Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto dal reverendo Peter M.J. Stravinskas e pubblicato su Catholic World Report. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella mia traduzione.
“Ci risiamo!”.
Ricordate la frase vincente pronunciata dal candidato alla presidenza Ronald Reagan al presidente Jimmy Carter nell’ottobre del 1980? Era una risposta alla costante riproposizione di argomenti cari a Carter.
La stessa battuta mi è tornata in mente quando Papa Francesco, ancora una volta, è intervenuto sui giovani sacerdoti e sulle loro preferenze sartoriali. Questa volta, però, è stata pronunciata alla fine del suo discorso finale ai partecipanti al “Sinodo sulla sinodalità” e, già solo per questo, è stata inappropriata e offensiva. È stata una ripresa del suo “cavallo di battaglia” preferito, il “clericalismo”:
Il clericalismo è una spina. È un flagello. È una forma di mondanità che contamina e danneggia il volto della sposa del Signore. Schiavizza il popolo santo e fedele di Dio.
E l’esempio migliore di questo “flagello”? “Basta entrare nelle sartorie ecclesiastiche di Roma per vedere lo scandalo dei giovani sacerdoti che si provano tonache e cappelli, o albi e vesti di pizzo”. “Scandalo”?
Ancora di più: “Il santo popolo fedele di Dio sopporta pazientemente e umilmente il disprezzo, i maltrattamenti e l’emarginazione del clericalismo istituzionalizzato”.
Ironia della sorte, ha lanciato questo messaggio – l’unico gruppo che ha scelto per essere castigato – nel contesto di un appello alla carità nella Chiesa e di una critica a coloro che mostrano “atteggiamenti dittatoriali”.
Con tutto quello che sta succedendo nella Chiesa e nel mondo, perché concentrarsi sugli albi di pizzo? Nell’interesse della trasparenza: Non indosso né la cotta né il camice di pizzo, soprattutto perché non credo che il loro uso rifletta la tradizione di 1500 anni prima del loro arrivo sulla scena. Detto questo, non credo che questo debba essere motivo di grande confusione ecclesiastica.
Naturalmente, chiunque può leggere tra le righe per capire che il problema del Papa non riguarda realmente le tonache e i merletti; piuttosto, egli sa (correttamente) che il clero minore non è nel suo campo.
Le sue bordate contro tutto ciò che sa di tradizione sono state incessanti: ha definito i seminaristi “piccoli mostri”; lo scorso gennaio ha lanciato un assalto pieno di bestemmie ai seminaristi di Barcellona contro i sacerdoti che negano l’assoluzione (dove succede?); ha ripetutamente suggerito che i cattolici tradizionali probabilmente soffrono di malattie mentali.
Quali sono stati i risultati di questi attacchi meschini e scortesi? Trascorro ore della mia settimana cercando di convincere giovani sacerdoti e seminaristi a non rinunciare al sacerdozio.
Tuttavia, c’è molto di più dei miei dati aneddotici. Secondo lo stesso Ufficio statistico vaticano: “La tendenza temporale del numero di seminaristi maggiori osservata nel mondo dal 2013, riflette una diminuzione ininterrotta, che è continuata nel 2021”. Inoltre: “Il numero di seminaristi maggiori nel mondo è passato da 63.882 nel 1978 a 110.553 nel 2000 – superando di gran lunga il tasso di crescita della popolazione mondiale – ed è aumentato in modo più costante nel decennio successivo fino a raggiungere un picco di 120.616 nel 2011. Il declino è stato particolarmente pronunciato dal 2019”. Dalla stessa fonte apprendiamo che il numero di seminaristi è in emorragia dal 2013 (anno dell’elezione di questo Papa).
Proprio questo mese sono emersi dati molto preoccupanti dalla Polonia. Nel 2012, il Paese ha guadagnato 828 nuovi seminaristi; nel 2023, 280. Nel 2010, il Paese poteva vantare 5500 seminaristi in totale; nel 2023, solo 1690. Dati simili provengono dall’America Latina, dove nel 2010 si contavano 12.000 seminaristi, ma nel 2020 meno di 10.000.
