dono, un carisma di origine divina – di don Carròn in relazione al magistero del solo papa Francesco, sarebbe un esperimento monco.

Se invece si considera il carisma un dono vero e necessario, non necessariamente dimostrabile ma proveniente da Dio, allora fra le tante dinamiche della sua trasmissione va anche approfondito come un cardinale, una volta eletto papa, riceva questo dono, questa grazia speciale.

Il carisma dono dello Spirito Santo regge il papa, lo conforta e lo certifica (lo rende certo) di guidare la Chiesa di Gesù Cristo secondo gli insegnamenti di sempre, vale a dire – ripeto – quelli veri e necessari anche non dimostrati, a proposito dei quali mi azzardo a segnalare un possibile criterio dirimente: se i frutti portati, spirituali e non solo, sono buoni per un tempo ragionevolmente lungo – secoli o millenni –  al punto da non essere messi in discussione nonostante gli sconquassi storici e umani, allora è dimostrato che essi siano veri e validi.

Nel momento in cui un cardinale eletto accetta il munus petrino riceve questa grazia santificante. Il fedele cattolico autentico sa e crede fermamente che il papa, ogni papa, sia portatore e depositario di un carisma che gli permette, in casi molto rari, di stabilire ad esempio dogmi e dichiararli infallibili. Tale carisma si declina precisamente secondo le caratteristiche uniche della sua personalità.

Don Giussani ha correttamente definito il carisma come “ciò che illumina il contenuto oggettivo del dogma”. Poco oltre afferma che “il primo carisma è l’Istituzione”, vale a dire la Chiesa fondata cum Petro e sub Petro. Ne consegue che anzitutto quello petrino è esso stesso un carisma.

Pertanto, una formazione circa i carismi nella Chiesa dovrebbe tenere conto anche di quello che è il carisma petrino.

Una formazione positiva sui carismi dovrebbe rispondere anche alla questione principale, vale a dire sotto quali condizioni l’autorità del papa è tale, se essa sia assoluta o meno (il cardinal Müller, ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sostiene che non lo sia) e se tale carisma possa venire meno e in quali circostanze.

In parole povere: se il carisma è un dono, esso può essere dilapidato, ma può esserlo da tutti, nessuno escluso. Nemmeno il papa, chiunque sia con tutto ciò che da lui discende, inclusi i sospetti di eresia.

Tutti possono sottoscrivere, credo, il fatto che papa Francesco stia propiziando e introducendo vasti cambiamenti nella Chiesa cattolica. Gran parte di questi cambiamenti li giudicheranno i secoli e gli uomini a venire, ma al momento nessuno può avere la certezza che siano effettivamente esiti del particolare carisma petrino e non dipendano invece da altri fattori, né essere certo che i posteri li giudicheranno con lo stesso metro.

Diciamo allora che in alcuni casi la Chiesa sembra evolvere rapidamente verso nuovi orizzonti espansi ed inclusivi – si pensi alle tesi revisioniste sugli omosessuali del cardinal Hollerich, presidente della Commissione delle Conferenze Episcopali Europee – mentre in altri fa giustamente riferimento all’insegnamento di sempre per correggere i suoi erratici figli.

Se opportunamente si vaglia la teoria sul carattere ereditario del carisma di don Carròn, lo stesso si faccia allora con il cardinal Hollerich. Se il carisma è dato in modo oggettivo, allora non hanno senso le critiche mosse a papa Francesco sulle continue nomine di cardinali, giacché il papa le attua non per garantire una maggioranza a questa o quella fazione in un futuro conclave, ma per altre ragioni di ordine superiore. Sul punto, da tempo e complice il nome del santo che indegnamente porto il quale fu scelto ai dadi (quindi da Dio), mi sono convinto che un buon modo per uscire da queste stucchevoli dispute sarebbe di estrarre a sorte il papa fra i cardinali.

Si diano criteri solidi e oggettivi che mettano in condizioni i fedeli di comprendere la natura degli errori, individuarli e combatterli per quanto loro tocchi in sorte. Su questa falla educativa, che il Servo di Dio don Giussani colse e descrisse già nei primi anni ’50 del secolo scorso, i passi nella giusta direzione sono stati pochi e incerti, sovente compromessi dallo Zeitgeist.

Voglio essere molto chiaro su un punto: ritengo le critiche mosse a don Carròn fondate, benché non abbia conoscenze in materia raffinate al punto da autorizzarmi ad esprimere un giudizio nel merito, per giunta prematuro.

Ma altrettanto foriera di conseguenze disastrose può essere una Chiesa che su certi temi riveda, e in qualche caso capovolga, gli insegnamenti di sempre, mentre li dichiari validi in altre occasioni, usandoli per colpire – giustamente o meno è secondario – certe personalità. O questi insegnamenti sono tutti validi, e lo sono per sempre, o non lo sono. Altrimenti si introduce un criterio culturale e socio-politico sostanzialmente falsificabile, che mi sembra già permeare sin troppo la sensibilità dei credenti, in base al quale oggi Carròn è inseguito dallo spettro dell’eresia, domani diventa un santo padre della Chiesa e la settimana prossima un buon giocatore di Backgammon.

Sono d’accordo con Prosperi: è un momento delicatissimo, non soltanto per CL ma per la Chiesa tutta.

Dal momento che gli insegnamenti servono precisamente a depotenziare e cancellare personalismi e accidenti storici, è assolutamente bene approfondire il punto, ed essere grati al prefetto per averlo sottolineato. Altrimenti, per dirla con una battuta che faccio spesso: nella ridda di pro Francesco e anti Bergoglio, giussaniani e carroniani, fumatori e salutisti, cattolici ne abbiamo?

 


 

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