di Giuliano Di Renzo
Intorno alle 13 del 17 aprile 1978, lunedì della quarta settimana dopo Pasqua detta del Buon Pastore, dopo una malattia di due settimane la Serva di Dio Luigina Sinapi si univa per sempre a Gesù e a “Mamma Maria”.
Il funerale venne celebrato il 19 aprile nella basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme con molti sacerdoti concelebranti e un folto numero di amici ed estimatori.
Eravamo abituati alle sue malattie e guarigioni improvvise per cui nessuno era preparato alla sua morte.
Luigina nacque a Itri, allora in provincia di Caserta, l’8 settembre 1916. Il babbo, Francesco, era un apprezzato ebanista e aveva una piccola azienda che gli permetteva di esportare anche in Francia. La mamma, Filomena, era ostetrica.
Il 4 novembre 1931 morì la mamma e col fallimento dell’azienda la famiglia perse la propria agiatezza. Luigina venne costretta a sospendere il liceo iniziato a Caserta per occuparsi dei fratelli più piccoli. A quindici anni si ammalò gravemente ma con sorpresa di tutti si riprese.
D’accordo con Mons. Casaroli, arcivescovo di Gaeta, voleva svolgere qualche attività benefica risollevando il santuario della Madonna della Civita, patrona di Itri.
Venne poi a Roma lavorando un poco. Trovò finalmente impiego presso l’Istituto Nazionale di Statistica. Passò poi all’Istituto Nazionale di Geofisica dove poté quindi avere conoscenze e intrattenere amicizie.
Vennero poi i duri lunghi anni che seguirono il Concilio Ecumenico Vaticano II che agitarono la vita religiosa e civile e le terribili settimane che tormentarono la vita politica italiana sino al rapimento del Presidente Aldo Moro e l’assassinio degli agenti di scorta.
Luigina pur dal suo lettino partecipava alle preoccupazioni e alle angosce di allora: la rivoluzione del ’68, la morte di San Pio da Pietrelcina a settembre di quell’anno, le sofferenze della Chiesa nel difficile cammino dell’aggiornamento post-conciliare, le difficoltà e persino il rifiuto di accettare l’enciclica Humanae Vitae di San Paolo VI anche da parte di alcuni pastori e cattolici
Furono per lei anni di preoccupazioni, sofferenze, prostrazioni, veglie e preghiere per il Papa, la Chiesa, la società.
Sentiva dentro di sé il pericolo di un attentato contro il Papa in viaggio verso Manila e mostrò per esso particolare agitazione. Quando parve che Paolo VI volesse dare il buon esempio accettando anche per sé la legge che stabiliva per i vescovi le dimissioni al raggiungimento di settant’anni, Luigina sollecitò quanti poteva perché facessero desistere il Papa da tale proposito. Il Papa non è un vescovo del tutto pari altri ed è scelto per tenere salda l’unità della Chiesa.
Accortasi di un attentato terroristico che il movimento di sinistra dei NAP stava preparando al deposito della polizia davanti al palazzo della sua abitazione avvertì la polizia dicendo che non potendo dormire, essendo malata, aveva potuto vedere dalla finestra.
Il referendum del divorzio, lo sgomento per il sorpasso della Democrazia Cristiana da parte del Partito Comunista nel 1975 la angosciarono molto.
Era il tempo di aperture e trasformazioni che agitavano il mondo cattolico, quello cioè dell’abate benedettino di San Paolo Giovanni Franzoni, a Roma, di Fratel Carlo Caretto a Spello, per fare qualche nome.
A Scala di Ravello con Mons. Guglielmo Zannoni, Sotto-Segretario della Congregazione per il Clero, e un altro sacerdote udimmo da Mons. Cesario D’Amato, ospite del parroco Don Peppino Imperato, vivente, di quanto fosse stata laboriosa la Riforma Liturgica e insoddisfacente l’esito. Ciò sentii mesi dopo anche dal Prof. Tommaso Federici, oblato benedettino e professore al Sant’Anselmo di Roma, consulente della Santa Sede e collaboratore de L’Osservatore Romano.
Fondamento della spiritualità di Luigina era il nascondimento e il silenzio su di sé, nulla chiedere, e vivere totalmente abbandonata al Signore e alla sua Mamma Maria.
La sua fu una vita di piena adesione alla Chiesa.
Quella mattina che Fratel Carlo Caretto pubblicò un articolo a favore del divorzio, Luigina appena mi vide prese i due libri che le avevano regalati di lui e me li porse come se scottassero dicendomi: “ Tieni, portali via”. E aggiunse: “ Caretto ha fatto tanto soffrire Papa Pacelli”.
Io non sapevo nulla di Fratel Carlo, lo incontrai solo una volta nel suo ritiro di Spello perché trovandomi in vacanza mi ci portarono.
Dei rapporti che intercorsero tra San Pio e Luigina ne diede bellissima testimonianza scritta Padre Tarcisio da Cervinara in una commemorazione annuale che si faceva di lei. Avendo notato il modo che usava San Pio nell’accoglierla volle conoscerla e ogni volta scriveva circa i loro incontri.
