Il 17 maggio si è celebrata la festa liturgica del francescano spagnolo San Pasquale Baylón. Figura straordinaria di predicatore umile e zelante, fu taumaturgo e circonfuso del dono della sapienza.
di Silvio Brachetta
Tra i vari santi francescani dal carisma molto simile a quello del Poverello d’Assisi – San’Antonio da Padova, San Leopoldo Mandić o San Pio da Pietrelcina – non può non risaltare la figura di San Pasquale Baylón (1540-1592), vissuto in Spagna durante il periodo del Rinascimento e della Riforma protestante. Nato da una famiglia di pastori, Pascual Baylón Jubera si limitò a trascorrere la giovinezza badando al gregge di famiglia, trasformando però questo suo lavoro in un’occasione di continua preghiera e meditazione, nel silenzio delle vallate. Solo a diciott’anni chiese e ottenne l’ammissione al noviziato presso l’Ordine dei Frati Minori Alcantarini, nel convento di Valenza, dopo un’esperienza mistica legata all’Eucaristia. Il tipo di preghiera preferita dal giovane pastore, infatti, era quella dell’adorazione davanti al tabernacolo. Dovendo tuttavia badare al gregge, non aveva molte occasioni di accostarsi a Gesù Sacramento. E avvenne così che un giorno, mentre pascolava, fu ricolmato da un’ondata di amore celeste e vide in mezzo al cielo un ostensorio, davanti al quale egli si prostrò, nello splendore della natura, fattasi muta di colpo. Per questo motivo San Pasquale è conosciuto anche come il «serafino dell’Eucaristia».
Vuole somigliare a Gesù, obbediente al Padre
È quasi la regola, in un santo, trovare tesori di grandi virtù, ma non tutti – anzi molto pochi – sono riusciti a realizzare l’obbedienza perfetta «perinde ac cadaver» (allo stesso modo di un cadavere, che rimane dove lo si mette). San Filippo Neri, ad esempio, diceva che per acquistare il dono dell’umiltà sono necessari quattro atteggiamenti: «disprezzare il mondo, non disprezzare alcuno, disprezzare se stesso e non far conto d’essere disprezzato». Quanto ai primi tre – soggiungeva Neri – qualcosa riesco a fare, eppure «rispetto all’ultimo non sono arrivato; e a questo vorrei arrivare». C’è invece arrivato, fin da subito, San Pasquale: non c’è mortificazione che gli sia stata risparmiata, tra ingiurie pubbliche, maltrattamenti, derisioni e diffamazioni; tanto da parte dei secolari, quanto dai propri fratelli.
Molte informazioni, nel merito, giungono dall’opera del confratello Cristoforo d’Arta titolata “Vita, virtù e miracoli del beato Pasquale Baylón” (Roma, 1672). Narra d’Arta che frate Pascual, avendo esortato un infermo alla confessione, vistolo in pericolo di vita, sia stato preso a male parole dai parenti, secondo i quali l’infermo non era poi così grave: lo trattarono malissimo «dicendogli che era un idiota e non s’intendeva di medicina». La risposta del santo fu del tutto serena e pacifica. Rivolto alla moglie le disse: «Perdonatemi sorella, non ho richiamato vostro marito al pentimento acciocché vi sdegnaste, ma solo per preparare l’infermo, perché bisogna prima provvedere alla salute dell’anima e poi a quella del corpo». L’uomo dette ascolto a frate Pascual, si confessò e a breve morì nella pace. L’atteggiamento di Baylón non mutò nel tempo e nelle circostanze: dopo un grande sorriso, lieto di essere stato insultato come Gesù, rispondeva sempre con mansuetudine e con ricchezza di argomenti.
In un’altra occasione, il Guardiano del convento nel quale risiedeva, gli ordinò di confessare un certo peccato dinnanzi agli altri frati e «diedegli una riprensione sì grande e con parole tanto sconce, che arrivò a dirgli che era un ipocrita e finta la sua virtù, ostentata al solo fine d’ingannare tutti». Non solo frate Pascual corse subito a baciare i piedi del Guardiano, ma allo stupore di un confratello colpito da un’umiltà così spontanea, egli dichiarò con allegrezza: «Non solo non è stato di disgusto per me quello che il nostro fratello Guardiano mi ha detto, ma mi ha cagionato tal giubilo, che piacesse a Dio mi facessero ogni giorno tali grazie». Ben presto molti si accorsero di quanta importanza Baylón desse all’obbedienza, di quanto fosse docile e con quanta facilità riuscisse a non tenere conto di essere disprezzato.
Sapienza infusa
Così dunque San Pasquale stimò se stesso «ignorans et idiota», allo stesso modo di San Francesco che, nell’Epistola seconda, confessava di non sapere nulla e di essere poco intelligente. Ma è proprio su questa strada dell’umiltà che spesso si dischiudono le porte della sapienza, come è scritto nel Vangelo: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11, 25). La provvidenza dispose per il frate una vita piuttosto attiva e lo si vide portinaio, giardiniere, cuoco e questuante. Proprio durante le sue frequenti camminate per le vie cittadine ala ricerca di qualche elemosina per il convento, aveva modo di colloquiare con la gente, prodigandosi in consigli, esortazioni e benedizioni, che erano molto simili ad una qualche forma di predicazione.
Ben presto il popolo si accorse che in frate Pascual ardeva un certo lume soprannaturale e le sue parole – afferma d’Arta – «erano sì alte, misteriose e sottili» da essere in grado di sciogliere «le questioni che gli si proponevano, ancorché in termini scolastici, e risolvendo le difficoltà con tale verità e chiarezza, da sembrare un consumato teologo». È quindi opportuno parlare, in questo caso, di vera sapienza e scienza infusa, nonostante il frate fosse quasi del tutto illetterato. Baylón parlava, quindi, dei divini misteri con padronanza di termini, essendo pure in grado di disputare con i protestanti, messi in difficoltà dalla sua enorme erudizione. Leone XIII, in una sua Lettera del 1897, fu più esplicito: Baylón «pervenne ad una cognizione così profonda delle verità soprannaturali che, quantunque sprovvisto di lettere, fu capace di dare responsi sui dogmi più difficili e perfino di scrivere libri ripieni di pietà. Professò apertamente in faccia agli eretici la verità Eucaristica, per il che ebbe a patire molte e gravi persecuzioni ed, emulo del martire Tarcisio, fu minacciato più volte di morte».
Madonna povertà
E alle parole seguivano sempre i fatti, nel senso che il santo ebbe il dono della taumaturgia. Mediante l’imposizione delle mani o con il semplice gesto del segno della croce, frate Pascual guariva le infermità delle persone che si rivolgevano a lui. Come insegna la vicenda del Cristo, i doni vengono elargiti dallo Spirito Santo come segni della presenza di Dio, che opera e guarisce. Il miracolo dovrebbe però essere solo un mezzo, per sostenere la fede e muovere il cuore umano a conversione. Così, anche in Baylón, il miracolo era un pretesto per attirare quante più anime possibile alla penitenza. Eppure il francescano spagnolo sapeva bene che forse, più del prodigio, è l’esempio che convince i dubbiosi. Per questo egli non trascurò mai la conversione di se medesimo, attraverso digiuni, preghiere e umiliazioni – attraverso l’accettazione paziente del dolore, delle privazioni – in modo che potesse essere di giovamento più la sua condotta delle sue parole.
San Pasquale amò la povertà in modo simile al Poverello d’Assisi. Lo si vedeva sempre con lo stesso saio, coperto di molti rammendi. Ma questo atteggiamento è, tutto sommato, esteriore. La grandezza e la nobiltà della povertà stanno, in modo speciale, nello spirito. Baylón amava dire che «il religioso veramente povero di spirito non solo doveva sopportare con gusto le necessità temporali, ma spogliare anche il suo affetto dall’appetito della devozione, tenerezza e consolazione sensibile, volendo solo il volere di Dio, dandosi tutto in mano a Lui, espropriandosi di se stesso». Se veramente sono questi i sentimenti del religioso, allora il portare il saio logoro e rammendato non è più una mera esibizione, ma è la rappresentazione esteriore e credibile di quanto è custodito nell’intimità del cuore.
La preghiera
In San Pasquale la fede è certezza. Si legge dai suoi “Scritti”: «Poiché Dio desidera ardentemente donarci cose buone, abbi la certezza che egli ti darà tutto quello che tu chiedi». Ma la fede va sostenuta con la preghiera e, in questo senso, Baylón è maggiormente preoccupato ad insegnare come si prega. Non chiedere comunque nulla – avverte – «prima che Dio non ti abbia mosso a chiedere, in quanto egli è più disposto ad esaudire la tua richiesta che tu a chiedere». In altre parole, «a chiedere ti spinga più la volontà di Dio che vuole donarti, anziché la necessità di chiedere». L’attenzione non è dunque da orientare verso l’oggetto della richiesta, bensì verso i «meriti di nostro Signore Gesù Cristo». È ben più opportuno chiedere «che Dio sia cercato sopra ogni altra cosa», piuttosto che domandare questo o quello.
Ed è proprio la domanda che il cinquantaduenne frate Pascual fece in punto di morte: «Hanno già suonato le campane per la Messa conventuale»? E nel sentire la campanella che il diacono suona durante l’elevazione del Santissimo, Pascual Baylón rese lo spirito a Dio, mentre gli occhi si chiudevano al buio e il suo volto raggiante contemplava per la prima volta la vera luce.
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