Di fronte alla disfatta della società e della Chiesa istituzionale alla quale assistiamo, ancor peggio di una notte nella quale non si è pescato nulla, l’avvilimento, la tristezza possono addirittura rendere cinici, anche di fronte a Cristo («Maestro, abbiamo faticato tutta la notte…»). Forse non ci accorgiamo che è il momento di capire che non sono le nostre sole umane capacità a rimediare questa situazione, perché il disastro è troppo grande, al di sopra delle forze umane («non abbiamo preso nulla»).

San Paolo cade da cavallo Caravaggio
San Paolo cade da cavallo, Caravaggio

 

Domenica V del Tempo Ordinario (Anno C)

(Is 6,1-2a.3-8; Sal 138; 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-11)

 

 

di Alberto Strumia

 

Le letture della liturgia di oggi sono tutte incentrate sulla “vocazione”, ovvero la “destinazione” di un essere umano ad un compito “storico”, da realizzare su questa terra assegnato da Dio, e da Cristo assegnato per la Chiesa e l’umanità. Una destinazione che, più che dal solo stato d’animo della singola persona coinvolta, è indicata dai “fatti” (le “circostanze”) nei quali la vita della persona si trova implicata. Dio si fa sentire attraverso questa concretezza materiale di avvenimenti, anche spiccioli talvolta, ma che colpiscono l’interessato e vengono colti come importanti, addirittura “decisivi”. “Decisivi”, perché ricorrono, come un “chiodo fisso”, nella mente della persona chiamata da Dio a “quel compito” per la vita, fino ad essere irresistibili, al punto che il non seguire la strada indicata da Dio viene percepito come “un di meno”, per la propria esistenza. Ogni ipotesi di vita, di per sé è bella (matrimonio, dedizione consacrata a Dio nel celibato e nella verginità, vita contemplativa, vita impegnata nella carità attiva, ecc.), ma c’è una strada che si presenta come la più attrattiva per ciascuno, al punto che evitarla viene percepito come una perdita inaccettabile.

– Nella prima lettura, Isaia dimostra tutta la forza di questa attrattiva il seguire la quale gli si presenta come “irrinunciabile”, al punto di non resistere più e gridare al Signore: «Eccomi, manda me!». È il momento in cui si decide, per sempre. La cultura – o meglio l’ideologia –che governa le menti degli uomini nel nostro mondo, ci ha ormai ridotti a ritenere che ogni stato di vita sia provvisorio, reversibile e mai definitivo (se non eccezionalmente e accidentalmente, nel senso che non è normale che lo sia, anche se può persino, raramente capitare). Ma è profondamente disumano questo modo di vivere la vita come un bene di consumo usa e getta, perché rende provvisoria ed emozionale anche l’esperienza della felicità e annulla ogni forma di gratitudine verso Dio e verso il prossimo. Ma così la vita viene “subita” e non “vissuta”.

– Nella seconda lettura troviamo la descrizione autobiografica della vocazione di Paolo, l’Apostolo delle genti, come viene anche chiamato. Gli Apostoli erano già stati chiamati da Cristo durante la Sua vita terrena e Paolo non era tra questi. Ma quella straordinaria, inverosimile caduta da cavallo aveva stravolto la sua esistenza di accanito avversario della Chiesa e del cristianesimo. Con quell’avvenimento Cristo aveva capovolto tutto e Paolo non avrebbe più potuto fare a meno – se non contraddicendo se stesso – di parlare dei fatti accaduti nella vita di Gesù («che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici», ecc.), della Salvezza che ne deriva per gli uomini. Non solo per gli appartenenti al popolo di Israele, ma per l’umanità intera. Pur consapevole di essere arrivato per ultimo («Ultimo fra tutti apparve anche a me»), cronologicamente parlando, Cristo attraverso “i fatti” lo aveva costituito Apostolo delle genti («egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli», At 9,15).

– Nel Vangelo il Signore capovolge la vita di Pietro, che pure lo stava seguendo, insegnandogli a non essere rinunciatario, di fronte alle avversità della vita («Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla») e a fare tutto avendo Cristo come motivo centrale dell’agire, e non altri criteri («sulla Tua parola getterò le reti»).

Questa è l’indicazione di “metodo cristiano”, essenziale! L’ipocrisia di chi dice di fare le cose per Cristo – magari arrivando anche fino ad una scelta di vita pubblicamente dedita a Lui – finendo poi, un po’ alla volta, per adottare criteri mondani (soldi, potere, carriera, compiacimento, rivalità, ecc.) fino ad abituarcisi al punto di non accorgersene quasi più, alla fine “non paga” e incupisce la propria esistenza oltre a fare del male a quella del prossimo.

L’esito della pesca miracolosa non è tanto quello di compensare Pietro e i suoi aiutanti di una notte faticosa e inutile, rendendola improvvisamente fruttuosa («presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano»), quanto quello di indicargli quale sarebbe stato il suo compito nella vita della futura Chiesa, per lui e per i suoi successori: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». Altro che «allontanati da me, perché sono un peccatore»; al contrario, avvicinati proprio perché, essendo peccatore, solo Tu puoi ricostruirmi, solo Tu sei il Salvatore. Per questo Gesù gli dice subito di «non temere», e di affidarsi interamente («lasciarono tutto e lo seguirono»).

Tutto quanto dice la liturgia di oggi è di capitale importanza per noi oggi. Di fronte alla disfatta della società e della Chiesa istituzionale alla quale assistiamo, ancor peggio di una notte nella quale non si è pescato nulla, l’avvilimento, la tristezza possono addirittura rendere cinici, anche di fronte a Cristo («Maestro, abbiamo faticato tutta la notte…»). Forse non ci accorgiamo che è il momento di capire che non sono le nostre sole umane capacità a rimediare questa situazione, perché il disastro è troppo grande, al di sopra delle forze umane («non abbiamo preso nulla»).

Come allora, oggi è il momento in cui tocca a Lui intervenire, perché solo Lui è in grado di salvare, di riparare. A noi è chiesto di fare ciò che Lui dice che si deve fare («sulla Tua parola…»), che è quello che fece Paolo, parlando degli avvenimenti della vita di Cristo, istruendo sulla Sua dottrina, che oggi dovrà passare attraverso tanti piccoli rivoli d’acqua, invisibili a chi ostacolerebbe un progetto troppo vistoso, ma capaci, sommandosi, di dissetare chi li riceve, garantendogli di vivere in pienezza «nell’attesa della beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo» (embolismo dopo il Padre Nostro).

Ricordiamoci che, come accompagnò gli Apostoli, nei primi tempi della Chiesa, oggi Maria, la Madre di Dio, accompagna anche noi in questa “vocazione” dettata dalle “circostanze” difficili nelle quali ci troviamo a vivere in questi anni, che Dio ci assegna per irrobustire la nostra fede, per invocare più costantemente Lui per avere la speranza, per guardare noi stessi e gli altri facendoci prestare un po’ del Suo modo di amare che è la carità.

E facciamo in fretta, perché «il tempo ormai si è fatto breve!» (1Cor 7,29).

 

Bologna, 6 febbraio 2022

 

 

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