di Jacob Netesede

 

Imprevedibilmente, in novembre 2020, il buon Dio ha chiamato a Sé mio padre.

Come ho letto da qualche parte, non credo si possa essere davvero pienamente pronti a salutare per l’ultima volta l’uomo che ha permesso al Mistero di metterci al mondo.

Dal quel freddissimo e soleggiato pomeriggio di novembre, mi percorre una sensazione difficile da descrivere compiutamente.

Sarà che, da diversi anni, ho riconosciuto nella mia vita la presenza di un’altra paternità.

Provo a spiegarmi.

Uscito dall’adolescenza, ho intuito che Michael e Freddie non avevano tutti i torti: There must be more to life than this.

Gli indizi erano tanti: il piccolo Gesù che credono perso a Gerusalemme e che rammenta che c’è un Altro padre; il giovane Francesco che distoglie lo sguardo dal papà-mercante e fissa il crocifisso; la vocazione di qualche coetaneo, disposto a partire per mete sconosciute lasciando il porto sicuro di mamma&papà…

Se “il ragazzo-che-non-si-sposerà-mai” un bel giorno ha detto “Sipertuttalavita” ad una –splendida – donna, è perché non ha creduto soltanto a quanto ascoltava in famiglia.

Una novità si era affacciata nella mia vita: un volto sconosciuto, un volto nascosto dietro ad altri volti.

Ma la cosa che non lasciava scampo è che quel volto sconosciuto si faceva largo nella mente e nel cuore con una pretesa inaudita: esser Lui mio padre.

Ne avevo già uno di padre, che sarebbe rimasto, ma irrompeva sulla scena Lui.

A novembre, nel dolore lancinante che mi ha preso nel reparto di terapia intensiva in cui era ricoverato, vedendolo morire ho visto chiaramente quanto stava accadendo.

Non diventavo orfano (non lo sono e non lo sarò mai, in eterno), ma vedevo mio padre tornare pienamente figlio.

Capivo anche che mio Padre non muore (quando ci hanno provato, è risorto…).

Capivo che, pur figlio unico, non rimanevo solo, perché da anni non ero più solo.

Mio papà tornava pienamente dipendente, pienamente tra le braccia del nostro unico Padre.

Questo forse, gli inglesi non lo sanno.

A dicembre 2020 la testimone oculare, mi ha raccontato l’accadere di un miracolo.

Da oltre 13 anni, Gianni è paralizzato e disteso in un letto e da oltre 13 anni, Gianni è stato accompagnato dal puro, incondizionato, fragile e potentissimo amore di sua moglie Anna, dei suoi figli, dei suoi nipoti, della sua famiglia, dei suoi amici…

Il 2020 è stato un anno complicato: dopo i lockdown e le – incomprensibili… – serrate, superati i rigidissimi controlli, armata di mascherina e pazienza, finalmente Anna è potuta tornare nella camera del marito.

Per la prima volta da oltre 13 anni, Gianni mostrava qualcosa di straordinario: un movimento degli occhi e del viso rompeva la prigione di immobilità in cui da anni è (anzi, era) rinchiuso.

Le sbarre di quel carcere invisibile erano finalmente infrante: ad ogni carezza, il volto e gli occhi seguivano la direzione di quel gesto di tenerezza e di vicinanza.

Un piccolo movimento, ma una breccia enorme: come un fiotto di speranza che emerge da un mare di silenzio.

Questo incontrovertibile fatto è un poderoso annuncio ad ogni uomo.

Sua moglie Anna da tempo racconta a tutti che “la relazione è indispensabile all’uomo per esistere ed avere consapevolezza di sé”.

Quel quasi impercettibile movimento degli occhi e del viso non può solamente suscitare un breve e passeggero sussulto emotivo.

Questo fatto, questo miracolo, deve essere giudicato alla luce della ragione umana: smentisce, infatti, tonnellate di teorie eutanasiche, ore di ragli in ordine ad un presunto best interest del paziente, chilometri di lettere sprecate per distrarre i popoli dal cuore della vicenda.

La vita è nelle mani di un Altro: in ogni istante, la vita è custodita, voluta, pensata, difesa, amata da un Padre, i cui pensieri rimangono per noi misteriosi.

Ma questo gli inglesi non lo sanno.

Non bastava Charlie.

Non bastava Christopher.

Non bastava il mio Alfie (mio, come di tutti coloro che hanno pregato, pianto, lottato e digiunato per lui).

Oggi lo hanno rifatto con Slovomir, alias RS, secondo il battesimo pagano di queste nuove divinità che sono i giudici inglesi.

Slovomir, come Gianni, aveva una famiglia pronta a stare con lui, a portarlo dai migliori medici, a lottare per la sua vita o anche solamente a carezzargli la mano.

Come Gianni, anche Slovomir aveva qualcuno pronto ad affrontare la prigionia del silenzio, dimostrando la fragilità e la forza di un amore incondizionato.

Ma diversamente da Gianni o da mio padre, Slovomir era in mano ai giudici inglesi.

Loro, che la vita è un dono, lo hanno dimenticato.

Hanno dimenticato la verità, ovvero che c’è un Padre, più grande di ogni altro padre, che conta i capelli del nostro capo e che ci custodisce come la pupilla dell’occhio.

Ma questo no, questo gli inglesi non lo sanno.

Che sorga qualche santo che vada a ricordaglielo!

 

 

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