di Sabino Paciolla
A proposito di fraternità, riprendo alcuni pensieri di Joseph Ratzinger prima, e Benedetto XVI poi, perché chiariscono bene il concetto ed evitano la confusione.
“Partendo dal messaggio d’amore del Nuovo Testamento, va oggi sempre più prendendo piede una tendenza a risolvere completamente il culto cristiano nell’amor fraterno, nella ‘fraternità umana’, senza lasciar più alcun posto all’amore diretto di Dio o alla sua venerazione: si riconosce solo la dimensione orizzontale, mentre si nega la dimensione verticale del rapporto diretto con Dio. Da quanto abbiamo detto si vede assai facilmente perché questa concezione, che a prima vista appare così simpatica, finisca invece per svuotare di contenuto, oltre che il cristianesimo, anche la vera umanità. La fraternità che pretende di bastare a se stessa si trasformerebbe proprio così nel più evidente egoismo dell’autoaffermazione. Essa rinuncia alla sua definitiva apertura, alla sua disponibilità e abnegazione, se non accetta anche di avere bisogno della redenzione di questo amore da parte di colui che solo ha saputo realmente amare a sufficienza. E nonostante tutta la buona volontà, finirebbe per fare torto a sé e agli altri, perché l’uomo non si esaurisce unicamente nei rapporti di fraternità umana, ma si realizza solo nei rapporti con quell’amore disinteressato che glorifica Dio stesso. Il disinteresse della semplice adorazione è la suprema possibilità dell’essere uomini e la sua sola vera e definitiva liberazione.
Joseph Ratzinger
(Introduzione al cristianesimo, Queriniana, pp.278 – 279).
Dal profilo Facebook di Antonio Socci
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Questa fraternità, gli uomini potranno mai ottenerla da soli? La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli. La ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità. Questa ha origine da una vocazione trascendente di Dio Padre, che ci ha amati per primo, insegnandoci per mezzo del Figlio che cosa sia la carità fraterna. Paolo VI, presentando i vari livelli del processo di sviluppo dell’uomo, poneva al vertice, dopo aver menzionato la fede, «l’unità nella carità del Cristo che ci chiama tutti a partecipare in qualità di figli alla vita del Dio vivente, Padre di tutti gli uomini» (Populorum progressio, n. 21).
(Enciclica “Caritas in veritate”, n. 19, 29 Giugno 2009)
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Occorre armonizzare il nostro sguardo con lo sguardo di Cristo, il nostro cuore con il suo cuore. In tal modo, il sostegno amorevole offerto agli altri si traduce in partecipazione e consapevole condivisione delle loro speranze e sofferenze, rendendo visibile, e direi quasi tangibile, da una parte la misericordia infinita di Dio verso ogni essere umano, e dall’altra la nostra fede in Lui. Gesù, il suo Figlio Unigenito, morendo in croce, ci ha rivelato l’amore misericordioso del Padre che è sorgente della vera fraternità tra tutti gli uomini, e ci ha indicato l’unica via possibile per diventare credibili testimoni di questo Amore.
(Discorso alla Delegazione del Circolo San Pietro, 3 Aprile 2009).
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Le persone battezzate e credenti non sono mai veramente estranee l’una per l’altra. Possono separarci continenti, culture, strutture sociali o anche distanze storiche. Ma quando ci incontriamo, ci conosciamo in base allo stesso Signore, alla stessa fede, alla stessa speranza, allo stesso amore, che ci formano. Allora sperimentiamo che il fondamento delle nostre vite è lo stesso. Sperimentiamo che nel più profondo del nostro intimo siamo ancorati alla stessa identità, a partire dalla quale tutte le diversità esteriori, per quanto grandi possano anche essere, risultano secondarie. I credenti non sono mai totalmente estranei l’uno all’altro. Siamo in comunione a causa della nostra identità più profonda: Cristo in noi. Così la fede è una forza di pace e di riconciliazione nel mondo: è superata la lontananza, nel Signore siamo diventati vicini (cfr. Ef 2, 13).
(Omelia della Santa Messa durante la Veglia Pasquale, 22 Marzo 2008).
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Vi incoraggio dunque, con l’esempio e la probità della vostra vita strettamente unita a Cristo, a proclamare senza posa il Vangelo di Cristo e a lasciarvi rinnovare da Lui, ricordandovi che la Chiesa vive del Vangelo, traendone incessantemente orientamenti per il suo cammino. Il Vangelo può illuminare in profondità le coscienze e trasformare dall’interno le culture solo se ogni fedele si lascia raggiungere nella sua vita personale e sociale dalla Parola di Cristo, che invita, attraverso una conversione autentica e duratura, a una risposta di fede personale e adulta, in vista di una fecondità sociale e di una fraternità fra tutti.
(Discorso ai Vescovi della Repubblica Democratica del Congo in visita “ad limina Apostolorum”, 27 Gennaio 2006).
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La comunità degli uomini può essere costituita da noi stessi, ma non potrà mai con le sole sue forze essere una comunità pienamente fraterna né essere spinta oltre ogni confine, ossia diventare una comunità veramente universale: l’unità del genere umano, una comunione fraterna oltre ogni divisione, nasce dalla con-vocazione della parola di Dio-Amore.
(Enciclica “Caritas in veritate”, n. 34, 29 Giugno 2009)
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Dal Battesimo nasce una società nuova
Dal Battesimo deriva anche un modello di società: quella dei fratelli. La fraternità non si può stabilire mediante un’ideologia, tanto meno per decreto di un qualsiasi potere costituito. Ci si riconosce fratelli a partire dall’umile ma profonda consapevolezza del proprio essere figli dell’unico Padre celeste. Come cristiani, grazie allo Spirito Santo ricevuto nel Battesimo, abbiamo in sorte il dono e l’impegno di vivere da figli di Dio e da fratelli, per essere come “lievito” di un’umanità nuova, solidale e ricca di pace e di speranza. In questo ci aiuta la consapevolezza di avere, oltre che un Padre nei cieli, anche una madre, la Chiesa, di cui la Vergine Maria è il perenne modello.
(Angelus domenicale, 10 Gennaio 2010)
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