Dom Massimo Lapponi, monaco benedettino, dallo Sri Lanka ci ha inviato un suo articolo. Benchè pubblicato prima su Il legno storto il 15 agosto 2012 e poi nel suo volume “La luce splende nelle tenebre”, Ariccia, Aracne Ed. 2014, mantiene tutta la sua attualità.

 

Madonna con Gesù bambino

Madonna con Gesù bambino

 

di Massimo Lapponi

 

Nessuno oserebbe mettere in dubbio la grandezza di Karl Barth, né il suo posto di assoluto rilievo tra i teologi del XX secolo. Ma, come dice il proverbio, quandoque bonus dormitat Homerus, e certamente anche il buon Karl Barth dormicchiava quando scrisse che la mariologia è il tumore della teologia cattolica. Piuttosto, riecheggiando Voltaire, sarebbe più giusto dire che «se Maria non esistesse, bisognerebbe inventarla!».

Scriveva un secolo e mezzo fa il dimenticato sacerdote filosofo Vito Fornari che, mentre alcuni filosofi considerano solo il mondo, altri solo Dio, altri Dio e il mondo, ma senza alcuna relazione tra loro, e altri ancora confondono Dio e il mondo senza alcuna distinzione, soltanto il cristianesimo considera Dio e il mondo nella loro distinzione e nella loro unità, grazie al mistero dell’Incarnazione. Solo con l’Incarnazione, infatti, il mondo trova il suo posto rispetto a Dio e si congiunge a Dio senza però annullare se stesso. In questa prospettiva, tutta la creazione appare concepita fin dall’inizio in vista dell’Incarnazione ed è pervasa dall’aspirazione a congiungersi a Dio attraverso la persona umano–divina di Cristo. L’universa realtà è in tal modo illuminata dalla luce di Cristo, e non vi è alcun aspetto di essa su cui il pensiero cristiano non possa dire una parola chiarificatrice e risolutiva.

La pagina di Vito Fornari che ho richiamato suggerisce un’amara riflessione: il fatto che egli sia oggi completamente dimenticato va di pari passo con la triste constatazione che nel pensiero cattolico di questi nostri tempi di crisi e di decadenza non vi sia più uno sguardo capace di interpretare alla luce del Vangelo ogni aspetto della vita del mondo e dell’esperienza umana. Ora, se il cattolicesimo vuole uscire dal ghetto di “religione di sagrestia” in cui troppo spesso si trova costretto, esso deve ritrovare questo sguardo esplicativo dell’universa — cattolica! — realtà: ogni cosa deve essere vista nella luce di Dio, pur rimanendo se stessa, attraverso il mistero dell’Incarnazione. Se, infatti, il cattolicesimo non si mostra capace — come invece di fatto è — di spiegare e illuminare ogni realtà, ma invece esclude da sé aspetti fondamentali dell’esperienza umana, gli uomini gli volteranno le spalle — come stanno facendo — e gli preferiranno religioni o filosofie alternative che, a torto o a ragione, sappiano farsi valere. E se c’è un campo in cui la tradizionale dottrina cattolica viene facilmente attaccata e troppo spesso, non sapendo fra altro che opporre una timida e poco convinta difesa di un costume quasi universalmente considerato superato, si trova ridotta a mal partito, è quello della morale sessuale.

Ora, la più semplice riflessione suggerisce che proprio dall’Incarnazione dovrebbe scaturire l’unica luce capace di rischiarare il mistero così ingarbugliato e torbido, ma così cruciale per la vita dell’uomo e del mondo, della vita e della morale sessuale. Che tra quest’ultima e la generazione della vita vi sia un legame inscindibile, nessuno potrebbe negarlo e, d’altra parte, l’Incarnazione, se pure è opera dello Spirito Santo, è misteriosamente inserita nella serie delle generazioni umane:

«Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe (…) Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato il Cristo» (Mt 1, 2.16).

