di Giovanna Ognibeni
Prima di essere confusa con una volenterosa pasionaria in atto di minacciare e/o incitare alla rivolta, devo confessare che in terza liceo, benché avessi già assaggiato il frutto proibito della firma falsa sul libretto delle assenze, mentre in tutta Italia gli studenti imitavano i coetanei francesi manifestando nelle piazze, io, con altri quattro o cinque sfigati, ero in classe a testimoniare con inutile pervicacia il mio disaccordo con la mobilitazione generale. Avevo ereditato dai miei un forte sentimento del “questo si può fare, questo no”, e una, forse più da mio padre, spiccata attitudine a “fare il bastian contrario”, cui negli anni si è aggiunta una marcata diffidenza verso le rivoluzioni: quella francese, per cui tuttavia nutrivo un’istintiva simpatia motivata in massima parte dall’aver seguito in Tv lo sceneggiato “I Giacobini”!
Tutto quel “marchons, les enfants de la Patrie” finì nella Francia bottegaia e codina (il cui Dio era però l’argent) di Balzac Flaubert e Maupassant, e nella seconda metà dell’800 nel proletariato intossicato dalla miseria e dallo stesso attaccamento al soldo della borghesia così ben dipinto da Zola.
La rivoluzione russa poi, sulla strada verso il meraviglioso e rosso sol dell’Avvenire, si sarebbe incagliata nelle purghe, nei Gulag e nei piani quinquennali. Per tacere di rivoluzioni messicane, cubane, cinesi.
Un potere che sostituisce un altro potere. Poi certo anche un grande cambiamento di costumi e di sentimenti, e non c’è nessuna riprova o possibilità di verificare cosa sarebbe potuto succedere se…
Non sempre il popolo ha ragione, ma c’è sempre una ragione per e in quello che fa. Questo non del tutto mediocre aforisma pare che l’abbia “inventato” io, quantunque ogni aforisma sia di dubbia attribuzione, e possa essere una elaborazione di suggestioni altrui. Tant’è, lo brevetto qui e ora, poiché se una rivoluzione (od ogni rivoluzione) può non essere la risposta e la soluzione, è pur vero che nasce da un bisogno, da un malessere, una malattia della società. Non è la cura giusta, ma riempie un vuoto di giustizia, talvolta, semplicemente ma profondamente, di senso.
Questo vale anche per il Concilio Vaticano II, presentato da taluni come una rivoluzione, i cui frutti a distanza di 60 anni non sembrano particolarmente “buoni e piacevoli a vedersi”. Da una parte lo si denuncia come una grave deviazione del corso millenario della Chiesa, senza chiedersi se non fossero stati frapposti ostacoli, tra secche, chiuse e ramaglie tali da ostacolarne il flusso. Dall’altra parte si parla di una rivoluzione tradita. Il punto è che ogni rivoluzione viene tradita.
Tra l’altro, mettiamo tra le rivoluzioni anche la Riforma Protestante, che di Riforma ha solo il nome.
Bene, tutta questa non richiesta disamina sulle rivoluzioni (tipo test a scuola: il candidato esamini genesi, sviluppo e problematiche delle rivoluzioni in trenta righe) per assicurare che sono una persona nativamente aliena da disordini e rivolte e soprattutto da speranze verso rivoluzionarie palingenesi.
Epperò, talvolta ho la sensazione che ci possa essere un esito, o comunque un passaggio attraverso momenti rivoluzionari. Come quando leggo su un tweet a me sconosciuto ciò che avrebbe detto una conduttrice televisiva, l’esortazione a mangiare solo mezza brioche al bar, salvando così anche la linea. Ho usato il condizionale perché appunto non ho sentito di persona l’affermazione sciagurata, che oltre tutto porta una sf…(il termine improprio basta una volta sola per articolo) allarmante. Una giornalista televisiva deve aver terminato per forza la scuola dell’obbligo, la terza media, e quindi dovrebbe risuonarle infausto l’invito a mangiare brioches della Regina Maria Antonietta, anche lei all’epoca senz’altro convinta d’essersi cimentata in un brillante mot d’esprit.
E che dire dell’uscita improvvida del nostro acclamato Nobel per la Fisica? Caspita, hai ricevuto il Nobel col relativo assegno, fama e lustro. Devi proprio metterti a fare spot per la quarta dose del vaccino? Non è che a te abbia già fatto male la terza? Oppure la popolarità televisiva è proprio una droga così fatale che basta assaggiarne una piccola dose per esserne totalmente dipendente?
E adesso, la ricetta per cuocere la pasta consumando meno gas? Al di là dei risultati, colla o non colla, vorrei chiedere all’esimio scienziato quante accidenti di paste dobbiamo cuocere per risparmiare l’equivalente di un giorno di riscaldamento. Ha mai pagato una bolletta? E non si è accorto della differenza (che arriva all’ottanta per cento) tra bollette invernali ed estive, o è convinto che sia dovuta al fatto che d’estate si mangi meno pasta?
Stia attento che a Luc Montagnier han dato del vecchio rinco, e del terrapiattista, per aver dato giudizi poi rivelatisi ben fondati.
Il fatto è che gli altri, i Tartari (come li ha definiti Mattia Spanò su questo blog), i nostri governanti, e la variopinta Corte dei Miracoli che li circonda ci hanno veramente preso per il popolino ignorante e ritardato cui consigliare le brioches!
Di fronte ad una tragedia dalle prospettive devastanti non trovano di meglio che escogitare delle linee guida da mentecatti. Ah, le docce fredde se le facciano loro, immuni da reumatismi e artrosi per diritto divino. Noi possiamo spegnere del tutto la televisione, altroché la lucina dello stand by. Certamente risparmieremmo un nulla sulla bolletta ma tanto per riprenderci le nostre facoltà mentali.
A breve ci consiglieranno di riattare le neviere per dismettere il frigorifero, e dare nuova vita ai lavatoi pubblici.
Sono nata in una casa senza riscaldamento a Bolzano, con solo una stufa in sala e una cucina economica a legna in cucina. Mia mamma appena svegli ci portava avvolti nella coperta accanto alla cucina già accesa per vestirci. Tutto sommato preferirei evitare questo ritorno all’infanzia, ma non temo il limite dei 19° in sé: c’è sempre stato dibattito -si scrive dibattito si legge litigata – con i miei figli che deambulavano in maglietta lamentandosi per il freddo, ma qui il problema è un altro: non si tratta di consumare meno per non esaurire le riserve, si tratta di non consumare affatto il gas perché non possiamo pagare le bollette e continuare a vivere nello stesso tempo!
E’ come se, avendo notizia dell’arrivo di uno tsunami (maremoto sino a metà degli anni ’90) entro un’ora, le autorità avvertissero i cittadini di tirare fuori dal baule materassino e salvagente a forma di paperella e di arrangiarsi.
A meno che… a meno che i nostri amati Governanti, guidati da un banchiere, meglio un Gran Bancario di Stato, un Grand Commis, traducibile con Gran Commesso, non sappiano benissimo, poiché lo sappiamo tutti, che nel nostro Paese c’è un risparmio privato stratosferico, e facciano affidamento su quello, convinti di accompagnarci per uno scivolo dolce al suicidio, economico prima e poi forse anche fisico, in una felice transizione verso la realizzazione dell’Agenda 2030, non possedere nulla, vivere felici e soprattutto essere in meno, così stiamo (stanno) più larghi.
E’ comunque un bell’azzardo.
Sostieni il Blog di Sabino Paciolla
Scrivi un commento