
Domenica XXIII del Tempo Ordinario (Anno A)
(Ez 33,1.7-9; Sal 94; Rm 13,8-10; Mt 18,15-20)
di Alberto Strumia
Le letture di questa domenica dicono tutte con estrema chiarezza che la Chiesa – e in essa ogni suo appartenente – ha il dovere di “dire al mondo” – e in esso ad ogni essere umano – ciò che è vero e ciò che è falso, ciò che è bene e ciò che è male per il proprio destino presente e futuro.
E per “dire la verità” in modo “convincente” occorre essere in grado di “insegnare”. Ogni “buon insegnate” sa
– “correggere” gli errori
– e “affascinare” chi lo ascolta
perché parla di ciò che vive, mostrando di avere assimilato il contenuto delle parole che dice, o meglio, che dice l’autore che sta esponendo.
Nella Chiesa il compito di “insegnare” e “correggere” è principalmente quello di coloro che sono investiti direttamente di tale ruolo, come successori degli Apostoli, con i loro diretti collaboratori. Se non lo adempiono, perché non sono preparati adeguatamente, iniziano i problemi per la vita della comunità ecclesiale, di quel tempo e di quel luogo, divenuta un sale insipido che «a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini» (Mt 5,13). Questa è la sfida della verità che Cristo ha lanciato al mondo: «La Verità vi farà liberi» (Gv 8,32), mentre l’ideologia, la menzogna, l’errore, finiranno per distruggere fino a ridurre nel nulla: «Seguirono ciò che è vano, e divennero essi stessi vanità» (Ger 2,5). E la Chiesa è stata mandata da Lui a lanciare la Sua sfida: «Non v’è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato» (Mt 10,26).
Chi oggi, nella Chiesa del nostro tempo e del nostro luogo, è rimasto più in grado di “insegnare” e “correggere”, facendo toccare con mano al mondo che sta percorrendo una strada che lo porta direttamente ad autodistruggersi, fisicamente e moralmente? E se c’è ancora qualcuno, riesce a fare sentire la sua voce, o questa viene coperta dal frastuono esterno o addirittura azzittita da quelli di casa sua?
– Eppure la prima lettura di oggi dichiara a chiare lettere che se «tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te». E questo vale per tutti, ma prima di tutto per chi ha il “mandato” di “insegnare” e di “correggere”.
– Nel Vangelo è il Signore, in prima persona, ad indicare addirittura il “metodo” da seguire in quest’opera di “insegnare” e di “correggere”.
= Se si tratta di una questione tra persona e persona (un semplice «torto») la cosa va affrontata con discrezione a livello personale («ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello»);
= Se la cosa, pur essendo una questione personale non si risolve tra due, si cerchino alcuni testimoni, pur rimanendo la questione a livello riservato («prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni»);
= Se la questione non si risolve ancora, non può non diventare pubblica e coinvolgere la comunità intera («Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità»);
= Se non accetta neppure il giudizio della comunità, egli si mette già da solo al di fuori della Chiesa («se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano»).
Possiamo osservare come nel passare dalla dimensione privata (tra due persone) a quella pubblica (la comunità) la questione non si limita ad un «torto» personale, ma passa a livello dottrinale, trattandosi di un torto fatto alla comunità intera, non a singole persone. E un «torto» che riguarda la comunità intera, può essere non solo una questione “disciplinare”, ma anche “morale” e addirittura “dottrinale”. Il non correggerla porterebbe ad un danno per l’intera comunità, per tutto il popolo cristiano, fino al punto di trascinare gran parte di esso nell’ambiguità e nel disorientamento.
– Nella seconda lettura, poi, l’Apostolo Paolo scioglie un possibile equivoco che, già dai primi tempi della vita della Chiesa si era verosimilmente manifestato. Quello di considerare le singole indicazioni dei Comandamenti, come sostituibili da un generico appello all’amore, alla carità, finendo per svuotare il significato e il peso di queste stesse parole – amore e carità – diluendole in un sentimentalismo che non si fonda su una concezione della persona umana, ma rimane aereo, generico, soggettivo e culturalmente insignificante per la vita del singolo e della società.
Al contrario Paolo precisa che il Comandamento dell’Amore: «Amerai il prossimo tuo come te stesso», si «ricapitola», realizzandosi nell’attuare tutti gli altri, che Paolo elenca uno per uno. Perché la carità è la pienezza della Legge, non un’alternativa ad essa («Pienezza della Legge, infatti è la carità»).
Il Vangelo conclude, poi, con l’assicurazione da parte del Signore di essere presente, quasi come in un tabernacolo, in ogni anche piccola comunità di fedeli a Lui «perché dove sono due o tre riuniti nel Mio Nome, lì sono Io in mezzo a loro».
È quello che accade anche oggi, dove, piccoli gruppi di cristiani, ancora capaci di riunirsi nel Suo Nome, e non in nome delle ideologie che dominano ormai ovunque, in sostituzione del Nome di Cristo, si riuniscono per celebrare dignitosamente l’Eucaristia ed essere istruite sulla Dottrina di Cristo.
Così come fecero gli Apostoli e i primi discepoli, dopo l’Ascensione di Gesù al Cielo, anche noi ci affidiamo alla protezione di Maria, Madre di Dio, perché accompagni le nostre comunità con la sua presenza che precorre i tempi e protegge chiunque sinceramente le si affida.
«Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di Lui».
Maria, Madre della Chiesa, custodisci le nostre comunità cristiane, oggi e sempre, fino a che Tu venga: «Colui che attesta queste cose dice: “Sì, verrò presto!”» (Ap 22,20).
Bologna, 10 settembre 2023
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