Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Russell Shaw e pubblicato su Catholic World Report. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella mia traduzione. 

 

Papa Francesco Vincenzo Pinto/AFP via Getty Images
Papa Francesco Vincenzo Pinto/AFP via Getty Images

 

Chi si arrovella sui pro e i contro della sinodalità dovrebbe cercare lumi nella storia della “responsabilità condivisa” di mezzo secolo fa. La storia non si ripete letteralmente, ma ciò che accadde allora ci suggerisce perché oggi dobbiamo procedere con cautela, evitando nuovi errori.

La responsabilità condivisa – si potrebbe definire la “Sinodalità Lite” degli anni Settanta – era di gran moda nei giorni inebrianti subito dopo il Concilio Vaticano II. Si tennero incontri e vennero pubblicati documenti che promuovevano l’idea, e vennero compiuti passi preliminari istituendo consigli pastorali di clero, religiosi e laici nelle diocesi di tutto il Paese.

Secondo i pianificatori, la pietra miliare di questa nascente sovrastruttura sarebbe stata un Consiglio Pastorale Nazionale in cui vescovi, sacerdoti, religiosi e laici avrebbero potuto elaborare le politiche per il programma socio-politico della Chiesa a livello nazionale.

Secondo il piano, questo organismo nazionale sarebbe stato una fusione della Conferenza cattolica degli Stati Uniti (creata dopo il Concilio Vaticano II insieme alla Conferenza nazionale dei vescovi cattolici) con il Consiglio consultivo nazionale recentemente creato per consigliare i vescovi.

Ma il Vaticano è intervenuto e, in una lettera ai vescovi, ha sostanzialmente detto: “No, non ora”: No, non ora. Il motivo sembrava essere che un Consiglio Pastorale Nazionale nei Paesi Bassi era ritenuto responsabile della sconcertante implosione del cattolicesimo olandese che si stava verificando.

Tuttavia, invece di passare in sordina, la responsabilità condivisa è tornata rumorosamente in auge grazie a un’iniziativa dal nome provocatorio: Call To Action (Appello all’azione, ndr). Chi fosse chiamato e a quale azione fosse destinato non era specificato. Promosso come il fiore all’occhiello del contributo dei vescovi americani al Bicentenario degli Stati Uniti e preceduto da “udienze” organizzate in diverse parti del Paese per suscitare interesse, Call To Action riunì 1.340 delegati a Detroit per tre giorni nell’ottobre del 1976.

E chi erano, vi chiederete, questi delegati? Lo scrittore conservatore Russell Kirk, presente in veste di giornalista, li ha definiti “topi di chiesa”. La maggior parte di loro era stata scelta dai propri vescovi e, come si scoprì in seguito, la metà era sul libro paga della Chiesa.

Tra le 218 raccomandazioni prodotte da questo organismo altamente non rappresentativo c’erano proposte per l’ordinazione di donne e uomini sposati, l’adozione di un atteggiamento aperto nei confronti dell’omosessualità, l’approvazione della contraccezione e la concessione della comunione ai cattolici divorziati e risposati i cui primi matrimoni non erano stati annullati.

La Conferenza episcopale promise di studiare le proposte. Non sorprende che la cosa sia finita lì.

Le differenze tra allora e oggi sono ovviamente molto reali. Allora fu il Vaticano a bloccare i consigli pastorali nazionali; ora è Papa Francesco a dare impulso alla sinodalità.

Ma l’Appello all’azione del 1976 ha indubbiamente una somiglianza familiare con il recente “Cammino sinodale” in Germania, con la sua discussa serie di proposte che, pur portando l’impronta del 2023, suonano tuttavia in modo notevole come la lista della biancheria dell’Appello all’azione del 1976. Si tratta forse di un caso di quello che Yogi Berra chiamava memorabilmente “Déjà vu all over again”?

Il Vaticano ha accantonato la Sinodalità Lite a livello nazionale mezzo secolo fa. Ma ora il Santo Padre vuole la sinodalità universale e il Sinodo dei vescovi che si riunirà questo ottobre (e di nuovo, per ragioni non chiare, nell’ottobre del prossimo anno) gliela concederà senza dubbio.

Inoltre, proprio come nel 1976, anche oggi è davvero il caso di ampliare notevolmente la partecipazione di laici leali e competenti nel definire gli orientamenti della Chiesa. Ma l’esperienza di Call To Action ci ricorda in modo inquietante che ci sono anche ottime ragioni per sperare che il grande vincitore non si riveli invece l’odierno cattolicesimo “woke”.

Russell Shaw

 

Russell Shaw è stato segretario per gli affari pubblici della Conferenza nazionale dei vescovi cattolici/Conferenza cattolica degli Stati Uniti dal 1969 al 1987. È autore di 20 libri, tra cui Nothing to Hide, American Church: The Remarkable Rise, Meteoric Fall, and Uncertain Future of Catholicism in America, Eight Popes and the Crisis of Modernity e, più recentemente, The Life of Jesus Christ (Our Sunday Visitor, 2021).

 


Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. Sono ben accolti la discussione qualificata e il dibattito amichevole.


 

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