Volendo, dunque, riprendere e sviluppare il pensiero di Vito Fornari, dobbiamo dire che, se tutto il creato aspira misteriosamente a congiungersi a Dio nella persona del Verbo incarnato, questa aspirazione prende coscienza di sé soltanto nell’uomo, come soltanto grazie all’intelligenza, al sentimento e all’opera dell’uomo, la creazione inferiore trova il suo senso. Ma questo senso, come si è detto, gravita tutto verso l’aspirazione al congiungimento della vita umana con la vita divina nella persona di Cristo Uomo–Dio. Dunque, tutto il lavoro dell’uomo sulla terra trova il suo culmine nella generazione del Figlio di Dio. Ogni generazione, però, in qualche modo, prefigura e prepara questa divina generazione, tanto che si potrebbe dire che non c’è alcuna opera umana così nobile e degna dell’uomo come la generazione della vita, e alla generazione e glorificazione della vita umana è subordinata ogni altra attività dell’uomo. Infatti, l’opera dell’uomo scadrebbe ad una semplice organizzazione del mondo materiale, ovvero si manifesterebbe come affermazione della propria energia conquistatrice, pronta ad entrare in uno spietato conflitto dell’uno contro l’altro, se non fosse elevata al suo fine più sublime: il fine dell’amore e del servizio amoroso alla vita umana, nell’aspirazione segreta e misteriosa ad un amore e ad una vita infiniti.

Ma chiediamoci: chi è che risveglia nell’uomo la nostalgia per questo fine superiore della sua vita se non la donna? Ogni donna che incrocia il nostro cammino dovrebbe ricordarci che non siamo soltanto operai, soldati, ingegneri, economisti o organizzatori sociali, ma che il fine vero di ogni nostra azione è l’amore e il servizio fraterno, cioè il servizio amoroso alla vita e la preparazione della generazione della vita divina nella vita umana.
Dunque, una segreta intuizione dell’infinita vita divina irradia l’amore fecondo dell’uomo e della donna e sostiene e rafforza, con la sua luce sublime, la vocazione dell’uomo al servizio della vita, mentre, nello stesso tempo, impedisce alla vita sessuale di chiudersi nella prigione di un’intrascendibile carnalità. Ora, se l’essenza stessa del peccato — e del Peccato Originale in particolare (del quale i decadenti teologi di oggi non vogliono neanche sentir parlare) — consiste nella pretesa di fare a meno di Dio, la conseguenza prima di esso sarà la riduzione dell’opera dell’uomo ai ristretti orizzonti terrestri, cioè a finalità inferiori al servizio della vita umana e umano–divina.

Quale sarà, allora, il destino della donna, se non di decadere, da tramite per una vocazione superiore del genere umano, a semplice strumento di soddisfazione carnale? Ella, dal rango regale di ispiratrice dell’universa attività dell’uomo, viene degradata alla chiusa particolarità di un rapporto servile. Ciò si manifesta ancora nel contrasto tra vita sociale e vita familiare, e tra l’affermazione pubblica dell’attività maschile e la relegazione della donna tra le pareti domestiche: l’universalità dell’uomo si degrada alle sole dimensioni terrene, mentre l’attività della donna al servizio amoroso della vita viene esclusa da essa e racchiusa nella particolarità della vita privata.

Ma finché la missione della donna rimane così ristretta nel particolare e nel privato, l’attività dell’uomo sarà sempre coartata nei limiti di finalità terrestri, inferiori al servizio della vita, mentre, dal canto suo, la donna o rimarrà relegata in un ruolo domestico servile, ovvero, nell’illusione di riscattarsi dalla sua subordinazione, sarà trascinata ad uniformarsi alla terrestrità dell’attività maschile.

È stato Cristo a immettere nella storia del genere umano il germe rivoluzionario che avrebbe riportato la missione della donna sul piano dell’universalità. Egli, infatti, ha imposto, con tutta la potenza infinita della sua divinità, alla terrestrità e alla violenza della potenza terrena maschile di chinarsi al servizio dell’amore e della vita:

«Beati i miti, perché erediteranno la terra!» (Mt 5, 5).

Sì, la terra non appartiene ai violenti, ma ai miti, che seguono l’ispirazione risvegliata in loro dall’amore per la donna e per la vita e, portandola sul piano dell’universalità, immettono in tutta l’attività umana il respiro sublime del servizio, del rispetto, dell’amore.

«Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5, 44–45).

Per questo furono le donne le più fedeli discepole di Cristo, e tutte le donne sentono misteriosamente che Cristo è il loro vero sposo, l’unico e vero difensore della vita e dell’amore, il quale ha posto la vita e l’amore — e quindi la missione della donna — di nuovo al centro dell’attività universale e pubblica dell’uomo.

«Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre» (Mc 3, 35).

A questo punto, è importante osservare che l’universalità è propria dello spirito, come la particolarità è propria della carne. Ora, la generazione di Cristo da Maria per opera della Spirito Santo ci fa capire che esiste una generazione che si manifesta nella carne, ma procede dallo spirito: essa è anche modello sublime della stessa generazione carnale. Sarà dunque proprio la presenza nel mondo di questa generazione spirituale, che si manifesta nella carne, a dare il respiro dell’universalità anche alla generazione carnale.

Ma la generazione spirituale e universale non è limitata alla nascita di Cristo da Maria: essa si estende a tutta la vita verginale consacrata a Dio, propria del sacerdozio e della vita religiosa. Per mezzo di essa, lo spirito di servizio amoroso alla vita, e quindi il rapporto con la donna in tutti i suoi aspetti, dal mondo chiuso dell’egoismo privato, viene portato sul piano universale, pubblico e sociale.

Sappiamo bene che la società moderna — in cui il rifiuto o l’oblio del senso sacro di ogni realtà portano la donna a rinunciare alla propria missione di elevare l’attività dell’uomo nella luce del servizio amoroso alla vita — è come travolta da un risucchio irresistibile verso una coartazione dell’attività umana in orizzonti puramente terrestri, e sappiamo anche quello che ciò significhi in termini di diffusione dell’indifferenza, del cinismo, del disprezzo verso vita umana. E se la Chiesa si oppone a questa deriva, lo fa come Sposa di Cristo e come coscienza spirituale dell’umanità, la quale non è annientata nel suo essere dall’unione con la divinità nella persona di Cristo, ma al contrario, proprio in questa unione sperimenta la consumazione del suo desiderio e del suo essere più profondo.
Certamente Barth ha ragione nel ricordare che la salvezza e la divinizzazione dell’uomo sono opera esclusivamente di Cristo, e non di Maria. Ma se l’umanità è salvata e divinizzata, essa non è però annientata da Cristo. Ora Maria è la più sublime rappresentante dell’umanità, non solo in quanto redenta dal peccato, ma anche in quanto sposa e generatrice della persona umano–divina di Cristo, e come Cristo è un modello sublime per ogni uomo divenuto realmente figlio di Dio, così era necessario che ogni donna avesse un modello sublime nella Madre generatrice della vita infinita del suo Figlio divino. E come Cristo è risorto e asceso al cielo in anima e corpo per confermare che l’umanità non è annientata nel suo essere proprio dalla sua unione con la divinità, così era necessario che Maria ascendesse al cielo in anima e corpo per confermare che la missione della donna a servizio dell’amore e della vita rimane per l’eternità.

E Cristo stesso ha reso onore a questa missione della donna. Infatti, come uomo, dove ha egli imparato la misericordia, la premura per la vita umana, la dolcezza dell’amore, la speranza in una felicità sovrumana, se non dal mistero della maternità che lo ha generato, nutrito, protetto, accarezzato e seguito fedelmente fino alla morte — da colei che giustamente invochiamo come «madre di misericordia, vita, dolcezza e speranza nostra»? E questo mistero di amore è stato l’anima del suo messaggio — né poteva essere altrimenti, se soltanto attraverso la donna si rivela
all’uomo il senso sublime della sua vita — quel messaggio che, come abbiamo già osservato, ha immesso nella storia del genere umano l’aspirazione irresistibile a porre tutta l’energia dell’uomo a servizio dell’amore e della vita. E se è vero, come è vero, che Cristo è il più grande poeta di tutti i tempi e che la poesia costituisce la forza segreta e irresistibile del Vangelo, e se è vero che l’ispiratrice essenziale, diretta o indiretta, di tutta la poesia è sempre la donna, per le ragioni che si sono dette, ciò vuol dire che in tutto il Vangelo, anche dove ciò non appare esplicitamente, vi è la presenza ispiratrice del mistero della donna e del mistero di Maria.

Se, dunque, oggi vediamo le forze dell’inferno scatenate come non mai nel tentativo di sradicare per sempre dal cuore del genere umano l’aspirazione a servire l’amore e la vita, non possiamo fare di meglio che ripetere l’antica invocazione: O clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria!

 

 

 

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