Pubblichiamo il secondo articolo tratto dal blog di Bill Gates nella nostra traduzione. Neretti nostri.
In tour per parlare di prevenzione delle epidemie. Ecco cosa ho scoperto.
Di norma quando pubblico qui su TGN (The Generation Network, ndr), tengo un discorso o scrivo un editoriale, sono in viaggio per condividere buone notizie su come il mondo stia migliorando. Ma il mese scorso ho fatto un’eccezione. In un TED talk, un editoriale sul New York Times e un articolo più lungo sul New England Journal of Medicine, volevo mettere in luce un fatto che fa riflettere: il mondo non è preparato a gestire una grande epidemia. Ho condiviso alcuni pensieri su ciò che potrebbe essere necessario per prepararsi, sulla base delle lezioni imparate dall’epidemia di Ebola in Africa occidentale.
Ero curioso di sentire il feedback delle persone sui miei suggerimenti, quindi è stato bello incontrare a Berlino un gruppo di esperti di salute governativi, organizzazioni non profit e aziende farmaceutiche, e poi con senatori degli Stati Uniti a Washington D.C. In questo post, voglio condividere alcune delle cose che ho sentito.
C’è un consenso generale sul fatto che questa è una grande sfida. Tutti quelli con cui ho parlato, politici ed esperti tecnici, sentivano fortemente che il mondo non stava facendo abbastanza per prepararsi. C’è anche un ampio accordo su cosa fare: dobbiamo creare un sistema globale di allerta e risposta per le epidemie.
Entrando nei dettagli, però, ci siamo imbattuti in alcuni problemi complessi.
Ad esempio, ho sostenuto che in una grave epidemia, l’esercito deve svolgere un ruolo. È l’unico gruppo in grado di spostare rapidamente un gran numero di persone e attrezzature dentro e fuori da un’area interessata. Ma nelle mie conversazioni in D.C., è diventato chiaro che l’esercito americano non è disponibile per questo lavoro né si prepara per questo, il che significa che in Africa occidentale stavano imparando alla giornata.
“Cosa succede quando c’è un’epidemia in una regione in cui la gente vede l’esercito come il cattivo?”.
Inoltre, cosa succede quando c’è un focolaio in una regione in cui la gente vede l’esercito, sia esso nazionale o straniero, come il cattivo? Alcuni leader di ONG e operatori sanitari temono che essere associati alle forze armate potrebbe metterli in pericolo rendendoli un bersaglio.
Questa è una delle questioni più difficili che sono emerse e merita ulteriori approfondimenti. Come minimo penso che abbiamo bisogno di un insieme diversificato di gruppi militari di diversi paesi pronti ad soccorrere. E dovremmo prendere provvedimenti per chiarire che le truppe sono in missione umanitaria, ad esempio eseguendo simulazioni in diversi paesi in modo che i cittadini possano vedere cosa stanno facendo.
Un altro grande argomento erano le sperimentazioni farmacologiche. In un’epidemia si desidera sviluppare e testare nuovi trattamenti molto rapidamente. Ma come si fa a farlo accadere quando il solito processo di approvazione dei farmaci richiede anni? Dovrebbe esserci un regolatore di emergenza che decida quali farmaci testare, come testarli rapidamente e se distribuirne uno? Dovrebbero (e possono) indennizzare chiunque stia producendo il farmaco per proteggerli dalle cause legali?
Tutte queste discussioni hanno sollevato una questione più ampia che mi affascina: come farebbe il mondo a prepararsi per eventi rari e potenzialmente catastrofici? Quando un’epidemia colpisce, vorremo i migliori esperti di salute e logistica pronti a entrare in azione. Ma quale gruppo ha il budget per mantenere quel tipo di capacità inutilizzata? Ancora più importante, come possiamo convincere le persone più brillanti a sedersi in attesa di un evento che ha scarsa probabilità di verificarsi in un futuro ignoto?
L’analogia più vicina che mi viene in mente è l’esercito, dove le truppe potrebbero stare anni al fronte senza vedere la guerra. Fanno esercitazioni e giochi di guerra per tenersi pronti. Penso che dovremmo fare qualcosa di simile – i giochi di germi – per le epidemie.
Cosa accadrà dopo? Anche se gli esperti per lo più concordano in linea generale su ciò che dovrebbe essere fatto, non so se il mondo sceglierà di mettere risorse significative in questo sforzo. Ma sono fiducioso che accadrà. Il gruppo a cui mi sono unito a Berlino sta fornendo input alla cancelliera tedesca Angela Merkel e al gruppo di paesi ricchi del G7 che stanno pensando a come rendersi utili per risolvere questo problema. La creazione di un piano globale aiuterebbe più nazioni a vedere come possono contribuire e, si spera, a coinvolgerle. Le Nazioni Unite e l’OMS stanno anche esaminando vari passi che potrebbero migliorare la loro capacità di risposta. E alla Gates Foundation stiamo parlando di come potremmo renderci utili.
È una cosa buona vedere questo tema emergere nell’agenda globale. Il mondo non è ancora pronto per una grave epidemia, ma penso che abbiamo buone possibilità di fare progressi reali nei prossimi mesi.
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