Solennità della SS. Trinità
(Anno B)
(Dt 4,32-34.39-40; Sal 32; Rm 8,14-17; Mt 28,16-20)
di Alberto Strumia
Nel cristianesimo ci sono cose che vanno talmente al di là di quello che la sola “ragione umana”, con tutta la sua fantasia, avrebbe potuto immaginare o inventare, da rendere più che ragionevole il “credere” che solo Dio possa avere ideato e realizzato tutto ciò che la Rivelazione ci ha fatto conoscere. E che la liturgia della Chiesa ci chiede di adorare, l’antropologia e la morale cattolica ci guidano a vivere ora, per il nostro bene immediato («Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi che oggi ti dò, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te», prima lettura) e a sperare in vista dell’eternità («per sempre», prima lettura).
E la cosa più bella e sorprendente è il fatto che la Rivelazione («che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu», prima lettura: ecco la Rivelazione), che in Gesù Cristo ha la sua pienezza («Il Verbo si è fatto carne», Gv 1,13), ci parla dei misteri più profondi e insondabili, raccontandoceli e spiegandoceli come qualcosa di “normale”, del tutto “logico” e, per così dire, “naturale”. Ciò che è del tutto “normale”, “logico” e “naturale” in Dio ci viene svelato in modo tale che possiamo coglierlo in proporzione alle nostre umane capacità, appositamente potenziate dalla Grazia, così che il “recipiente” (recipiens) della nostra natura umana ne sia colmo e soddisfatto in ogni sua più seria “domanda” («Interroga pure i tempi antichi…», prima lettura: ecco la “domanda”). E tutto questo è per il bene («perché sia felice»).
Oggi, solennità della Santissima Trinità, la liturgia ci consegna, perché possiamo adorarlo, il mistero (cioè Dio presente e operante nella “materia” della vita umana):
– della perfetta “unità/unicità” di Dio («Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro»)
– in Tre Persone uguali e distinte («Con il tuo unico Figlio e con lo Spirito Santo sei un solo Dio, un solo Signore, non nell’unità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza», Prefazio).
Gesù, nel Vangelo, nelle più diverse occasioni – soprattutto con gli Apostoli, ma non solo – parla del Padre e del Suo essere Figlio, come di un “dato di fatto” del tutto “normale” per Lui, come qualcosa di assolutamente “ovvio” e lo rivela in modo tale che anche noi ci abituiamo a considerarlo allo stesso modo. Si tratta di un “assioma” (“dogma”) che, come tale, è un punto di partenza di una concezione della realtà e, come “assioma” non chiede di essere dimostrato, ma piuttosto assunto, perché, a partire da esso, si possa comprendere il resto, come una conseguenza logica.
E, ancora, Gesù nel Vangelo, ad un certo momento, parla in modo altrettanto “naturale” e “ovvio”, dello Spirito Santo, come di una Terza Persona che è un tutt’uno con il Padre e il Figlio, essendo allo stesso tempo distinto da loro. Non si tratta di tre “modi” nei quali l’unico Dio si attua (eresia del “modalismo”) o di tre “punti di vista” dai quali possiamo considerarlo (sarebbe una forma di “soggettivismo”), ma di tre Relazioni, così “reali” da sussistere per se stesse coincidendo con il “soggetto” che non appena le possiede, ma coincide con esse («Io e il Padre siamo una cosa sola», Gv 10,30). Mentre, per noi, che siamo delle “creature” e non siamo Dio, l’essere genitore, o amico, è una “relazione” che si può “aggiungere” alla nostra persona, ad un certo momento della nostra vita, e può anche venire a mancare in un momento successivo: per cui rimane un dato “accidentale”. In Dio, invece, l’essere Padre, Figlio, è “costitutivo” del Suo essere Dio, è Dio stesso, inseparabilmente della Sua “definizione” (“essenza”) e dal Suo “esserci” (“esistenza”). E così, ugualmente, la Relazione di reciproca “Conoscenza” e reciproco “Amore” tra il Padre e il Figlio, è talmente “reale” e inseparabile da loro stessi, da non essere “accidentale” (come un sentimento umano che compare solo ad un certo momento e può anche venire meno successivamente), ma da essere costitutivo di loro stessi, da essere eternamente sussistente, da essere esso stesso Dio. Più di così non ci è dato di sapere, ma è quanto Dio stesso ha ritenuto sufficiente per le nostre capacità conoscitive («Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto», Gv 14,26), e per sostenere ragionevolmente la nostra speranza («quando verrà il Consolatore», Gv 15,26; «voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura», seconda lettura).
Dalla Rivelazione della natura trinitaria dell’unico Dio, deriva come un’altrettanto “naturale” conseguenza nella logica di Cristo Salvatore, la missione della Chiesa e di ogni cristiano: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Vangelo). E ancora: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20,21). Questa “missione” viene presentata da Gesù come una sorta di naturale “estensione” (“partecipazione” all’esterno della Trinità [ad extra]) delle Relazioni intratrinitarie alle creature umane, quali siamo noi. E tutto questo è per la “pienezza” della nostra esistenza («perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te», prima lettura; «perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia», Gv 17,13; «nessuno vi potrà togliere la vostra gioia», Gv 16,23). Più di così non si può chiedere! («In quel giorno non mi domanderete più nulla», Gv 16,23).
Il concepimento soprannaturale del Figlio nella Beata Vergine Maria, l’Amore dello Spirito Santo, la Paternità di Dio Padre, sono state la prima e più grandiosa “estensione” ad extra della Trinità stessa che ha agito in lei, come creatura, nella Sua perfetta unità dell’unico Dio in Tre Persone. Lei è, per questa sua assolutamente unica vocazione, colei che può ottenere anche per noi, l’estensione di quel dono (“Grazia”) che consiste nell’essere accolti a partecipare della stessa vita di Dio: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Così ci è stato promesso.
Bologna, 30 maggio 2021
Alberto Strumia, sacerdote, teologo, già docente ordinario di fisica-matematica presso le università di Bologna e Bari.
fonte: albertostrumia.it
Scrivi un commento