Testo di don Luigi Giussani. Adattamento di Giorgio Canu.
Prima caratteristica della preghiera è la sicurezza che Egli compirà il suo disegno in noi. Ma c’è anche un’altra implicazione:
se la preghiera è l’attesa del Suo manifestarsi, essa ci dà il “come” del tempo che passa.
Alzarsi al mattino, bere il caffelatte, prendere il tranvai, andare al lavoro o mettersi in cucina a riordinare tutte le cose, rassettare i letti, scopare, tirar giù le ragnatele, mangiare, riprendere il tranvai, andare a casa, parlare con la gente: questo è il tempo che passa.
Il “come” del tempo che passa, perciò il suo valore, il suo significato, è dato dalla preghiera, che esprime l’attesa del Suo ritorno, cioè la consistenza di tutto.
Per farmi capire, leggerò un brano di una lettera che mi è arrivata:
«Tutte le volte che nella liturgia si dice: “Nell’attesa che si compia la beata speranza”, oppure: “Lascia che il tuo servo vada in pace, perché i miei occhi, ormai, hanno visto la tua salvezza”, mi chiedo il perché di questa attesa, che cosa può aggiungere il tempo a questo “ormai”?».
Se abbiamo già la salvezza, se Lui è già venuto, perché ci sono il tempo e la storia? E perché Cristo è venuto duemila anni fa e non trentamila, oppure oggi?
Non c’è risposta a queste domande, l’unica risposta è il mistero della volontà e l’assoluta libertà di Dio….
«Davanti al Signore un giorno è come mille anni, e mille anni come un giorno» [di 24 ore], “Il Signore è paziente, perché non vuole che alcuno perisca, ma che tutti giungano alla conversione” (2 Ptr 3,8 e segg).
Il valore dell’attesa sta nel fatto che essa è il modo con cui Dio libera la nostra vita e usa misericordia verso la nostra fragilità.
Perciò la preghiera, è domandare, «attendere e affrettare la venuta del giorno del Signore».
Se la preghiera è attesa del ritorno di Cristo, questa attesa non è un sentimento, ma è proprio il tempo che viviamo, con tutti i suoi contenuti: perché tutto del nostro tempo, dall’alzarsi del mattino, al mettersi i vestiti, a bere il caffelatte, a prendere il tranvai o a mettere a posto le cose, al tornare indietro e al dormire, tutto deve diventare preghiera, deve diventare domanda.
Si chiama anche “offerta”.
È Dio che è fedele a se stesso, non noi fedeli a Dio. Questo deve diventare principio del nostro sentimento e del nostro agire: questa è la conversione a cui la Quaresima ci richiama.
Tratto da Luigi Giussani – ritiro di Quaresima dei Memores Domini. Pianazze, 16 febbraio 1975
(3- testo completo su Clonline.org)
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