Una bella storia americana. Un sacerdote particolare. Le preghiere, le rose ed il carcere.

Eccola nella mia traduzione.

Foto: padre Stephen Imbarrato, Julia Haag e Joan McKee

Foto: padre Stephen Imbarrato, Julia Haag e Joan McKee

La prima cosa che ha fatto un sacerdote cattolico incarcerato la settimana scorsa per essersi rifiutato di lasciare un centro in cui si eseguono aborti è stata di fare una croce di carta di fortuna e un rosario in miniatura da un sacchetto di plastica.

Andare in prigione per sette giorni “è stato un sacrificio minimo da sopportare per dare una voce più forte ai bambini“, ha detto padre Stephen Imbarrato a LifeSiteNews. Il Presidente della Giuria del Tribunale Superiore del Distretto della Columbia, Robert Morin, ha condannato Imbarrato a una settimana di carcere dopo averlo giudicato colpevole di trasgressione. Il sacerdote, noto per i suoi video sui social media, si è rifiutato, insieme ad altre due attiviste pro-life, di lasciare una struttura per l’aborto il 2 dicembre 2017. Gli attivisti a favore della vita stavano consigliando alle madri di scegliere la vita, offrendo loro rose rosse e alternative all’aborto.

Si è trattato del “Red Rose Rescue”, parte di un movimento in crescita ispirato dall’attivista canadese pro-life e prigioniera di coscienza Mary Wagner.

Padre Imbarrato non è come la maggior parte dei sacerdoti. È un bisnonno. Possedeva e gestiva un ristorante prima di essere ordinato sacerdote all’età di 53 anni. È anche (reduce da una esperienza) post-aborto e ha ricevuto una speciale dispensa che gli ha permesso di diventare comunque sacerdote cattolico (normalmente il diritto canonico rende difficile l’ingresso nel sacerdozio a coloro che hanno partecipato ad un aborto).

Arrivati al Distretto della Columbia Detention Center, “ci hanno dato un libro di puzzle, ho strappato la copertina, e l’interno della copertina era completamente bianco”, ha spiegato Imbarrato. “Ho fatto una croce e ho [scritto] diverse meditazioni su ciò che riguardava la crocifissione di Cristo e anche la strage dei bambini“.

Poi ho preparato un rosario di dieci perline con un nastro di plastica che ho tolto dal sacchetto che ci hanno dato per mettere tutta la nostra roba“, ha detto. “Per tutto il tempo in cui sono stato lì, ho pregato innumerevoli rosari, innumerevoli coroncine di misericordia divina, innumerevoli Angelus, offerte del mattino, atti di contrizione della notte – “e “abbiamo cantato inni”.

L’unico altro oggetto di natura religiosa che il sacerdote pro-vita aveva erano due libri devozionali cattolici che un assistente sociale gli aveva donato e documenti tratti da uno studio biblico che un precedente detenuto aveva lasciato nella sua cella. Il sacerdote ha detto che dopo ha scoperto attraverso un manuale che gli era stato concesso di portare un articolo religioso di qualche genere, “così avrei potuto portare il mio scapolare” e un rosario a cordase ne fossi venuto a conoscenza prima“.

E’ stato nel blocco di ammissione della prigione per tutto il tempo, e poiché la sua condanna era molto breve, non è stato trasferito per stare con la “popolazione (carceraria) in generale”.

Imbarrato aveva un totale di tre compagni di cella – tutti e tre sono stati “evangelizzati” – ed è stato senza uno di essi per circa la metà del suo tempo di carcere. Trascorreva 23 ore al giorno nella sua cella.

Quando arrivano i bambini in tribunale?

Il 25 giugno, Imbarrato e le due donne con cui aveva diretto il Red Rose Rescue di dicembre, Julia Haag e Joan McKee, sono state processate per questo.

Morin ha permesso ai pro-lifer di usare una difesa per necessità, ha permesso loro di sostenere di aver agito in violazione della legge per salvare la vita dei bambini. Piuttosto che confutare la difesa per necessità, il procuratore si è focalizzato sull’accusa di violazione di domicilio, ha detto Imbarrato, qualcosa che trova “rivelatore”.

Imbarrato, Haag e McKee hanno assunto la posizione “tesa a stabilire il fatto che ognuno di noi eravamo lì perché abbiamo ragionevolmente creduto che queste donne fossero in pericolo e i bambini stessero per morire“.

Tuttavia, il giudice non ha ritenuto credibile la difesa, e li ha condannati.

Haag e McKee saranno condannati il 24 luglio. Imbarrato è stato condannato subito dopo il processo perché ha detto al giudice che non avrebbe rispettato alcuna libertà vigilata o pagato alcuna multa. Ha chiesto al giudice se quello significava che sarebbe stato incarcerato, perché “considererebbe un onore andare in prigione e che mi darebbe una voce più grande per i bambini“.

Io ho detto: ‘Giudice, mi permetta di farle una domanda: quando i bambini hanno la loro giornata in tribunale'” ha ricordato. “Quando i bambini ricevono una voce in un’aula come questa su quello che sta succedendo? Il governo sta sanzionando l’omicidio di massa ogni singolo giorno di migliaia di bambini, il governo lo sta proteggendo attraverso i tribunali e, giudice, oggi ne è stato il perfetto esempio. E il governo finanzia, con i nostri dollari in tasse, l’omicidio di massa di bambini non ancora nati”.

Vita in prigione

Tutti i detenuti che P. Imbarrato ha incontrato nel Centro di detenzione del Distretto della Columbia sono stati molto rispettosi delle sue convinzioni a favore della vita, ha detto. Non appena hanno scoperto che ero un sacerdote cattolico, tutti erano molto curiosi di sapere cosa avessi fatto.

“Non ho trovato una persona che si sia rapportato con me” in modo negativo riguardo all’essere pro-life. “Non userò il loro linguaggio colorito“, ma molti gli hanno detto di essere fortemente contrari all’aborto.

Ho fatto un bel po’ di digiuno“, ha detto, ma “per la maggior parte non è stato volontario perché il cibo non era per gran parte commestibile“.

Non ha potuto offrire o assistere alla Messa durante la sua settimana in carcere, ma si è reso utile agli altri detenuti e ha fatto “tutto il ministero che potevo“.

“La prima cosa che ho detto a tutti [in carcere], e tutti ne hanno ricavato una risata, è stata: ‘Non sono mai stato da nessuna parte nella mia vita in cui non ti dicono nulla e si aspettano che tu sappia tutto’”, ha ricordato il sacerdote. “Il problema più grande che le persone – i detenuti – avevano era il contatto con i loro cari“.

Dalla sua liberazione, Imbarrato ha istituito e messo denaro in quattro conti commissariali dei detenuti, che permetterà loro di connettersi più facilmente con i loro cari.

La cosa che ha colpito padre Imbarrato riguardo la vita in carcere è stata quella del modo in cui i detenuti dovevano chiedere le cose per poterle ottenere. Ha detto che i funzionari del carcerarie lo ignoravano quando educatamente chiedeva: “Mi scusi, signore, posso fare una domanda?”.

Immediatamente, un certo numero di ragazzi, se volevano qualcosa, avrebbero urlato ‘CO, CO! (cioè Ufficiale di comando, ndr)'” ha ricordato. Le guardie e i detenuti urlavano avanti e indietro fino a quando le grida non si fissavano in una conversazione e l’ufficiale di correzione rispondeva alla richiesta della “voce più forte”.

Il comportamento appreso è quello di “essere la voce più forte e fastidiosa“, ha detto. “Nostro Signore mi sta dicendo qualcosa sul movimento pro-vita? Se siamo rispettosi e docili, la nostra voce non sarà ascoltata dalle persone che hanno il potere“.

 

Fonte: LifeSiteNews

 

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