Pian piano, in Germania si torna a permettere le celebrazioni religiose, naturalmente con le necessarie precauzioni: per esempio in Renania del Nord/Westfalia dal 1° maggio e in Baviera dal 4 maggio. Ma proprio dalle fila dei cattolici tedeschi si alzano voci contrarie a questa “fretta”. I soliti noti.
di Alessandra Carboni Riehn
Spiace dirlo, ma tra i primi si distingue il vescovo di Erfurt, una bella città storica della Turingia (ex DDR) in cui il Cattolicesimo vive una situazione di diaspora e si trova in assoluta minoranza rispetto alla gran parte della popolazione che è priva di confessione religiosa o protestante (ca. 14.000 cattolici contro 31.000 protestanti e 152.000 senza confessione religiosa, dati aggiornati al 2011). Con riferimento agli “allentamenti” delle restrizioni del culto, il vescovo Ulrich Neymeyr ha scritto ai suoi collaboratori pastorali: “È giunta l’ora di smetterla di essere fissati con l’Eucarestia e di comunicare il valore di altre forme liturgiche”. Questo sarebbe il compito da affrontare nel periodo che seguirà alla pandemia. Con tale osservazione Neymeyr si riallaccia a quanto espresso dalla facoltà teologica di Erfurt, che aveva esortato a considerare una rinuncia alla celebrazione eucaristica. Il teologo Dominique-Marcel Kosack aveva chiesto infatti di scegliere forme di celebrazione “che nelle attuali condizioni permettano in modo adeguato la preghiera comune e l’annuncio cristiano”. Per esempio, celebrazioni liturgiche senza Eucarestia, liturgia delle ore e meditazioni, durante le quali “sarebbe possibile evitare che risultino troppo dominanti le limitazioni nei contatti”.
Benedikt Kranemann, liturgista, approva e spiega come nelle settimane scorse “si siano sviluppati e sperimentati diversi formati creativi di celebrazione, che con l’allentamento del divieto di celebrazioni religiose pubbliche non dovrebbero finire nel dimenticatoio”. Lamenta inoltre come si discuta troppo poco di come rafforzare simili alternative e rendere stabile la pluralità, mentre i responsabili della Chiesa premerebbero molto “per tornare quanto prima possibile all’Eucarestia”.
Detto in soldoni quindi così stanno le cose: non pare bello dover fare attenzione quando si prende la particola, è tutto troppo complicato e opprimente. Come risolviamo il problema? Togliamo l’Eucarestia. Non si lotta da anni in Germania per far accedere al sacramento dell’Eucarestia anche i divorziati risposati e via dicendo? E ora non è più importante? Ora l’estetica e la sensazione opprimente della mascherina e del disinfettante hanno la meglio sul desiderio di partecipare del corpo di Cristo? Ma allora tutta la liturgia che cos’è? Un simbolo, nulla di più? Chi crede ancora che Cristo sia presente nel pane e nel vino? Se questo non c’è più, se questa fede non esiste più, allora si può partecipare alla messa in streaming anche dopo la pandemia. D’altro canto nella chiesa protestante, che ai tempi di Lutero neanche si sognava di allentare il precetto domenicale, la partecipazione del popolo alla liturgia eucaristica è talmente ridotta che la domenica mattina la “messa” protestante è “con rievocazione dell’ultima cena” solo una volta al mese – se va bene. È un optional. E comunque la chiesa è vuota. Perché, se non c’è Dio, che ci vado a fare?
Non stupisce quindi che nella stessa direzione si esprimano le cattoliche femministe riformiste del movimento Maria 2.0, che già avevano fatto parlare di sé con lo “sciopero” della messa nel 2019 per richiamare l’attenzione sul mancante riconoscimento ufficiale del ruolo delle donne nelle comunità parrocchiali tedesche in termini di “cariche ecclesiastiche” (mirando da ultimo al sacerdozio femminile). Sul portale ufficiale della Chiesa Cattolica Tedesca (katholisch.de) è apparso il 27 aprile un articolo intitolato “Maria 2.0: le messe pubbliche sono contro il comandamento dell’amore al prossimo”. Solo alcuni estratti: “Siamo convinte che il nucleo della nostra fede sia contenuto nel duplice comandamento dell’amore di Gesù.” In questa fase di pandemia l’amore a Dio si dimostrerebbe nella cura e responsabilità verso il prossimo. “E al momento questo per molti di noi significa: rinunciare”. Perché soprattutto i più anziani andrebbero subito a messa e metterebbero a rischio la loro salute. Messe con un numero contingentato di fedeli comporterebbero per alcuni la sensazione di essere esclusi e rifiutati, invece che parte di una comunità. Inoltre in questi tempi tutta la società sarebbe costretta a fare sacrifici. “Darebbe un segnale solidale una Chiesa che resistesse al fianco delle persone e sopportasse con loro questo tempo di rinuncia”, dice la lettera aperta del movimento. Concludendo che sarebbe meglio che i preti andassero davanti agli ospizi (chiusi ai visitatori da settimane) a pregare con il megafono piuttosto che misurare col metro la distanza tra i posti a sedere in chiesa per definire il numero e la posizione dei credenti durante la celebrazione eucaristica.
Tutte cose ragionevoli, per carità. Perché comunque un rischio residuo esiste. L’unica cosa sicura al 100% è chiudersi in casa e non vedere nessuno per altri due mesi. Ma siamo sicuri che sia la cosa giusta? Perfino in Germania, dove davvero la frequenza domenicale dei cattolici negli ultimi 30 anni è crollata a un minimo storico, la gente chiede a gran voce di poter tornare a pregare insieme nella celebrazione eucaristica. Finalmente in tutta la Baviera da lunedì 4 maggio sarà di nuovo permesso tornare a celebrare insieme la messa. Un segno che a me pare bellissimo e mette a tacere tante discussioni oziose. Nella diocesi di Ratisbona, che era stata insieme a Passau l’ultima a sospendere le celebrazioni, nella piccola città di Eschenbach la prima messa coram populo sarà celebrata lunedì 4 maggio alle 00:05, quindi pochi minuti dopo la mezzanotte. Questo sì che è cattolicesimo.
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