Le ingiustizie come l’aborto rimangono tali e non possono essere rese giuste, a prescindere dal consenso politico o sociale.
Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da John M. Grondelski e pubblicato su Catholic World Report. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Rilancio solo la parte che potrebbe interessare di più noi italiani. Ecco l’articolo nella mia traduzione.

di John M. Grondelski
(…)
Voglio concentrarmi sulla risposta morale dei cattolici alla situazione.
Mi sembra che l’argomento implicito sia che, poiché l’aborto è stato legalizzato politicamente e sembra godere di un certo consenso politico, i cattolici dovrebbero “andare avanti”. Sì, potrebbero occasionalmente lamentarsi della distruzione dei non nati (mormorato velocemente in mezzo a una litania di altre cose meravigliose che anche i pro-abortisti sostengono e che possono essere usate per dare loro credenziali “pro-vita”, specialmente con un abito di vita cucito). Ma dovremmo semplicemente “superare” la fissazione sull’aborto.
No.
Per coloro che professano fedeltà e pretendono di difendere il Vaticano II, il Concilio è piuttosto chiaro: l’aborto è un “crimine indicibile” (Gaudium et spes, 51). È un linguaggio piuttosto forte, che suggerisce che i Padri conciliari non pensavano che l’aborto fosse solo un’altra malattia sociale che, insieme al cambiamento climatico e al riciclaggio (nessuno dei quali è menzionato dal Concilio), merita l’attenzione cattolica. Il Concilio (Gaudium et spes, 27) pone addirittura l’aborto tra il “genocidio” e l'”eutanasia” come “infamie”, in cima a una lista i cui crimini più in basso includono la tratta di esseri umani.
Quindi, un cattolico dovrebbe dire “beh, un voto democratico ha deciso che l’aborto (e l’eutanasia) non sono crimini e sono eminentemente dicibili, quindi andiamo avanti”?
No.
Mi sembra che un cattolico abbia un duplice obbligo, anche di fronte alla “promulgazione democratica” di crimini indicibili:
Primo, ha l’obbligo di cambiare quella legge, perché l’ingiustizia non si trasforma con la magica alchimia di un voto maggioritario. L’ingiustizia rimane ingiustizia e non può essere resa giusta, a prescindere dal consenso politico o sociale. Il cattolico che è “sale della terra e luce del mondo” (Mt 5, 13-14) è chiamato a schierarsi efficacemente (cioè, più che verbalmente) in difesa della vita innocente, forse soprattutto quando l’ordine politico è infettato da una cultura di morte. Questa è la testimonianza profetica del cattolico, che Vincenzo Paglia spesso trascura nei suoi calcoli puramente politici (e generalmente sbagliati).
In secondo luogo, egli ha l’obbligo di sfidare quell’ordine politico per spiegare la sua intrinseca autocontraddizione in cui si è messo. Ogni ordine politico legittimo serve il bene comune. Non c’è bene comune più fondamentale della vita e non c’è funzione più fondamentale di una società che proteggere la vita. Non si tratta di un’affermazione esclusivamente cattolica o addirittura settaria: Thomas Hobbes, John Locke e Thomas Jefferson l’hanno affermata come base fondamentale su cui una società può rivendicare la propria fedeltà. Quindi, una società che viene meno a questo dovere è in autocontraddizione. Questa autocontraddizione non si risolve facendo appello alle maggioranze parlamentari perché, come ha notato Benedetto XVI (nei discorsi al Bundestag e ai Parlamenti europei), un ordine veramente democratico riconosce che i diritti umani fondamentali sono off-limits persino alle decisioni maggioritarie (lo stesso concetto che Jefferson riconosceva parlando di “diritti inalienabili”).
Lungi quindi dal ritirarsi dal campo sulle questioni di tutela della vita con la scusa che la sua distruzione è stata ratificata democraticamente, un vero cattolico riconosce la necessità di mantenere tale questione perennemente all’ordine del giorno, sfidando la società in ogni occasione ad adempiere al suo obbligo fondamentale nei confronti della vita.
