Stralci dalla prefazione del nuovo libro di Phil Lawler intitolato: Il fumo di Satana, le cui parole sono prese dalla celebre frase di Paolo VI quando disse che “attraverso qualche fessura il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio”. Gli stralci costituiscono una riflessione sulla natura della Chiesa a partire dall’attuale momento storico.
Eccoli nella mia traduzione.
A Gerusalemme, appena fuori dalle mura della Città Vecchia, sorge la chiesa di San Pietro in Gallicantu: San Pietro quando il gallo canta. Le chiese cattoliche sono regolarmente dedicate ai santi, ma solo raramente ad un particolare momento della vita di un santo. D’altra parte, questo non è un santo comune, non è un momento ordinario.
San Pietro in Gallicantu fu costruita nel V secolo, e ricostruita dai crociati, sul luogo che tradizionalmente si pensava fosse il luogo dove viveva Caifa il sommo sacerdote, dove Gesù fu portato a processo. Nel cortile di quella casa, Pietro ha negato per tre volte di essere un seguace di Cristo. Il Vangelo di Luca (22:60-62) racconta l’incidente:
E subito, mentre parlava ancora, il gallo cantò. E il Signore si voltò e guardò Pietro. E Pietro si ricordò delle parole del Signore, che gli aveva detto: “oggi prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte”. E uscì e pianse amaramente.
Nelle sue lacrime – nel suo pentimento, nella sua disponibilità a gettarsi nella misericordia di Cristo – Pietro trovò la redenzione. Il primo Papa, eroe riconosciuto e leader della prima comunità cristiana, era, e sapeva di essere, un uomo peccatore.
Né Pietro era l’unico dei seguaci di Cristo ad averlo abbandonato nel momento della sua prova. Dei dodici apostoli, i racconti evangelici mettono solo Giovanni ai piedi della croce, vegliando con Gesù; gli altri non erano in quel posto. Naturalmente Giovanni non era solo. Con lui c’era Maria, la Madre di Gesù, che, a differenza degli apostoli, era senza peccato, non ha mai abbandonato suo Figlio.
Quando il gallo cantò, Pietro riconobbe dolorosamente la sua peccaminosità, il suo bisogno di raggiungere la santità: un bisogno che sentì durante il giorno del suo martirio. Per Maria – che, insegna la Chiesa, è nata senza macchia di peccato – la santità era ed è una costante. In questo senso Maria è un modello della Chiesa: sempre fedele, la Sposa immacolata di Cristo. Ma Pietro e gli apostoli sono anche un modello della Chiesa: l’istituzione gerarchica, fondata da Cristo, guidata dallo Spirito Santo, ma affidata alle cure degli uomini peccatori.
Per i cattolici è sempre una sfida mantenere questi due modelli della Chiesa nella giusta prospettiva. Il modello mistico, mariano, senza la guida pratica dell’insegnamento della gerarchia, può virare nell’emotività e nel sentimentalismo amorfo. Il modello petrino, spogliato del calore mariano, può diventare freddo e calcolatore. In La bellezza della santità e la santità della bellezza, John Saward scrive: “Distaccata da Maria, la Chiesa non è più vista come una persona, una donna, la sposa di Cristo e nostra madre, ma come un’organizzazione, una cospirazione di ecclesiastici praticoni”. E, si potrebbe aggiungere, questo è ciò che diventa.
Il fedele cattolico dovrebbe riconoscere la Chiesa di Cristo in entrambi i modelli, mariano e petrino. Verso la Chiesa mariana l’atteggiamento appropriato è un atteggiamento di fiducia e devozione da figlio. Verso la Chiesa petrina, la fiducia di un adulto maturo.
Ma cosa succede quando i membri della gerarchia, i leader della Chiesa petrina, perdono la nostra fiducia?
La storia della Chiesa cattolica è una storia segnata dal successo e dal fallimento, dalla santità e dal peccato, dallo splendore e dalla corruzione. Questa è naturalmente la storia della Chiesa visibile, il modello gerarchico; attraverso di essa, la Chiesa mariana rimane pura e leale. Nei tempi buoni e cattivi si amministrano i sacramenti, si celebra l’Eucaristia; Cristo è con la sua Chiesa, offrendo la salvezza. L’opera invisibile della Chiesa è sempre la prima priorità.
Eppure è sbagliato ignorare l’importanza della gerarchia. Gesù promise che lo Spirito Santo avrebbe guidato sempre la Chiesa, che nonostante le evidenti debolezze dei suoi capi, la Chiesa avrebbe prevalso sulle porte dell’inferno. Papi e vescovi hanno commesso innumerevoli errori di giudizio nel corso delle generazioni, ma la Chiesa sopravvive ancora, la fede si diffonde ancora, mentre altre potenti istituzioni umane appassiscono e muoiono. Il fatto stesso che la Chiesa ha resistito a tutte le tempeste, indipendentemente dagli errori dei timonieri, è di per sé una prova del potere dello Spirito. Come disse Hillaire Belloc, “la Chiesa cattolica è un’istituzione che non posso che considerare divina, ma per i non credenti una prova della sua divinità potrebbe essere trovata nel fatto che nessuna istituzione puramente umana condotta con una tale disonesta imbecillità sarebbe durata due settimane”.