Cercò aiuto per Don Nello Castelli e Don Attilio Negrisolo, due sacerdoti padovani che a causa di Padre Pio soffrivano per l’incomprensione del loro vescovo, Mons. Girolamo Bortignon, che pure era cappuccino.
Monsignor Guglielmo Zannoni, della Segreteria di Stato, e Mons. Pietro Bianchi interessati da Luigina fecero molto per i due sacerdoti.
Pensiero di Padre Pio fu pure una Casa per Sacerdoti diocesani anziani e un istituto per la formazione di confessori e direttori spirituali annesso ove fossero presenti le suore e l’adorazione eucaristica quotidiana.
Ho visto che i Padri Cappuccini di San Giovanni Rotondo hanno avviata la costruzione di una Casa per Sacerdoti. E’ la missione che prima di morire affidò Padre Pio a Luigina, come anche attesta una lettera di Padre Pellegrino.
Non se ne poté far nulla e fu la sua sofferenza.
Pensò per un momento di poter fare qualcosa quando incontrò una santa terziaria passionista, Suor Annita Bindi di Foiano della Chiana. Un’anima umile, malata e dalla vita spirituale intensa.
Ma anche per questa vennero ostacoli.
Grande fu la devozione di Luigina per Santa Teresa di Gesù Bambino e Santa Gemma Galgani,
I suoi padri spirituali le avevano sempre proibito di leggere la vita di Santa Gemma e si diceva grata ad essi della loro severità.
Essendo molto legata alla spiritualità di San Francesco ogni estate amava ritirarsi presso le clarisse di San Leonardo a Montefalco, il monastero lì dove sono custodite la sua cameretta e la sua cappellina.
A me piace tornare a San Damiano e rivedere il muretto dove Luigina e i miei genitori sostarono facendo penitenza in onore di San Francesco prima di tornare da Montefalco a Roma.
Luigina voleva vivere nella normalità e nel nascondimento.
Era una persona di grande sensibilità estetica e si manifestava pur nella semplicità della sua casa, del suo vestire.
Tutte le sue cure erano per la sua cappellina. Per ogni sacerdote che andava a celebrare doveva avere amitto, manutergio, purificatoio e vino per la Santa Messa non già usati e nuovi. I fiori li preferiva naturali, senza trattamenti, perché così il Signore li aveva voluti.
Pertanto ogni giorno l’amica fioraia signora Dora era felice di farle arrivare fiori ogni giorno freschi. Sull’altare amava gli anthurium da mettere quasi sotto le braccia del Crocifisso, simili a mani che ne raccogliessero il sangue Gesù.
Tutto doveva essere sempre pulito e nuovo, degno di Gesù, che aveva voluto una Mamma Immacolata e attendere il momento della sua Resurrezione in un sepolcro anch’esso nuovo.
All’entrata della sua cappella una tavoletta semplice ma elegante ricordava che: La cortesia è la prima forma della carità!
Ogni sacerdote era per lei Gesù. Diceva che il Signore vuole che il sacerdote sia umile, povero, semplice e dignitoso, non sciatto e pulito, colto non per sé ma per spezzare agli altri il pane della verità.
Delle tovaglie dell’altare e di quanto di uso per la Santa Messa ne affidò la cura alla mia mamma, perché era la mamma di due sacerdoti.
Con un pizzico di ironia Luigina amava porre nel sempre finissimo suo presepio ai piedi di Gesù bambino, qualche statuina di monsignori, sacerdoti, munacielli e suorine.
Erano i teologi fasulli.
L’indulto, allora molto raro, di avere la cappellina e poter conservare la Ss.ma Eucarestia le veniva rinnovato dal Vicariato di Roma ogni cinque anni.
Era, quella cappella, centro e rifugio del suo cuore, il calore e la luce delle sue notti e delle sue giornate di preghiera e sofferenze.
Ho scritto ora di Luigina, ma devo precisare che di Luigina non si scrive, di Luigina si canta. Specialmente se la si è incontrata a lato di improvvisa subita tragedia. Nulla cambiò in me quando la incontrai e tuttavia tutto cambiò.
Una signora di Napoli alla quale telefonai per dire che era morta la venerata signora Luisa Del Giudice, altra anima santa e figlia spirituale di San Pio, mi diede una risposta che mi folgorò per la semplicità e profondità: “Quando entrò lei nella mia casa entrò un raggio di sole”.
Ecco, quando i miei genitori ed io con l’anima in frantumi entrammo da Luigina e ci inginocchiammo nella sua cappellina entrammo in un angolo del paradiso e ogni volta ognuno vi trovava la sua pace.
Parlare di Luigina non è appunto facile, perché la presenza di lei è presenza viva, è presenza che vive nel profondo dell’anima. La vita rifugge dalle parole e si esprime nel silenzio e si sazia di contemplazione, mentre il cuore è carico di emozione e l’anima fatica a portarne il peso.
