Giotto-Ultima-Cena-1303-05-particolare
Giotto, Ultima Cena 1303-05, particolare

 

 

di Alberto Strumia

 

Emergono due modi complementari di comprendere le letture e, particolarmente il Vangelo, di questa domenica: il primo ci mette davanti un “giudizio storico” sul momento che stiamo vivendo; il secondo, più “spirituale” ed “esistenziale” ci illumina sul modo di comprendere che cos’è la “vocazione” alla quale ciascuno è chiamato dal Signore.

1.Primo modo. Qual è il “giudizio tagliente”, sull’umanità di oggi – per il modo di vivere e, prima ancora, di concepire se stessi e trattare il prossimo – che troviamo nelle letture di questa domenica?

– È, prima di tutto, il giudizio sul “narcisismo esibizionista”, sulla “corsa ad emergere”, mettendosi in vista per “apparire” a tutti i costi, e per accaparrarsi un “potere”, piccolo o grande che sia e farlo pesare sugli altri. Non è forse questo ciò che sta alla base del modo di “pensare” a se stessi e di “trattare” gli altri che, nel nostro mondo senza umanità – perché senza cristianesimo, ormai da tempo, nella “cultura” che alimenta la “mentalità comune” – è diventato la “regola di vita quasi per tutti?

Nel Vangelo Gesù stigmatizza esattamente questo modo di pensare a se stessi e, quindi, di comportarsi, «notando [come tutti] sceglievano i primi posti». E lo fa avvertendo che, prima o poi, la cosa non funzionerà perché arriverà «un altro invitato più degno di te», o almeno considerato tale secondo la logica del mondo, e «allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto». Quanti, oggi, “perdono la faccia”, agli occhi dell’opinione pubblica, a causa di comportamenti, realmente attuati, o ad essi imputati da un moralismo giustizialista politicizzato… e finiscono per dover abbandonare i primi posti che avevano conquistato.

– Poi troviamo anche il giudizio sul “modo strumentale” di trattare gli altri – non come persone dotate di una “dignità” in se stesse, come il Creatore le vuole e le guarda, e il Redentore le rispetta e le riscatta («Gesù fissatolo, lo amò», Mc 10,21) – ma per un secondo fine, per ottenere da loro qualcosa  quasi obbligandole moralmente a fare ciò che si vuole che facciano: è il contraccambio, nella seconda raccomandazione di Cristo al padrone di casa: «non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio». Dobbiamo constatare come, ormai, nel nostro mondo, i Comandamenti vengono, di fatto, sostituiti in gran parte con l’unica regola: devi essere prepotente con chi ha meno potere di te, e devi essere servile con chi ne ha di più!

I santi della carità sanno realizzare l’invito di Gesù, che suggerisce di fare il contrario: «Quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti». Lo fanno, guardando a questi “poveri” come Cristo li guarda, pregandolo per farsi “prestare” da Lui il Suo modo di guardare le persone, la dignità delle quali sta nell’“esistere”, perché Dio Creatore li vuole e li ama. Va sottolineata la clausola «sarai beato perché non hanno da ricambiarti», perché oggi, l’ipocrisia sa arrivare fino al punto di strumentalizzare anche i «poveri, storpi, zoppi, ciechi», per apparire come coloro che sono sempre dalla parte giusta (quella dei “poveri” di turno, anche a costo di abbandonare quelli che lo sono veramente, ma che politicamente non conviene più prendere in considerazione) che sono più e meglio dei cristiani, o sono più cristiani degli altri. Non è forse questo un modo subdolo per cercare di mettersi ai primi posti alla tavola dei potenti del “mondo” (compreso quel “mondo” che si nasconde nella Chiesa)? Non si rischia di incorrere in un certo “pauperismo ideologico” e strumentale, oggi di moda, sia nella sua forma religiosa che in quella politica? Anche il mettersi all’ultimo posto, se non è sinceramente motivato, può essere suggerito da quella falsa umiltà che si aspetta di ricevere l’invito a salire più in alto per fare bella figura davanti a tutti e, soprattutto, per acquistare maggiore potere.

La mitezza e l’umiltà di cui parla la prima lettura («figlio, compi le tue opere con mitezza») richiedono di essere sincere per avere come effetto una “vita buona”. Se si riducono a forzatura ipocrita, di facciata, finiscono per ottenere l’effetto contrario a quello che si sarebbe voluto ottenere, perché prima o poi la menzogna viene allo scoperto per quello che è.

2.Secondo modo. Una seconda interpretazione del Vangelo di questa domenica, invece ha un taglio “esistenziale”, “spirituale”. Secondo questa seconda prospettiva il “posto” a tavola al pranzo di nozze, è la “vocazione” di ogni credente, che vuole seguire seriamente Cristo. In questo senso si deve intendere che la nostra “vocazione” non la stabiliamo noi rincorrendo quella che ci sembra la più prestigiosa (i primi posti al pranzo di nozze), ma è Dio ad assegnarci il “nostro” giusto posto nella creazione. Senza Dio e senza Cristo l’essere umano è la più povera tra le creature, perché ha la consapevolezza di ciò che le manca per essere felice. Non può che, realisticamente, ritrovarsi all’ultimo posto; ma quel posto viene elevato nella sua dignità quando scopre di essere voluto e amato da Dio, redento da Cristo, che ci ha fatto avanzare nel modo di comprendere che cos’è realmente l’esistenza umana, che cos’è la vita terrena, vissuta nella prospettiva dell’eternità. Chiamandoci alla fede il Signore ci dice: «Amico, vieni più avanti!».

È Dio stesso Colui che invita a pranzo quei «poveri, storpi, zoppi, ciechi» che sono gli esseri umani che ancora non lo conoscono veramente e non hanno da rendergli il contraccambio. Se non quel po’ di sproporzionata gratitudine che chiamano “culto” e “atto di religione”, che consiste, oltre che nei riti della liturgia e nella preghiera di ringraziamento, nell’offerta di ciò che da Dio hanno ricevuto in dono: la propria vita con i suoi beni. Un’offerta che vale la pena di essere compiuta, perché la vita e i suoi beni hanno bisogno di essere fatti avanzare di posto, divenendo da cose profane, realtà sacre, come il pane e il vino dell’Eucaristia. È la stessa liturgia a farcelo chiedere in quell’orazione che dice: «Accogli, Signore, i nostri doni in questo misterioso incontro tra la nostra povertà e la tua grandezza: noi ti offriamo le cose che ci hai dato, e Tu donaci in cambio Te stesso» (Orazione sulle offerte della XX domenica del Tempo Ordinario).

Nella data odierna ricorre anche la memoria liturgica di sant’Agostino, Vescovo e Dottore della Chiesa, tra i più grandi maestri dell’Occidente cristiano. A lui, con la Vergine Maria, chiediamo di intercedere perché ci sia data quella perspicacia razionale che aiuta ad approfondire la comprensione della nostra fede e quell’aumento della fede che aiuta ad allargare, illuminandola fino alla pienezza per la quale è stata creata, la nostra intelligenza umana: «Credo per comprendere, comprendo per credere (credo ut intelligam, intelligo ut credam)» secondo la formula con la quale sant’Anselmo, nel Proslogion, ha sintetizzato il metodo di sant’Agostino.

 

Bologna, 28 agosto 2022

 


 

Sostieni il Blog di Sabino Paciolla

 





 

 

Facebook Comments

Immagini collegate: