Abbiamo già parlato del ddl Pillon su affido condiviso con il contributo del Centro Studi Livatino, che potete leggere qui, riprendo ora quello di Eugenia Roccella, giornalista e politica italiana, già sottosegretario al ministero della salute nel governo Berlusconi, componente di IDeA.

Secondo Eugenia Roccella il ddl Pillon sull’affido condiviso non è emendabile perché sposa una filosofia gender-friendly. Infatti, equiparando totalmente il papà alla mamma, sconfina nel territorio delle figure del “genitore 1” e “genitore 2”.

 

Foto: Eugenia Roccella

Foto: Eugenia Roccella

 

Cari amici, sono assente da Fb e in genere dallo spazio pubblico da molti mesi. Il motivo è un grave problema di salute in famiglia, che adesso, grazie a Dio (e approfitto per ringraziare tutti quelli che hanno pregato con me) va migliorando. Riprendo quindi a scrivere, e lo faccio su un tema che mi sta molto a cuore ma che non è affatto piacevole affrontare.

Il tema è il ddl Pillon sul cosiddetto affido condiviso, che un giurista di area cattolica ha definito “affido suddiviso”, perché non c’è alcuna condivisione, ma, al contrario, si approfondisce il conflitto uomo-donna, moglie-marito e si distrugge il concetto stesso di famiglia. Peggio: si pretende di dividere il figlio come fosse un oggetto amorfo, privo di sentimenti e desideri personali, un oggetto di proprietà dei genitori, da spaccare a metà in nome della assoluta e totale parità tra i sessi.

Parlarne non è piacevole per una semplice ragione: incredibilmente (almeno appare incredibile a me) il primo firmatario della legge è un amico, ma soprattutto è un cattolico che proviene dal Comitato difendiamo i nostri figli, e che è nella Lega NON IN QUANTO LEGHISTA, ma perché dovrebbe rappresentare lì dentro quel popolo pro life e pro family che si è riconosciuto nelle grandi manifestazioni di piazza.

La legge purtroppo non è emendabile, perché il problema è la filosofia di fondo su cui è costruita, che è visibilmente “gender friendly”. Se passasse, sarebbe la prima, vera legge improntata alle teorie gender che entra in Italia. La differenza sessuale sparisce: un genitore è perfettamente equivalente all’altro. Siamo nel territorio del genitore 1 e 2, del modello unico genitoriale e sessuale. Il bambino deve passare metà tempo con uno e metà con l’altro, il che vuol dire che il papà dovrà fare “il mammo” e la mamma “la padra”.

Se per tanto tempo abbiamo ribadito che a un bambino servono mamma e papà, è perché le due figure sono DIVERSE e COMPLEMENTARI, e il compito educativo, le competenze, la vocazione genitoriale naturale sono, appunto, diverse.

Non sono stata sempre d’accordo con Adinolfi, ma trovavo perfetto il titolo del suo libricino, “Voglio la mamma”. La mamma, non il papà: non perché il papà non sia necessario, assolutamente fondamentale, ma perché, appunto, un bimbo in alcuni momenti e fasi della vita vuole la mamma, chiede accudimento e accoglienza e tutto quello che siamo abituati ad associare alla maternità. Alla paternità si chiede altro.

Gli errori e gli orrori di questa legge sono molti, alcuni molto gravi (per esempio l’avallo cieco alla “sindrome di alienazione parentale”) ma, si dice, tutto si può cambiare, emendare, migliorare. Giusto. La filosofia giuridica, etica e antropologica su cui è costruito il testo, però, non si può emendare, e per questo la legge è semplicemente da ritirare.

Tornerò sul testo di legge, ma quello che mi ha convinto a scrivere è il recente comunicato dell’amico Gandolfini e del Comitato difendiamo i nostri figli sulla legge Pillon.
Capisco il lungo silenzio: anch’io ho taciuto sperando che i tanti segnali negativi mandati dal mondo cattolico, dalla Bussola al Centro Livatino, da Avvenire al Forum delle Famiglie, bastassero a convincere il senatore Pillon a desistere. Non capisco invece il senso del comunicato, uscito, fra l’altro, dopo una pessima intervista a Pillon sul Corriere, in cui si citava anche Gandolfini.

Nel comunicato si dice che il Comitato non c’entra con il disegno di legge, e che il tema della bigenitorialità sta nel contratto di governo. Ma Pillon viene SEMPRE citato in relazione al Comitato e alle manifestazioni anti-gender, e nell’intervista del Corriere su questo punto c’è l’avallo di Gandolfini.

Come ho detto, mi sembra che Pillon non sia in Senato come militante leghista, ma proprio per conto del Comitato. Se così non è, se Simone è solo uno dei tanti senatori leghisti con il compito di applicare il contratto di governo e di seguire sempre e comunque Salvini, va benissimo, basta dirlo e fare chiarezza. Io credo che questa sia la sostanziale differenza tra un politico che è ANCHE un cattolico e un cattolico che sceglie di fare il politico. Se si entra in politica perché si vuole dare corpo ai principi della dottrina bisogna essere disposti anche a dissociarsi e combattere contro le cose sbagliate che il proprio partito fa, fino eventualmente ad andarsene. L’importante è comunque che tutto sia fatto in trasparenza.

Ricordo che come candidati abbiamo firmato un testo di impegni, in cui non c’era affatto una legge come questa e c’erano invece altri obiettivi che per ora mi sembrano lettera morta. Direi che forse il Comitato dovrebbe chiedere ai parlamentari che hanno firmato di onorare quell’impegno e di cominciare da lì.

Per quanto riguarda il giudizio sulla legge, Gandolfini scrive che ci sono “luci e ombre” e che “l’attuale normativa appare gravemente lacunosa”. Non sono affatto d’accordo, ma questo è un mio giudizio; il Comitato però non ha mai detto questo prima di adesso, mai, prima, ha posto come problema queste “gravi lacune”, e soprattutto bisogna allora, su questo tema, aprire una discussione con le diverse associazioni di area cattolica. Parliamone apertamente e pubblicamente, e vediamo se la legge è emendabile o se è sostanzialmente troppo distante dai nostri principi e valori. Ma facciamolo serenamente, senza aprioristica volontà di difendere qualcosa o qualcuno, uno schieramento o un singolo parlamentare: è questo, solo questo, che può “ferire la forza culturale costruita sul Family day”, come scrive Gandolfini. E’ solo l’ambiguità, la reticenza a dare un giudizio chiaro che indebolisce quella forza, che deve essere assolutamente autonoma e sopra le parti per rappresentare davvero tutti quelli che ci hanno creduto e ancora ci credono.

 

Fonte: dalla pagina Facebook di Eugenia Roccella

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