
III Domenica di Avvento (Anno C)
(Sof 3,14-18; Is 12; Fil 4,4-7; Lc 3,10-18)
di Alberto Strumia
Questa terza domenica di Avvento è nota, da sempre, come “domenica gaudete”, cioè gioite.
– Fino dalla prima parola della prima lettura, affiora il richiamo a gioire: «Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!».
– Lo stesso caloroso invito lo troviamo nelle parole di san Paolo, della seconda lettura: «Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti». L’Apostolo dice subito dopo il motivo per cui, pure in un tempo come il nostro – che potremmo definire “assurdo”, perché illogico a causa del fatto che da una stessa persona (anche tra le più importanti) sentiamo dire “tutto” e subito dopo “il contrario di tutto” – possiamo, anzi dobbiamo, essere sereni ed essere addirittura “contenti”. Perché «Il Signore è vicino!». La liturgia di questa domenica “promette” che presto tutto ciò che vi è di negativo nel nostro tempo finirà, come un castello di sabbia
= che si scioglie al passaggio dell’acqua (simbolo che ci ricorda il Battesimo) della marea che avanza lentamente ma decisamente;
= Che si sgretola, volando via per la forza del vento (simbolo dello Spirito Santo).
Anche nella liturgia di questa domenica, come in quella di domenica scorsa, troviamo presente nel brano del Vangelo, la figura di Giovanni Battista, il precursore di Cristo. Domenica scorsa la sua voce suonava come un “giudizio” sul deserto («voce di uno che grida nel deserto») che rimane dopo che la lotta tra i detentori dei poteri li ha annientati, mettendoli gli uni contro gli altri. Questo è il “giudizio”: Chi vuole costruire un “paradiso terrestre” ignorando Dio Creatore e senza Cristo Redentore, produce, alla fine, un “deserto invivibile” che distrugge il mondo, e confisca la “dimora dell’uomo” (come amava chiamarla Stanislaw Grygiel, intimo amico di san Giovanni Paolo II).
Oggi, sembra dirci il Battista, il giudizio è già stato detto e abbondantemente ripetuto (quanti blog da alcuni anni lo stanno facendo) ed è ormai ora di iniziare ad agire anche “costruttivamente”. Non ci si può fermare al solo compito “negativo” del giudizio, pur necessario, su ciò che non va. Occorre, ora, impegnarsi “in positivo” ad indicare la strada da percorrere, per essere pronti ad accogliere Cristo nella sua duplice venuta: la prima, celebrata nella Solennità del Natale, la seconda in certo modo già in essa anticipata.
Dimostrano di averlo compreso «le folle» che «interrogavano Giovanni, dicendo: “Che cosa dobbiamo fare?”»; i «pubblicani» che «gli chiesero: “Maestro, che cosa dobbiamo fare?”»; E infine «anche alcuni soldati: “E noi, che cosa dobbiamo fare?”» (Vangelo).
Viene, allora spontaneo anche a noi, qui oggi, domandarci, come loro: in questa situazione di un mondo impazzito e di una Chiesa percorsa dall’apostasia, che cosa possiamo e dobbiamo fare?
Per non perdere la fede e con essa anche la ragione? Giovanni indica come metodo per prepararsi all’incontro con Cristo, la strada dei Comandamenti. «Affrettandoci sulla via dei tuoi Comandamenti», dice una delle orazioni a scelta da recitare prima delle letture (colletta).
Si parte riprendendo in mano i Dieci Comandamenti, la legge morale naturale, oggi negata, rifiutata e sistematicamente contraddetta anche dalle leggi che regolano gli stati. Se si prendono seriamente questi sono la via che prepara a riconoscere e a seguire l’unico Salvatore, Gesù Cristo, nel Natale e nella vita intera.
«Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato»; «chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto»; «non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe», invece di fare di tutto per depredare il prossimo.
È l’unica via umanamente percorribile per non distruggere il mondo intero, oltre che la propria casa, e la propria persona. Quando l’umanità incomincerà ad accorgersene, quasi costretta dal malfunzionamento della strada ideologica, suggerita dal demonio – il nemico di Dio e dell’uomo – di costruire un mondo come se Dio, come Cristo ce lo ha rivelato, non ci fosse e l’uomo si collocasse al suo posto, si ricomincerà a respirare l’ossigeno della verità.
L’invito a gioire delle letture di oggi ha una sola e chiara motivazione: «Il Signore è vicino!» (seconda lettura), anzi: «Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te» (prima lettura), ed «è un salvatore potente».
Come il giorno di Natale è ormai vicino, così, i segni dei nostri tempi sembrano, ormai, dirci che anche il Suo Ritorno si sta avvicinando; e con Lui la fine di ogni disastro. E questo è il vero motivo della gioia. «Come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?» (Lc 12,56-57).
Giovanni Battista indica la via dell’“ideale”, ma non richiama a stesso, anche se le circostanze favorevoli («si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo») lo avrebbero potuto spingere a farlo. Anche su questo egli smonta, in anticipo, le smanie di protagonismo e i deliri di onnipotenza che ci sono oggi tra i nostri contemporanei: dagli uomini e donne della politica, agli uomini di Chiesa, fanno (quasi) tutti il contrario di ciò che fece Giovanni… e prima o poi finiscono male. Quando il compito di chiunque, cristiano, sia sano di mente e di fede è quello di non richiamare a sé stesso, ma a Cristo: «viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali». Perché? Perché «Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco», cioè Lui solo può ripristinare la “giustizia originale”, a differenza di ogni altro essere umano. Perché Gesù Cristo è Dio.
La figura di Giovanni, nel Tempo di Avvento, ai affianca a quella di Maria, la Madre di Dio, che abbiamo visto comparire nelle letture della liturgia, già con la Solennità dell’Immacolata e rivedremo domenica prossima, nell’imminenza del Natale, vicina al tempo in cui darà alla luce Gesù, il Figlio di Dio.
Così nel prepararci a celebrare la prima venuta di Cristo, viviamo con la consapevolezza consolante dell’avvicinarsi anche della Sua seconda venuta, custodendolo già presente nella nostra anima, attraverso il dono dell’Eucaristia e della Grazia. Con san Bernardo di Chiaravalle «conosciamo una triplice venuta del Signore. Una venuta occulta si colloca infatti tra le altre due che sono manifeste […]: la venuta intermedia, in cui solo gli eletti lo vedono entro sé stessi, e le loro anime ne sono salvate. […] Quindi questa venuta intermedia è, per così dire, una via che unisce la prima all’ultima: nella prima Cristo fu nostra redenzione, nell’ultima si manifesterà come nostra vita, in questa è nostro riposo e nostra consolazione» (Disc. 5 sull’Avvento, 1-3; Opera omnia, Edit. cisterc. 4 [1966], 188-190).
Bologna, 12 dicembre 2021
Alberto Strumia, sacerdote, teologo, già docente ordinario di fisica-matematica presso le università di Bologna e Bari. È direttore del sito albertostrumia.it
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