di Gianni Silvestri
Oggi – anche a causa della pandemia – si rende più chiara e veloce l’evoluzione in corso da decenni: la salute ed il benessere stanno diventando sempre di più il primo (o l’unico) obiettivo della vita; un vero e proprio idolo a cui sacrificare tutto il resto.
Se il filosofo inglese del ‘600 Thomas Hobbes usava ricordare “primum vivere, deinde philisophari” (ma la frase sarebbe ben più antica) per indicare la priorità della sopravvivenza al resto delle attività, pur riconosciute importanti, oggi potremmo dire che l’unica preoccupazione rimasta all’uomo d’oggi è invece solo quella di sopravvivere.
Più la società si allontana da Dio, più il pensiero umano si concentra (e limita) alla sola vita terrena, più cambiano i valori di riferimento personali e sociali.
Se “tutto finisce qui”, allora bisogna far durare meglio – e più a lungo possibile – questi pochi anni di vita terrena, costi quel che costi.
Ecco che la salute diventa il nuovo idolo in quanto se ne stravolge la sua stessa funzione: da essere un semplice presupposto della esistenza, al massimo il mezzo per raggiungere fini più importanti (vivere la vita terrena per cercare la vita eterna, “la perla preziosa”), la salute diventa il fine stesso della vita che non ha null’altro di più importante da cercare (si potrebbe dire la creatura non cerca più l’origine di sé ed il suo fine; il Creatore diventa il grande assente della esistenza).
E proprio perché la salute è oggi il fine ultimo, allora si ricerca, quasi si pretende, il benessere, cioè vivere la salute psico-fisica al massimo grado possibile.
Sarà un caso se, nella crisi generale che ha portato alla chiusura di tanti esercizi commerciali, i nuovi negozi in crescita sono quelli di estetica, “i centri benessere”, accompagnati dalle “vacanze benessere” in qualche SPA? (Salus Per Acquam, ma ora sempre più riproposti nella logica della spa, società per azioni).
Il tutto si completa con corsi di yoga, di relax ecc., quasi alla ricerca di un “benessere total body”).
Siamo tanto centrati solo su noi stessi che corriamo il rischio che persino la fede venga vissuta da tanti come strumentale al proprio benessere (“prego perché poi mi sento più sereno”, “ vado a messa perché mi fa sentir meglio”, “seguo quel sacerdote perché mi capisce di più”, ecc). Spesso la stessa preghiera dimentica il tradizionale e naturale senso di ringraziamento, di gratitudine, la lode d Dio, o la richiesta di perdono o misericordia, per ridursi ad un elenco di richieste di benessere, conforto, compagnia, sostengo alla solitudine, compagnia di ogni sorta di angelo ecc. Quasi una religione “new age” che si richiede sia funzionale all’uomo, al suo star bene, una simil-terapia psicologica.
Accade in tal modo che il centro della fede e della stessa liturgia non sia il rapporto misterioso con Dio e l’espressione della gratitudine, della lode o del ringraziamento per i suoi doni, ma la valutazione “del ritorno” che ognuno ne ha in questa vita; quasi un’esperienza da valutare nella solita logica del mondo, quella dei “costi-benefici” (cosa me ne torna?). Questa logica commerciale stravolge le cose, le fa scivolare via via da un piano oggettivo a quello soggettivo: non si crede in Dio perché è una realtà di cui prendere inizialmente atto; perché esiste in sé e non posso non considerarlo (come si considera la forza di gravità, ad esempio, la cui esistenza non è subordinata al nostro soggettivo parere). Accade dunque che si vorrebbe credere in Dio per una valutazione solo di tipo soggettivo e quindi legata alla nostra fragilità ed ai nostri criteri; la cosa non deve spaventarci perché siamo esseri senzienti che valutano e decidono le cose (Dio stesso chiede un amore libero). Ma poi – come per ogni scelta umana – bisogna essere molto attenti al tipo di motivazioni che ci muovono: la fede in Dio ed il rapporto con Lui sono pura Grazia, nascono e vivono cioè di amore gratuito di Dio (la stessa essenza di Dio è amore ci ricorda S. Giovanni). La logica dell’amore non può essere subordinata ai criteri utilitaristici o “commerciali” del mondo: credo in Dio se “mi conviene”, se rientra nei miei impegni o progetti di vita, oppure se non è troppo impegnativo ecc. Un tale rapporto nascerebbe così viziato dalla logica capovolta del mondo che si accontenta del solito uovo oggi… da mangiare spesso da soli, perché “gli altri” vengono sempre dopo (e solo se “ci fanno stare bene”, se sono utili al nostro benessere).
In questa logica ristretta, la stessa pratica religiosa rischia di diventare sterile, cioè fine a sé stessa (al massimo “fine a noi stessi”).
La fede da essere apertura ad un Altro che guida in un cammino, verso una vita piena che inizia qui ma ha il suo culmine “nell’altro mondo”, viene forzata, limitata ed asservita solo alla nostra logica terrena. Ecco uno dei rischi più grandi che corriamo oggi: servirci di Dio, quasi come un terapeuta per il nostro benessere; la fede come terapia per le nostre necessità del momento (superate le quali “chi si è visto si è visto”).
Proprio il contrario di aprirsi ed accogliere la “Sua volontà” che costituisce il centro del Padre Nostro, preghiera che solo in seguito ci fa richiedere il pane quotidiano e perfino la liberazione dal Male (dal Maligno, non dai malanni, come oggi si rischia di chiede sempre più superficialmente).
Ricordo a questo proposito la profonda impostazione di don Luigi Giussani, il grande educatore alla fede (che ha dato tra l’altro origine al movimento di Comunione e Liberazione) il quale spiegava come l’esperienza di fede fosse sì profondamente umana, rispondesse sì alle esigenze umane più profonde, ma perché metteva al centro non la stessa fragilità umana, ma l’incontro con Cristo, nella concretezza della Chiesa e della comunità cristiana.
Una logica ben diversa dal benessere “psico-fisico” di chi guarda solo a sé stesso;
Rispetto alla logica umana è una prospettiva capovolta che può così essere riassunta: Partire da sé, ma mettere Cristo al centro di tutto e non sé stessi.
“Null’altro anteporre a Cristo “ ricordava S. Benedetto che, tra l’altro, fu il grande costruttore di comunità cristiane, di Monasteri, della stessa Europa (di cui è patrono in buona compagnia).
Fidarsi di DIO o di noi stessi (e del mondo che costruiamo), ecco la differenza fondamentale tra i credenti ed i non credenti e Qualcuno ce lo aveva ricordato:
“Dov’è il tuo tesoro lì sarà anche il tuo cuore” (Mt. 6, 19-23)
Ma qual è il tesoro da cercare:
la salute ed il benessere?
(Ma pur con tutti i nostri sforzi, quanto questi potranno durare?)
Diversa è la logica saggia del vangelo, e l’invito dello stesso Cristo che mette le cose nel loro ordine di importanza:
“Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia,
e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”. (Mt 6, 34)
In pace
Scrivi un commento