di Sabino Paciolla
Il 7 maggio scorso è stato pubblicato l’”Appello per la Chiesa e per il mondo”, scritto dall’arciv. Carlo Maria Viganò, e firmato anche da 4 cardinali, Müller, Zen, Pujats e Sarah, quest’ultimo ha subito dopo ritirato la firma, oltre che da varie altre personalità. Tale appello è stato molto criticato a motivo della mescolanza di vari livelli di natura politica, ecclesiastica e medica. In sostanza, si diceva che su materie mediche, su cui non vi è unanimità tra gli esperti, i prelati non avrebbero dovuto intervenire.
Lasciando da parte la questione della firma dei prelati, è opportuno focalizzare l’attenzione sulla tematica centrale dell’appello che, per altro, è stata anche messa in evidenza da personalità del diritto, compresi ex presidenti della Consulta (vedi qui, qui e qui)
Per questo è bene riprendere dall’Appello qualche stralcio:
“I fatti hanno dimostrato che, con il pretesto dell’epidemia del Covid-19, si è giunti in molti casi a ledere i diritti inalienabili dei cittadini, limitando in modo sproporzionato e ingiustificato le loro libertà fondamentali, tra cui l’esercizio della libertà di culto, di espressione e di movimento. La salute pubblica non deve e non può diventare un alibi per conculcare i diritti di milioni di persone in tutto il mondo, e tantomeno per sottrarre l’Autorità civile al proprio dovere di agire con saggezza per il bene comune; questo è tanto più vero, quanto più crescenti sono i dubbi da più parti avanzati circa la effettiva contagiosità, pericolosità e resistenza del virus: molte voci autorevoli del mondo della scienza e della medicina confermano che l’allarmismo sul Covid-19 da parte dei media non pare assolutamente giustificato.”
E poi:
“Abbiamo ragione di credere, sulla base dei dati ufficiali relativi all’incidenza dell’epidemia sul numero di decessi, che vi siano poteri interessati a creare il panico tra la popolazione con il solo scopo di imporre permanentemente forme di inaccettabile limitazione delle libertà, di controllo delle persone, di tracciamento dei loro spostamenti.” (…)
E si arriva così alla materia di precipua pertinenza dei prelati. Una questione che tanto clamore ha sollevato in tutto il mondo, ed in particolare in Italia, dove si sono verificati autentici soprusi (si veda ad esempio qui, qui, qui, qui) che, secondo alcuni, hanno violato libertà costituzionalmente garantite oltre che intaccato l’autonomia della Chiesa sancita dal Concordato.
“la Chiesa rivendica fermamente la propria autonomia nel governo, nel culto, nella predicazione. Questa autonomia e libertà è un diritto nativo che il Signore Gesù Cristo le ha dato per il perseguimento delle finalità che le sono proprie.”
Come si diceva più sopra, l’appello ha incontrato resistenze nel mondo cattolico, soprattutto in Germania, con toni a volte veramente accesi. Ad esempio, su Facebook, il Vicario Generale di Essen, Renania Settentrionale-Vestfalia, in Germania, Klaus Pfeffer, ha commentato dicendo che si è trattato di rozze teorie cospirative senza fatti e prove, combinate con la retorica populista di destra che suonava spaventosa.
Il card. Müller, tra i firmatari, ha ribattuto affermando che chiunque potrà “correggere con calma e tranquillità errori reali o presunti con argomenti oggettivi”. Ciò che è importante per noi, ha continuato, è la connessione tra fede e ragione necessaria per affrontare le conseguenze in termini fisici, sociali e spirituali.
Se ad alcuni la presa di posizione dei prelati firmatari dell’Appello può apparire estranea alle materie trattate, è bene riportare alcune considerazioni espresse qualche giorno fa da esponenti del settore medico e sociale che, di fatto e senza volerlo, danno ragione alle tesi dell’appello. Il neretto nel testo è mio.
Infatti, un certo scalpore hanno suscitato martedì scorso le affermazioni del dottor Vincenzo Puro, Direttore dell’Unità Prevenzione e Protezione dell’istituto Spallanzani di Roma. Un ospedale importante e autorevole proprio sulla questione del coronavirus. Il medico ha affermato a “Pomeriggio 5” che l’infezione “non è letale”, come viene percepita dai più attraverso una comunicazione distorta, ma “lo può diventare se colpisce pazienti fragili come gli anziani”.
Non solo, il direttore ha chiarito che i pazienti asintomatici, cioè coloro che stanno bene, pur essendo risultati positivi al tampone, non sono potenziali trasmettitori come abbiamo appreso finora dal governo e dai suoi comitati scientifici.
Altra affermazione, che contrasta con le teorie del governo che per questo motivo ha adottato provvedimenti durissimi chiudendo il nostro Paese, è che il contagio non avviene se ci si incontra sfiorandosi per strada o nei centri commerciali. “Per essere contagiati ci vuole un tempo minimo di 15 minuti” di contatto interpersonale con persone positive e sintomatiche (influenzati).
Come si vede, un medico di un ospedale autorevole nel campo delle infezioni virali, senza volerlo dà ragione a Viganò. Al dott. Puro, potremmo aggiungere altri, come ad esempio il dott. Bacco, già riportato su questo blog.
Andando oltre il campo medico, riportiamo le opinioni di un sociologo autorevole, il dott. Giuseppe De Rita, presidente e fondatore del Censis, rilasciate martedì scorso in un’intervista al quotidiano Il Mattino, e riprese dall’Huffingtonpost.
Ecco cosa dice De Rita:
La comunicazione usata nell’emergenza ha favorito la paura: “Ne sono convinto. È un meccanismo non casuale, ma scelto. Se alimento sempre più paura, la gente – osserva De Rita – fa come dico io. Ma è un meccanismo non solo italiano, viene usato in Inghilterra e in altri Paesi. Una comunicazione che crea un tempo sospeso, in cui nessuno dice con precisione cosa avverrà. E questo non può che accrescere la paura. Le sembra possibile – prosegue il sociologo – che di fatto i virologi o un comitato tecnico debbano dire se e quando può iniziare un campionato di calcio, o aprire una scuola. Si è creato un accentramento di potere, almeno sull’indicazione dei comportamenti da seguire”.
Secondo De Rita, “finora, si è assistito a una verticalizzazione degli indirizzi da dare alle nostre relazioni sociali, dall’alto ci è stato indicato in che modo poterle avere. Chi incontrare, come farlo, in che spazio e così via. Non credo che questo possa durare anche dopo.
In merito ai bollettini giornalieri, De Rita ha osservato che “comunicare un numero di morti o contagiati, non ci fa capire cosa c’è dietro quel dato. I numeri secchi, privi di analisi statistica e qualitativa, creano maggiori paure in una situazione di emergenza che ha concentrato il potere in comitati scientifici, commissari, task force”.
L’appello, come detto, ha incontrato notevoli critiche nell’establishment cattolico (vescovi, cardinali, ecc.). Devo osservare d’altra parte, almeno per quel che riguarda questo blog, che l’appello ha ricevuto notevole accoglienza tra i semplici fedeli. Infatti, l’articolo che riportava l’Appello ha ricevuto circa 250.000 visualizzazioni, con commenti nella quasi totalità entusiasti.
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