di Mattia Spanò
Il titolo di questo pezzo è ironico – di ieri l’appello che illustra i sette buoni motivi per andare a votare: pur restando validi e fondati, facciamo un po’ come quelle doppie pagine dei giornali che vogliono fingere equidistanza e offrire più punti di vista, intervistando un professore e un perfetto idiota che affermano bianco e nero. In questo caso, l’idiota sono io.
Più che dei buoni motivi per non andare a votare, propongo alcune riflessioni laterali e domande. Per amor di simmetria, ne indico sette.
- I quesiti referendari riguardano una materia tecnica: cosa ne sa o ne capisce il cittadino comune mortale? Non si chiede il parere vincolante dei cittadini su materie sulle quali hanno il diritto di decidere, lo si fa su materie sulle quali non hanno le competenze per farlo: di qui il diluvio di spiegazioni sovente ideologiche. Complimenti.
- In materia o ci sono leggi come la Severino (legge sbagliata, allora? Voluta dal governo di salvezza nazionale Monti nel non lontano 2012?), o dovevano essere fatte da almeno trent’anni, come quella sulla separazione delle carriere: perché si è abbandonata la via parlamentare, peraltro con tale straordinaria, e ci auguriamo irripetibile, larghezza di maggioranza? Draghi non poteva dettare una leggina che desse la garanzia a persone incensurate di ritrovarsi fra persone non condannate?
- Davvero si affida l’esito di direttive europee al voto dei cittadini, quelle che vengono strombazzate dai sommelier europoidi quando fa comodo, e restano lettera morta quando fa scomodo? Sarebbe una novità, o quasi.
- Che ne è della riforma Cartabia? A parte il claim della campagna referendaria, “per una giustizia giusta” (pensa se fosse ingiusta, o alla crema con crumble di pistacchio), o quanto meno esprimere un orientamento, anche sulle materie referendarie? Soprattutto, serve ancora un ministro di Grazia e Giustizia, visti i tempi e l’impellente bisogno se non di un dittatore, almeno di un caudillo TikToker alla Zelensky che ci traghetti fuori dalla crisi?
- Non sarà che la partita fra le varie associazioni di magistrati – credo nella magistratura come istituzione, diffido delle correnti culturali e sindacati – e la suddetta ministra si è spostata su un campo meno urticante per entrambe le parti? Una specie di arbitrato, o di sondaggio a spese del contribuente, tanto poi se fare la legge e come è affar nostro, ma con il subdolo conforto della volontà popolare?
- La storia referendaria italiana purtroppo non è favorevole al popolo. Divorzio, aborto, nucleare, prossimamente eutanasia: tutte scelte che hanno comportato costi umani ed economici difficilmente misurabili, seppellendo il necessario dibattito sociale – si veda ad esempio la retromarcia sull’aborto negli Stati Uniti, difficilmente ipotizzabile in Italia perché “il popolo si è espresso” (come no: nel 1981, se si discute la Severino a distanza di 10 anni, si può ben discutere una legge entrata gloriosamente negli -anta), e chi siamo noi per andare contro la volontà del popolo?
- Per quanto le motivazioni sull’andare a votare siano condivisibili e l’esercizio democratico sempre confortante, l’elefante nella stanza non è la giustizia o il fatto di votare, ma l’offerta politica che definire miserevole e scarsamente rappresentativa è un complimento.
Sento un fortissimo odore di guazzabuglio all’italiana, mascherine raccomandate, affetti stabili, non abbassiamo la guardia, chiudiamo a Natale per riabbracciare un cinese a Carnevale. Non ho nessuna aspettativa positiva su questo referendum, quale che sia l’esito.
Temo sarà l’ennesima clava politica utile ai vari valvassini e cacicchi per riposizionarsi nell’emiciclo e poco altro, o addirittura da usare contro la volontà degli italiani – abbiamo già visto che basti una letterina bancaria – a firma Trichet e Draghi – per spedire al confino premier e governi legittimamente eletti.
Votando, non facciamoci ingannare: non c’è giustizia se non c’è libertà. In Italia la libertà è stata sostituita dal consenso, e confusa con la possibilità di acquistare il condizionatore, beninteso sempre che non ci sia una guerra in corso.
Sul piano pratico, accordare ai cittadini la possibilità di scegliere fra un soufflé di cerume e una mousse di pantegana non significa farli mangiare bene: significa farli scegliere. Non sarebbe male capovolgere il processo: facciamo che le istanze vengono dalla base, e le votate in parlamento?
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