Disonesta imbecillità: queste sono parole dure. Ma nel 2018 i fedeli cattolici usano questo tipo di linguaggio per descrivere la sconvolgente offesa dei vescovi, soprattutto in risposta allo scandalo degli abusi sessuali. I nostri vescovi hanno tradito la nostra fiducia; è stata esposta una corruzione profonda e pervasiva all’interno della gerarchia. Come ha osservato il pensieroso arcivescovo Thomas Wenski di Miami in un’omelia di settembre: “Il nostro popolo crede ancora in Dio; ma non crede in noi”.
Come hanno fatto i nostri vescovi a perdere la fiducia dei fedeli, e come si può riparare il profondo danno fatto alla Chiesa. Questo libro è stato scritto nel tentativo di rispondere a queste domande.
Su un livello, alla prima domanda si può rispondere in modo molto semplice. I vescovi hanno perso la nostra fiducia perché sono stati – ed è stato dimostrato che lo sono stati – disonesti. Nascondevano le prove di abusi sessuali e ingannavano l’opinione pubblica sostenendo che il problema era stato risolto. Peggio ancora, la loro disonestà ha continuato anche dopo che la loro negligenza era stata dolorosamente, completamente smascherata. Lo stesso tipo di insabbiamento che sconvolse i fedeli quando furono portati alla luce nel 2002, è stato in maniera sconfortata riportato alla luce nel 2018, e questa volta i fedeli, essendo stati rassicurati che i vescovi avevano imparato le loro lezioni (del 2002), sono stati oltraggiati nell’apprendere che l’inganno era continuato.
L’abitudine alla disonestà, sosterrò, è stata costruita nella gerarchia cattolica attraverso anni di prevenzione dei conflitti, di gestione del controllo delle informazioni e di conservazione delle apparenze, il tutto motivato da un forte desiderio di evitare di affrontare alcuni problemi fondamentali. Per preservare una facciata di unità, i vescovi hanno deliberatamente ignorato le profonde divisioni tra i fedeli: divisioni in materia di dottrina teologica, pratica morale e disciplina canonica. Come risultato di questa negligenza, nel corso degli anni la dottrina cattolica è diventata confusa, la pratica morale lassista e la disciplina all’interno delle file praticamente inesistente.
Già nel 1972, Papa Paolo VI riconobbe i problemi che erano sorti in tutta la Chiesa universale sulla scia del Concilio Vaticano II: “la marea crescente della profanità, della desacralizzazione, della secolarizzazione che vuole confondere e sopraffare il senso religioso nel segreto del cuore, nella vita privata, o addirittura nelle affermazioni della vita pubblica. Questi mali non provenivano esclusivamente dall’esterno della Chiesa, avvertiva papa Paolo VI: “attraverso qualche fessura il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio”.
L’immagine evocativa del “fumo di Satana” di papa Paolo ha anche suggerito che l’atmosfera all’interno della Chiesa era stata contaminata, che la visione era stata oscurata, così che i pastori non vedevano più chiaramente i problemi. E triste da dire, pur riconoscendo il pericolo, papa Paolo non riuscì a scongiurare il pericolo. La marea secolare continuava a crescere, mentre le divisioni all’interno della comunità cattolica si ampliavano.
Quali sono stati “i frutti del Concilio ecumenico”, che Papa Paolo vedeva in pericolo? Alcuni teologi e commentatori, presenti nella parte “progressista” della Chiesa, hanno accolto il Vaticano II come una netta rottura con la tradizione cattolica, un invito a un approccio completamente nuovo alla fede. Altri, più conservatori (e più fedeli ai documenti attuali prodotti dal Concilio), lo vedono come una riaffermazione degli insegnamenti tradizionali, combinata con un nuovo approccio pastorale. Altri ancora, presenti nell’ala “tradizionalista”, concordano sul fatto che il Concilio è stato una rottura radicale, e la deplorano.
Per evitare aspri scontri, i responsabili della Chiesa fecero del loro meglio per sminuire le differenze tra i fedeli, per nascondere le divisioni. Così, quando i teologi delle università cattoliche negano ciò che i Papi affermano, raramente vengono corretti. Quando i sacerdoti violano le norme liturgiche, raramente vengono rimproverati. La partecipazione alla messo è crollata, sacerdoti e religiosi a migliaia hanno abbandonato le loro vocazioni, le scuole parrocchiali sono state chiuse, eppure i responsabili della Chiesa evitano espressioni di urgenza e di crisi.
Per avanzare lungo i ranghi della gerarchia alla fine del XX secolo, i chierici dovevano sopprimere i problemi piuttosto che affrontarli, lenire i fedeli piuttosto che stanarli, nascondere i problemi piuttosto che ammetterli. In quel clima, quando i vescovi venivano a sapere che i sacerdoti avevano molestato i giovani, facevano del loro meglio per “gestire” la questione, per mantenere le cose senza intoppi, soprattutto per evitare di richiamare l’attenzione pubblica sul problema. Così gli abusi continuarono, così come continuarono il dissenso teologico e gli abusi liturgici. Ma alla fine l’insabbiamento degli abusi è fallito; è emersa la verità dello scandalo. Ora che le prove soppresse per decenni sono esplose nell’opinione pubblica, la negligenza dei vescovi è inconfondibile.
Se il problema fondamentale della Chiesa è la disonestà – abitudine all’ambiguità deliberata, incapacità di affrontare verità dure – allora la soluzione deve essere una candida proclamazione, senza rammarico delle verità della fede cattolica. E se i vescovi hanno perso l’istinto per quell’approccio evangelico schietto, allora tocca ai laici cattolici – in quest’epoca, proclamata dal Vaticano II come “l’età dei laici” – pretendere la verità e rivendicare la tradizione cattolica.
Fonte: Catholic Culture
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