Non si può certo individuare una sola causa per questi cali, ma non si può nemmeno negare un grave “effetto Francesco”. A causa del clima di paura generato nell’era bergogliana, è solo nelle conversazioni a porte chiuse con i rettori dei seminari e i vescovi che si possono sentire esprimere questi sentimenti.
Non conosco un solo seminarista che consideri Papa Francesco un’influenza positiva sulla sua decisione di intraprendere il sacerdozio. È sorprendente che giovani non ancora nati o appena nati al momento della morte di Giovanni Paolo II lo vedano come un modello e una guida. D’altra parte, so di molti potenziali seminaristi che rimangono ai margini dell’impegno vocazionale fino alla fine di questo pontificato.
Francesco ha costantemente esortato il clero ad avere “l’odore delle pecore”. È interessante notare che i fedeli laici lodano quasi uniformemente il clero minore; apprezzano la loro ortodossia, la loro ars celebrandi, la loro predicazione e il loro zelo pastorale. Il Papa dovrebbe elogiare questi giovani, che si sono offerti a Cristo e alla sua Chiesa in un momento storico e culturale in cui non esiste uno status o un ritorno per una tale decisione. Giovanni Paolo lo aveva capito e per questo regalava a noi sacerdoti, ogni Giovedì Santo, una lettera per sostenerci nella nostra santa vocazione. Sapeva come correggere e sfidare i sacerdoti senza essere demoralizzante o prepotente.
È un po’ curioso che, sebbene Papa Francesco si senta offeso dai seminaristi e dai sacerdoti in abito talare, abbia apparentemente chiuso un occhio su molte suore che hanno sfilato per il Sinodo in abiti laici e persino su un presentatore formale, padre Ormond Rush, in giacca e cravatta, il tutto chiaramente in violazione della legge della Chiesa!
Sì, il “clericalismo” è una malattia, ma lo è anche l’anticlericalismo, soprattutto quando viene da un Papa. Suggerisco al papa Francesco di ricorrere al consiglio fraterno del suo patrono celeste:
Sono deciso a riverire, amare e onorare i sacerdoti. . . . Mi rifiuto di considerare i loro peccati, perché vedo in loro il Figlio di Dio ed essi sono migliori di me. Lo faccio perché in questo mondo non posso vedere con i miei occhi l’altissimo Figlio di Dio, se non per il suo santissimo Corpo e Sangue che essi ricevono e che essi soli amministrano agli altri”.
Questo tipo di atteggiamento favorirebbe le vocazioni sacerdotali, non le spegnerebbe. Quindi, per favore, basta con i “Ci risiamo!”.
Peter M.J. Stravinskas
Il reverendo Peter M.J. Stravinskas ha fondato The Catholic Answer nel 1987 e The Catholic Response nel 2004, nonché la Priestly Society of Blessed John Henry Cardinal Newman, un’associazione clericale di fedeli, impegnata nell’educazione cattolica, nel rinnovamento liturgico e nella nuova evangelizzazione. Padre Stravinskas è anche presidente della Fondazione per l’Educazione Cattolica, un’organizzazione che funge da risorsa per accrescere l’identità cattolica delle scuole cattoliche.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. I contributi pubblicati su questo blog hanno il solo scopo di alimentare un civile e amichevole confronto volto ad approfondire la realtà.
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Mi considero un prete giovane a 31 anni e sono prete da 5 anni.
Sono un prete tradizionale (non tradizionalista), indosso la veste per la messa e per i riti religiosi, ma non la tengo tutto il giorno.
Considero Papa Francesco e le sue reazioni un toccasana per la Chiesa di oggi, immersa nella mondanità e anche questa sua reazione mi fa riflettere sul mio modo di essere prete.
Pochi sono stati clericali come questo Papa: infatti è il massimo del clericalismo sosituire la Salvezza con la mondanità della Pachamama e del Global Warming, come se il contenuto della vita cristiana fosse deciso non dalla Rivelazione ma dalle trovate dei preti che credono di essere avincenti per il mitico uomo moderno.
Il sacro non è caro al cristiano in sé stesso, ma quando rimanda totalmente al soprannaturale; quindi un prete che veste la talare per sé stesso è nulla, ma un prete che dimentica sé stesso (e magari le sue pose da parroco bohemien di strada) dietro la talare è immediatamente riconosciuto dal fedele che cerca Dio.