Sempre molto puntuale e profondo Matthew Schmitz, senior editor per First Thing. In questo articolo, partendo dal voto irlandese sull’aborto, allarga la sua riflessione alla democrazia, mettendo in evidenza i casi in cui essa assume uno spirito tirannico.
Eccola nella mia traduzione.

L’Irlanda è diventata la prima nazione a utilizzare il voto popolare per privare il nascituro del diritto alla vita. Il fatto che questo episodio tende a colpirci favorevolmente, è un segno di quanto il culto del proceduralismo sia andato lontano. Chiunque dubiti che viviamo in un’epoca di idolatria democratica deve solo osservare con quanta facilità accettiamo la morte di innocenti quando viene sancita da un’adeguata procedura elettorale.
Naturalmente, tendiamo a onorare la democrazia più in teoria che in pratica. Molto spesso, respingiamo o ignoriamo i verdetti democratici in nome di una serie di “valori” democratici più elevati e puri. Nessuna corte d’appello è superiore alle urne, per quanto concepite astrattamente.
Un democratico ammirevolmente coerente è Brendan O’Neill, che ha applaudito il referendum irlandese come una grande vittoria per il suo amato sistema: “Mi riempie di orgoglio irlandese il fatto che gli irlandesi abbiano votato in numero sconcertante per il diritto delle donne a porre fine alle gravidanze indesiderate“. Ha rimproverato quei credenti tiepidi che “sostengono la democrazia, non in linea di principio, ma solo se essa dà loro ciò che vogliono“. Tali Laodicei “dovrebbero cercare di credere nella democrazia veramente e a tempo pieno“.
E’ un po’ come dire che si dovrebbe credere nei martelli a tempo pieno, che siano usati per costruire la propria casa o per demolirla. Perché, in definitiva, la democrazia – come qualsiasi sistema politico – è semplicemente uno strumento, il cui valore morale non può essere giudicato indipendentemente dall’uso che se ne fa. Assegnarle il valore ultimo, come se fosse un fine in sé, è la definizione stessa di idolatria, un atto assurdo come inchinarsi davanti ad una pietra o ad legno muti.
Nessuno lo sapeva meglio di Papa Giovanni Paolo II, che nel 1995 pubblicò l’Evangelium Vitae, un emozionante avvertimento contro il culto del proceduralismo. “La democrazia non può essere idolatrata al punto da renderla un sostituto della morale o una panacea dell’immoralità”, scriveva Giovanni Paolo II. “Fondamentalmente, la democrazia è un sistema e come tale è un mezzo e non un fine. Il suo valore morale non è automatico, ma dipende dalla conformità alla legge morale“.
Leggendo il documento dopo il voto dell’Irlanda, si ha un incredibile senso di una profezia compiuta. Giovanni Paolo II ha messo in guardia i cattolici dall’autocompiacimento quando “il diritto originario e inalienabile alla vita è messo in discussione o negato sulla base di un voto parlamentare o della volontà di una parte della popolazione – anche se è la maggioranza“. In questi casi, “si mantiene l’apparenza del più rigoroso rispetto della legalità“, ma la legge morale fondamentale viene calpestata. Ogni volta che questo accade, “la democrazia, contraddicendo i propri principi, si muove di fatto verso una forma di totalitarismo“. Giovanni Paolo II, che conosceva in prima persona il totalitarismo, non usò questo linguaggio con leggerezza.
Ma l’argomento dell’Evangelium Vitae non è semplicemente che la democrazia, come qualsiasi altro sistema politico, è in grado di produrre risultati malvagi. Giovanni Paolo II credeva che ci fosse un particolare pericolo negli accordi economici e politici di oggi. Valorizzando l’efficienza, il capitalismo ci tenta di considerare alcune vite come “inutili“. Quando si eleva il culto di una superficiale legalità procedurale senza far riferimento ai fini ultimi, la democrazia incoraggia l’indifferenza verso i fini ultimi. Quando emerge un culto di superficiale legalità procedurale senza riferimento alla legge morale fondamentale, si prepara il terreno per una “guerra dei potenti contro i deboli“.
Giovanni Paolo II viene talvolta raffigurato come un semplice volano del liberalismo economico e politico, ma nell’Evangelium Vitae si è dimostrato uno dei suoi critici più astuti. Egli ha identificato una “vera e propria struttura del peccato” con “potenti correnti culturali, economiche e politiche” che lavorano tutte di concerto a beneficio dei forti ma a scapito dei deboli.
Questo è esattamente ciò che è accaduto in Irlanda. Una nazione abbagliata dal successo economico e desiderosa di dimostrare la sua moderna, democratica bona fides ha votato a stragrande maggioranza per spogliare il nascituro del diritto alla vita. Il risultato sarà l’estinzione silenziosa di coloro che sono affetti dalla sindrome di Down, un male già ben avviato nel resto d’Europa.
Nell’omelia della festa dell’Assunzione alla Giornata Mondiale della Gioventù di Denver del 1993, Giovanni Paolo II ha descritto il significato spirituale ultimo della guerra ai deboli con termini tratti dall’Apocalisse. Da un lato c’è una donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi, e una corona di 12 stelle. Dall’altro lato si erge un drago, che cerca di distruggere “il Bambino, simbolo di una nuova vita“.
Sulla scia del voto fatale dell’Irlanda, dobbiamo essere pronti a seguire Giovanni Paolo II nel sfidare le forze economiche e politiche che sostengono la cultura della morte. Il capitalismo e la democrazia, ai fini di tutti i loro vantaggi, ci spingono a fare dell’efficienza e della procedura degli idoli, portando così al disprezzo per l’improduttività e l’indifferenza verso i fini ultimi. Quando ciò accade, lo spirito del capitalismo democratico si rivela satanico.
fonte: Catholic Herald
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