La politica è raramente un campo statico: i contesti politici sono quasi sempre fluidi. Ci possono essere forze politiche che vogliono far credere che una questione sia “risolta”, ma raramente è così. Se seguissimo questo criterio, tutte le élite e le classi pensanti affermerebbero che la Roe (la sentenza giudiziaria che ha reso libero l’aborto negli USA, ndr)è stata risolta e che dovremmo “andare avanti” (una posizione non dissimile da quella di alcuni “cattolici liberali” americani che hanno sempre avuto un’avversione per la vera politica a favore della vita). I cattolici ordinari e quotidiani degli Stati Uniti si sono rifiutati di accettare questa posizione, scrivendo, presentando petizioni, votando e marciando per la vita ogni inverno. 49 anni dopo, la Roe ha trovato il suo posto, accanto a Dred Scott e Plessy, nel cestino degli errori giudiziari costituzionali.
Una cosa è certa: se non protestiamo, la morte prevarrà, perché i non nati non votano e la folla dell’eutanasia fa rumore. Noi cattolici dobbiamo mantenere l’agenda della vita nell’agenda politica.
Abbiamo bisogno di chiarezza su questo punto perché, sulla scia di Dobbs e degli sforzi referendari per scrivere l’aborto in varie costituzioni statali, è probabile che venga usato dalla Catholic Lite (i cattolici poco interessati ai principi non negoziabili, ndr) per giustificare la mancata testimonianza cattolica e la reale pressione politica contro tali risultati. Cercando di creare un Mario Cuomo 2.0, l’argomentazione probabile sarà che il “giudizio politico” del “bene comune” ci suggerisce di “andare avanti” (il che, in modo così conveniente, rimette gran parte dei Catholic Lite nelle grazie dei politici con i quali la difesa cattolica del diritto alla vita è l’unica scomoda spina nel fianco).
Mantenere questa pressione richiede di affrontare una questione che i pro-abortisti vogliono a tutti i costi tenere fuori dall’agenda e che alcuni politici pro-life eviterebbero volentieri: quando inizia la vita? Una società il cui dovere fondamentale è proteggere la vita non può fingere agnosticismo su questa domanda, il cui fondamento scientifico (sottolineo scientifico, perché una parte non piccola della Catholic Lite vorrebbe fingere che sia solo filosofico) rimane immutato, sia che venga contraddetto da un ukase giudiziario o da una maggioranza legislativa democratica.
Dobbs ha riaperto l’aborto come questione politica, non nel senso che l’uccisione è giusta o sbagliata a seconda di chi ottiene il 50+% dei voti, ma nel senso che i tribunali non limitano più artificialmente la possibilità di proteggere la vita attraverso l’affermazione di un diritto surrogato. Non dovremmo sbagliare a credere che lo status politico dell’aborto sia una mera decisione politica; si tratta, prima di tutto, di un dovere morale che arriva alla giustificazione fondamentale di qualsiasi società, ma soprattutto di una che pretende di essere giusta.
Se l’Evangelium vitae (n. 73) ammette che un legislatore pro-life voti per una legge imperfetta piuttosto che per una legge del tutto permissiva, non si deve trascurare il punto che la frase chiarisce: “quando non è possibile rovesciare o abrogare completamente una legge pro-aborto”. Non si tratta di un criterio statico, congelato nel tempo, ma dinamico, e spetta ai cattolici mantenere la situazione sempre fluida fino a quando la legge non potrà finalmente fare il “possibile” e adempiere al suo compito più elementare: che gli esseri umani siano accolti in modo completo nella vita e protetti nella legge, soprattutto da “crimini indicibili”.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. Sono ben accolti la discussione qualificata e il dibattito amichevole.
Sostieni il Blog di Sabino Paciolla
Scrivi un commento