E’ vero che la luce della sera colora di fuochi accesi e di contorni variamente sfumati le immagini care lontane. Ma è vero anche che quando il cuore è stato toccato profondamente da una singolare amata presenza poi l’approfondisce e la dilata senza alterarla, perché ha modo di confrontarsi serenamente con essa e con la sua propria vita.
E’ l’evangelico conservare e meditare le cose nel proprio cuore, che fu della Madonna ( Lc 2,19 e 51).
A distanza di anni quel volto non smette di rinnovarsi davanti al nostro sguardo interiore, ancora attonito e quasi incredulo per la gioia e lo stupore.
La comunione con lei quaggiù si fa quasi certezza di una comunione più vera e più grande e aiuterà a fare più sereno il passaggio ultimo che tutti tanto spaventa.
La presenza di Luigina fu a tutti presenza della Vergine Maria che con la Ss.ma Eucarestia ella amava appassionatamente.
Quella chiara cappellina di via Urbino fu per noi la tenda nella quale Dio e il suo mistero di offerta di dolore e di amore, la Vergine santa ci ospitavano rendendosi accanto a ciascuno come di una percezione fisica quale si sperimenta quando agisce un amore molto intenso, sommamente grande.
Tornano le parole che Gesù ai Suoi nel momento in cui si congedava da essi: “Non vi lascerò orfani; tornerò a voi” ( Gv 14,18). Gesù si allontanava, ma quel Suo farsi lontano era già un misterioso tornare, un venire ai Suoi più intimo e più vero, un donarsi al cuore duraturo nell’amore perenne.
Non deve sorprendere questo, perché i santi essendo in comunione perfetta con Dio e avendo perciò con Lui vinto il mondo partecipano della possibilità che Lui ha di donarsi a chi lo ama nella luce dei puri di cuore.
Nel segreto della comunione dei Santi ella ancora trae a sé e in questo fa dono di ricordarla.
Accade, pure, che se ne senta l’assenza. Anche quando si ha la grazia di sentirne la presenza, se ne sente l’assenza. Anzi, quanto più se ne sente la presenza tanto più se ne soffre l’assenza.
E’ il mistero di Dio vicino eppure lontano, che nella felicità di una sempre imprevista raggiunta presenza ci sollecita a ricerca più alta, ci sospinge verso la felicità che sola sarà definitiva, ma che quaggiù rimarrà sempre appena intravista e appena lambita.
Il possesso pieno dell’amore quaggiù non è mai dato, per quanto esso possa in noi essere grande, né la sete dell’anima si potrà estinguere in un bene riconosciuto solo in penombra, solo appena avvicinato.
Avvertire l’assenza di una persona è già coglierne la presenza.
Quando ci si porta sulla tomba di Luigina si contempla quell’anima che si è addormentata nella Pace, ma che pure e perciò continua a vegliare sul cammino di chi ha avuto la grazia di incontrarla.
L’anima si rammarica di non aver saputo a suo tempo approfittare del dono di Dio! Allora tutto era per noi così normale che non facevamo caso all’eccezionalità del dono, alla singolarità dell’evento.
Ella si nascose per non interporsi visibilmente tra Gesù, tra la Ss.ma Vergine Maria e le anime, timorosa di farsi schermo ad Essi del Loro fulgore.
Ma proprio in quel suo perseverante ed eroico nascondimento ella si fece luce della luce di Dio.
Da Gesù nella Ss.ma Eucarestia e dalla Madonna Luigina traeva la luce sua propria, il significato di sé medesima e della sua missione.
Luigina, sensibilissima, dominava gli aspetti troppo umani e tuttavia quanto rispetto vi era in lei, quanta purezza, quanto lieve sublime distacco. Quanta forza, quanta chiarezza, nobiltà e mansuetudine vi era sul suo volto bellissimo.
Ella era come la luce. Umile, discreta, chiara, calda, lieve, vigorosa, limpida, opportuna, saggia, materna.
La vita con Luigina è stata per tutti una splendida vissuta parabola della vita del Cielo, della luminosa.
La luce di quell’aurora illumina sovente il buio dell’affannoso nostro quotidiano ancora oggi.
Quante ore di cielo si scorrevano in quella preziosa conchiglia, batuffolo di soffice sparsa profumata splendida luce che era la sua indimenticabile cappellina, nell’umile ordinata candida stanzetta dove Luigina, accanto a Gesù e alla Vergine, col viso volto verso di loro, verso l’amata cappellina che le era accanto, oltre la parete che velava di segreto le lacrime del suo soffrire e offrire, consumava sul suo lettino appunto in silenzio d’amore la donazione di sé e, dimenticandosi, spargeva intorno parole di bontà e azioni di carità.
E proprio così infatti, con il viso e la persona volti verso la sua cara, tanto amata cappellina, in posizione di impeto di amore verso la Vergine e di adorazione verso l’Eucarestia lasciò la sua anima il suo corpo, che rimase poi tiepido e fluido, non offeso quindi, e libero dalla naturale rigidità della morte, preludio della futura resurrezione e squillo vittorioso della già operante primavera dell’immortalità.
E’ stata un poco, Luigina, la Roccia alla quale abbiamo bevuto l’acqua della Vita, i fiumi della divina Carità.
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