Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto dal prof. Leonardo Lugaresi e pubblicato sul suo blog. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella mia traduzione.
Percosso duramente dalla realtà, il corpo sociale dà segni di vita. Questa è la notizia più bella e confortante che emerge dal disastro dell’alluvione in Romagna. Mi tengo alla larga dalla retorica autoconsolatoria, e al fondo sempre un po’ morbosa, che i media hanno già cominciato a spandere su quanto sta accadendo qui da me a Cesena e nelle altre città della Romagna mezzo allagata e mezzo franata. Lasciamo stare “gli angeli del fango” e altre formule retoriche del genere, ma i ragazzi che spalano e aiutano a ripulire le case ci sono veramente e sono tanti, gli “episodi” di generosità e di auto-organizzazione spontanea e solidale sono così numerosi da risultare non più episodici, appunto, ma costitutivi di una rete. La società non è completamente morta. A pensarci un po’, questo dovrebbe essere scontato: la società è fatta di uomini, e l’uomo – grazie a Dio che l’ha fatto in un certo modo – non muore mai, neanche se l’ammazzi.
Però scontato non è perché, diciamo la verità, in tempi “normali” chi di noi, osservando la società italiana contemporanea e le sue tante manifestazioni da elettroencefalogramma piatto, non sarebbe tentato di dire: “é andata! Ormai non c’è più nulla da fare”? (E magari aggiungere: “Ora del decesso …”, come in quei telefilm americani tipo E.R.). Le emergenze, quelle vere, certificano che non è così. L’errore più grave, tuttavia, sarebbe fermarsi alla consolante constatazione che c’è ancora vita là fuori, intascare la gratificazione e andare avanti come prima. Il fatto assodato di una vitalità ancora esistente deve diventare invece il punto di partenza di un giudizio culturale e politico.
Non sono certo in grado di elaborarlo io, ma mi permetto di lanciare una sollecitazione perché altri vi pongano mano con capacità e competenze superiori alle mie. Mi limito a proporre uno spunto: noi siamo in una regione che attua probabilmente il massimo di direzione, regolamentazione, controllo e gestione dall’alto della vita sociale. La vulgata è che il nostro sia un sistema modello, appunto perché l’ente pubblico pensa a tutto, fa tutto e regola tutto, anche le forme di auto-organizzazione della società le quali, paradossalmente, per esistere e operare devono inserirsi in un reticolo sempre più fitto di norme dettate dall’alto. Ma questo è l’esatto contrario del principio di sussidiarietà, che è il principio fondamentale per la crescita delle persone e la buona salute di qualsiasi società umana. Come qui si faceva sommessamente notare qualche tempo fa, la nostra è una parte d’Italia in cui non si può neanche tagliare un ramo di una pianta nel proprio giardino, senza il permesso dell’ente pubblico: figuriamoci togliere un tronco dall’alveo di un fiume, tanto per dire. Come ti muovi ti fulminano, anche se ti muovi per un interesse collettivo, per il bene comune. L’idea di fondo mi pare infatti che sia quella che delle persone non ci si può e non ci si deve mai fidare, perché non sanno e/o non vogliono provvedere con retta intenzione e buon senso agli interessi comuni. In questi giorni a me pare che i Cesenati (e immagino anche gli altri Romagnoli) stanno dimostrando il contrario.
Bisognerebbe allora rivedere il sistema, rendendolo veramente sussidiario, cioè mettendo la società in condizioni di rispondere dal basso e in forma autonoma, molto più di quanto non sia abituata a fare adesso, a tante esigenze a cui, con opportuni sostegni, può fare fronte in prima persona, mentre i livelli superiori dell’organizzazione politica si concentrano sulle questioni a cui possono rispondere solo loro. Come invece non hanno fatto, anche qui da noi “nel migliore dei mondi possibili”. Tanto per fare un esempio: in questi giorni si è parlato molto dei nostri 300 mm di pioggia, che sono tanti da far paura, e che secondo una certa vulgata mediatica renderebbero irrilevante qualsiasi prevenzione, però apprendo ora da un articolo del Corriere della Sera (qui) che in Veneto nel 2018 di milimmetri di pioggia ne sono caduti 700 in pochi giorni e non è successo lo stesso sfracello perché là ci sono più bacini di laminazione. Ecco, quelli li può realizzare solo l’ente pubblico, non l’iniziativa delle persone e dei gruppi sociali.
Post scriptum (20 maggio). Aggiungo il link a questo commento che, per quanto scritto da un emiliano (almeno credo; d’altronde nessuno è perfetto), mi pare del tutto sensato. Non so nulla dell’autore né del sito in cui l’articolo compare, ma il suo contenuto corrisponde bene a ciò che penso anch’io. La mia soglia di tolleranza alla “retorica della romagnolità” è già stata superata.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. Sono ben accolti la discussione qualificata e il dibattito amichevole.
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