confusione di linguaggio

 

 

di Massimo Lapponi

 

Credis hoc?
Pisteuesis touto (neutro)?
(Gv 11, 26)

Recentemente l’amico Alberto Castaldini ha pubblicato, nella rivista “Studia Universitatis Babes Bolyai – Theologia Catholica”, una recensione, a mio giudizio molto puntuale, del mio saggio teologico “Per una teologia rinnovata” (Edizioni Sant’Antonio, 2018) – questo è il link del pdf della rivista; la recensione si trova a p. 187.

Rileggendo il testo del saggio a distanza di quasi due anni dalla sua redazione, mi ha molto colpito in particolare una pagina, che mi appare, oggi, di singolare attualità. Mi permetto, perciò di riportarla qui di seguito senza alcun a modifica.

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Il quadro del moderno – o piuttosto “antimoderno” – naturalismo si complica con l’affiancarsi ad esso di una mentalità filosofica che, ispirandosi a Søren Kierkegaard (1813-1855), si è poi diffusa soprattutto ad opera Martin Heidegger (1889-1976) ed ha riscosso un successo sempre crescente, fino ad acquisire, ai nostri giorni, una diffusione, si potrebbe dire, “planetaria”.

Di fatto questa mentalità, che potremmo definire “anti-intellettualista”, si è sviluppata su un elementare equivoco linguistico, che sostanzialmente risale a Kierkegaard.

Tutto si gioca sui termini “soggetto” e “oggetto”, e sui loro derivati “soggettivo” e “oggettivo”.
Se diciamo: “L’uomo conosce Dio”, ovviamente “l’uomo” è soggetto e “Dio” è complemento oggetto. In forma abbreviata diciamo che l’uomo è soggetto e Dio è oggetto. Ma la parola “oggetto” indica anche un “oggetto materiale”, una “cosa”. Dunque il pensiero, la conoscenza concettuale rende ogni realtà, in quanto conosciuta, “oggetto”, cioè “cosa”. Da qui è nato il neologismo “cosificare”, che rispecchia il termine, già usato da Marx in un altro contesto, “reificare”.

Secondo questo ragionamento è un abuso del pensiero concettuale “oggettivare” ciò che è “inoggettivabile”, pretendere di conoscere con il pensiero ciò che è essenzialmente “soggetto” e non può mai essere un “oggetto”.
Dunque, tutta la tradizione filosofica occidentale, che ha preteso di “oggettivare”, attraverso la conoscenza concettuale, Dio, l’uomo, la natura, va condannata come responsabile della reificazione di ogni cosa, e quindi della manipolazione, attraverso uno sviluppo tecnico sempre crescente, del mondo naturale, umano e divino. In breve, delle più grandi catastrofi della storia, e in particolare della storia recente, è responsabile, in radice, tutto il pensiero filosofico e metafisico occidentale.

Già il poeta tardo-romantico Giovanni Prati (1815-1884) aveva denunciato «il tarlo del pensiero», dal quale esortava a «salvare le membra». Ora questa mentalità filosofica, tendendo in qualche modo la mano all’ambientalismo, invita a voltare le spalle non solo al mondo artificiale creato dalla tecnica, ma anche al pensiero concettuale, proprio della tradizione filosofica occidentale, e a seguire i sentieri ineffabili dell’intuizione soggettiva e della poesia(1).
Ma se consideriamo con un minimo di attenzione il ragionamento su cui si basa tutta questa impalcatura filosofica, che ha avuto tanta sciagurata fortuna, vediamo che esso è privo di qualsiasi consistenza.

Infatti le parole “oggetto”, “soggetto”, “oggettivo e “soggettivo” hanno diversi significati, che sono tra loro equivoci – indicano, cioè, realtà totalmente diverse. Come la parola “credenza” indica sia una convinzione della mente, sia un mobile, e le due realtà non hanno nulla in comune – e perciò diciamo che si tratta di due significati equivoci – così le parole “soggetto” e “oggetto” possono avere un significato di relazione grammaticale e un significato sostanziale, significati che tra loro sono equivoci.

In quanto indica una relazione grammaticale, il “soggetto” è l’ente – reale o astratto – che compie l’azione indicata dal verbo. Se il verbo è transitivo, il suo “oggetto” non è altro che il “complemento oggetto”, cioè l’ente – personale o non personale, reale o astratto – in cui termina l’azione compiuta dal “soggetto”.

In quanto termini sostanziali, invece, il “soggetto” indica un essere spirituale, cioè una persona – ad esempio un uomo, una donna, un angelo, Dio – e l’“oggetto” indica un essere non personale, un oggetto materiale, una cosa.
Ma per il fatto di essere soggetto grammaticale un ente non diventa necessariamente un “soggetto”, una “persona”, e per il fatto di essere oggetto grammaticale un ente non diventa automaticamente un “oggetto materiale”! Solo una confusione illecita tra significati equivoci può compiere questa equazione illogica!

Se io conosco, amo, adoro Dio, certamente Dio è complemento oggetto, ma non per questo diventa un oggetto materiale! Egli è “oggetto” della mia conoscenza, del mio amore, della mia adorazione in quanto “soggetto spirituale”, in quanto persona. Come tale io lo conosco, lo amo e lo adoro. Analogamente, se conosco e amo una donna, o se conosco e amo la natura, la donna o la natura sono “oggetti” del mio amore, ma non per questo li spersonalizzo o li considero materia bruta da manipolare! Essi sono oggetto della mia conoscenza “oggettiva” – come appunto si dice, non per indicare una fantomatica “oggettivazione dell’inoggettivabile”, ma per indicare, al contrario, una conoscenza che non falsifica la realtà, ma che, tutto all’opposto, la rende presente alla coscienza così come essa è. E il termine “soggettivo”, in un contesto analogo, non indica un’esperienza veritiera perché personalizzata, bensì, al contrario, una conoscenza che non raggiunge il proprio oggetto, ma si chiude nelle sensazioni e nei pregiudizi del conoscente.

(1) In questa prospettiva, secondo molti teologi, il cui corifeo è Karl Rahner (1904-1984), Dio è una sorta di “a priori” kantiano che può essere soltanto intuito come presupposto del nostro pensiero e tuttavia mai diventare “oggetto” di esso, perché altrimenti non sarebbe più “soggetto”, ma verrebbe “cosificato”.

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