Propongo uno spunto riflessivo dello scrittore George Weigel a proposito della contesa tra cattolici tradizionalisti (specialmente integralisti) e progressisti sulla interpretazione da darsi al Concilio Vaticano II in relazione agli sviluppi successivi fino ai giorni nostri..
Ecco l’articolo nella mia traduzione.
Una delle curiosità del dibattito cattolico del XXI secolo è che molti tradizionalisti cattolici (soprattutto integralisti) e un’alta percentuale di progressisti cattolici commettono lo stesso errore nell’analizzare la causa delle odierne contese all’interno della Chiesa – o, per variare la vecchia fallacia insegnata in Logica 101, pensano in termini di post Concilium ergo propter Concilium [tutto ciò che è accaduto dopo il Concilio è accaduto a causa del Concilio]. E dentro questa fallacia c’è una comune errata lettura della storia cattolica moderna. I tradizionalisti insistono sul fatto che tutto andasse bene prima del Concilio (che molti di loro considerano quindi un terribile errore); i progressisti concordano sul fatto che la Chiesa pre-Vaticano II era un’istituzione stabile ma deplorano quella stabilità come rigidità e aridità.
Ma non è così che erano le cose prima del Vaticano II, come spiego a lungo e con alcune storie avvincenti nel mio nuovo libro, The Irony of Modern Catholic History: How the Church Rediscovered Itself and Challenged the Modern World to Reform (Basic Books) (L’ironia della storia cattolica moderna: Come la Chiesa si è riscoperta e ha sfidato il mondo moderno a riformarsi). E nessuno conosceva la verità sul cattolicesimo pre-Vaticano II meglio dell’uomo che è stato eletto papa durante il Concilio e ha guidato il Vaticano II attraverso le sue ultime tre sessioni, San Paolo VI.
Il 25 gennaio 1959, Papa Giovanni XXIII, considerato un anziano di rimpiazzo, stupì sia la Chiesa che il mondo annunciando la sua intenzione di convocare il XXI Concilio ecumenico. Quella notte, il cardinale Giovanni Battista Montini (che quattro anni e mezzo dopo sarebbe stato chiamato Paolo VI), chiamò un vecchio amico. Esperto ecclesiastico che aveva servito a lungo Pio XII come capo di stato maggiore, Montini vedeva all’orizzonte nuvole tempestose: “Questo santo vecchio uomo”, disse di Giovanni XXIII, “non sa che nido di calabrone sta andando a stuzzicare”.
Quell’accorta osservazione si rivelò perfetta – e non semplicemente a causa del Concilio, ma a causa delle api e dei calabroni che ronzavano intorno al nido ecclesiastico da oltre 100 anni.
Contrariamente alle idee sbagliate sia tradizionaliste che progressiste, il cattolicesimo non era un’istituzione placida, libera da controversie e contese, prima del Vaticano II. Come mostro in The Irony of Modern Catholic History, c’è stato un notevole fermento intellettuale nella Chiesa durante la metà del XIX secolo, coinvolgendo grandi figure come il neo-canonizzato John Henry Newman, il vescovo tedesco Wilhelm Emmanuel von Ketteler (nonno del pensiero sociale cattolico moderno), e l’erudito italiano Antonio Rosmini (lodato da Giovanni Paolo II nell’enciclica del 1999, Fides et ratio, e beatificato sotto Benedetto XVI). Quel fermento accelerò durante i 25 anni di pontificato di Leone XIII, che lanciò quella che io chiamo la “Rivoluzione leonina”, sfidando la Chiesa ad affrontare il mondo moderno con strumenti spiccatamente cattolici per convertire il mondo moderno e porre una base più solida per le sue aspirazioni.
Il cattolicesimo americano, fortemente incentrato sulla costruzione delle istituzioni, era in gran parte inconsapevole delle accese controversie (e delle sgomitate ecclesiastiche) che seguirono la morte di Leone XIII nel 1903. Queste polemiche, oltre all’esperienza di distruzione di civiltà di due guerre mondiali in Europa, più un rapido processo di secolarizzazione nella vecchia Europa, iniziato nel XIX secolo, posero le basi per l’epico discorso di apertura di Giovanni XXIII al Vaticano II. Qui, il Papa spiegò cosa pensava di fare con il Vaticano II: raccogliere le energie liberate dalla Rivoluzione Leonina e focalizzarle attraverso il prisma di un Concilio ecumenico, che sperava sarebbe stato un’esperienza pentecostale che avrebbe stimolato la Chiesa con nuovo zelo evangelico.
Giovanni XXIII capì che la proposta evangelica poteva essere fatta solo parlando al mondo moderno con un vocabolario che il mondo moderno potesse sentire. Trovare la grammatica e il vocabolario appropriati per l’evangelizzazione contemporanea non significava però svuotare il cattolicesimo del suo contenuto o della sua sfida. Come ha insistito il Papa, le verità perenni della fede dovevano essere espresse con lo “stesso significato” e lo “stesso giudizio”. Il Vaticano II, in altre parole, doveva favorire lo sviluppo della dottrina, non la decostruzione della dottrina. E lo scopo di questo sviluppo dottrinale era quello di preparare la Chiesa alla missione e all’evangelizzazione, perché il mondo moderno sarebbe stato convertito dalla verità, non dall’ambiguità o dalla confusione.
Negli ultimi sei anni e mezzo, è diventato abbondantemente chiaro che non pochi cattolici, alcuni dei quali occupano una posizione di rilievo, non hanno ancora afferrato questa storia. Nemmeno gli elementi più rumorosi della blogosfera cattolica. Per questo spero che The Irony of Modern Catholic History aiuti a facilitare un dibattito più riflessivo sul presente e sul futuro dei cattolici, attraverso una migliore comprensione del passato cattolico.
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