di Mattia Spanò
Capire la Chiesa non è mai stato facile. Un’istituzione bimillenaria che ambisce ad unificare la dimensione verticale a quella orizzontale secondo categorie sghembe – spirito e corpo, tempo ed eternità, legge e libero arbitrio, dolore e letizia, fede e ragione, per fare qualche esempio – espone se stessa e i suoi figli ad un numero incalcolabile di rischi ed anche, a onor del vero, a brillantissimi conseguimenti benefici per tutti. Ma pretendere di capirla rigettandola o riducendola alla mera espressione umana e materiale, dunque giudicandola secondo quest’unico criterio, è impossibile e radicalmente ingiusto. Un po’ come pesare l’acqua in metri, o venire al mondo uomini e pretendere di essere dei cavolfiori perché ci si sente tali.
Lo scandalo che investe Joseph Ratzinger ha il retrogusto agro della Psyop, in gergo militare le tecniche di guerra mentale, non meno incisive di quelle materiali come addestramento, equipaggiamento, strategia. Viene il sospetto, non del tutto infondato vista la qualità della stampa, che l’intera vicenda serva a mascherare altre magagne.
Scrive La Stampa: “Joseph Ratzinger non avrebbe agito in modo corretto di fronte a quattro casi di pedofilia del clero quando era arcivescovo di Monaco e Frisinga”. Secondo lo stesso giornale Ratzinger commise errori in quattro casi su 497 presunte vittime e 182 abusatori in un periodo che va dal 1945 al 2019. Di questi il 60% aveva fra gli 8 e i 14 anni. Ovvero nell’1% dei casi esaminati in modo collegiale, Joseph Ratzinger avrebbe commesso errori procedurali. Un po’ vaporosa, come accusa.
E infatti il Messaggero rinforza riesumando la vicenda Legionari di Cristo e padre Maciel Degollado, fondatore e violentatore seriale di bambini e ragazzi. “Ratzinger sapeva”, che nella lingua di balsa significa era d’accordo, ha coperto. Non importa che lo stesso Ratzinger abbia definito Maciel “un falso profeta”, “al di là di ciò che è morale: un’esistenza avventurosa, sprecata, distorta”, e in un comunicato ufficiale abbia scritto: “I gravissimi e obiettivamente immorali comportamenti di P. Maciel, confermati da testimonianze incontrovertibili, si configurano, talora, in veri delitti e manifestano una vita priva di scrupoli e di autentico sentimento religioso”. Né che abbia preso provvedimenti contro la pedofilia nel clero come nessun papa prima di lui, e certo nessuno dopo, almeno sinora. Siccome Maciel muore nel 2008 e lo stigma papale giunge postumo, hanno gioco facile i detrattori. Che il processo sia andato avanti nonostante la dipartita del colpevole, collocando la sentenza in una dimensione di giustizia storica, è un gesto di grande prospettiva su cui però nessun commentatore si sofferma.
Ci sono tre dichiarazioni di chierici che meritano attenzione, aiutando forse a far luce sul sostrato tellurico della vicenda.
Andiamo in ordine gerarchico. Nello stile obliquo che gli è familiare – non cita il predecessore, ma alla luce degli eventi è difficile interpretarla come un’affermazione generica – papa Francesco durante l’udienza del 21 gennaio ha dichiarato: “La Chiesa, con l’aiuto di Dio, sta portando avanti con ferma decisione l’impegno di rendere giustizia alle vittime degli abusi operati dai suoi membri, applicando con particolare attenzione e rigore la legislazione canonica prevista”. Lo stesso papa che qualche settimana fa, riguardo al Rapporto Sauvé sulla pedofilia nel clero francese, dichiarava: “Quando si fanno questi studi, dobbiamo stare attenti alle interpretazioni. Quando si considera un tempo così lungo, si rischia di confondere il modo di sentire di un problema. Una situazione storica va interpretata con ermeneutica dell’epoca, non di ora”. Ne abbiamo scritto qui. Si potrebbe concludere a buon diritto che l’ermeneutica che vale in Francia, non vale in Germania. Ergo l’ermeneutica non sarebbe soltanto di tempo, ma anche di spazio.
La seconda è quella del cardinal Jean-Claude Hollerich, presidente della Commissione delle Conferenze Episcopali Europee: “Bisogna cambiare il nostro modo di vedere la sessualità. Finora abbiamo una visione piuttosto repressa della sessualità. Ovviamente, non si tratta di dire alle persone che possono fare qualsiasi cosa o di abolire la moralità, ma credo che dobbiamo dire che la sessualità è un dono di Dio. Quanto ai sacerdoti omosessuali, e ce ne sono molti, sarebbe bene che ne parlassero con il loro vescovo senza che quest’ultimo li condanni”.
Con tempismo pressoché sincrono, dalla Germania arriva la notizia di 100 collaboratori – o 125, secondo altre fonti – e dipendenti della Chiesa Cattolica tedesca, tutti gay, lesbiche o trans, tra i quali anche qualche prete, che fanno coming out alla televisione di Stato. Una domanda da rivolgere al cardinal Hollerich: se nella Chiesa è dominante una visione repressa dei doni di Dio e l’uomo non è opportuno condanni nessuno, in che senso la moralità in ambito sessuale andrebbe mantenuta? Per farci cosa? E perché mai, non sussistendo il rischio di condanna né di assoluzione, un sacerdote dovrebbe parlare con il suo vescovo circa aspetti della propria vita tutto sommato ingiudicabili?
La terza, di Mons. Massimo Camisasca, Vescovo emerito di Reggio Emilia, commenta la vicenda Ratzinger con queste parole: “L’unica ragione mi sembra l’insofferenza dei settori liberal della Chiesa e della società, coloro che si rispecchiano nelle derive del sinodo tedesco. Coloro che non hanno mai accettato il pontificato di Benedetto XVI”. Ancora la Germania.
Al di là della cortina fumogena sugli abusi – esecrabili, gravissimi, da debellare senza remora alcuna – sempre più evanescente, dal momento che si additano presunte inottemperanze procedurali in disposizioni che hanno 40 anni, è plausibile che il problema sia politico. Il cardinal Woelki, di Colonia, aveva già criticato duramente il Sinodo tedesco – ne abbiamo parlato qui – e tempo dopo è stato sospeso da papa Francesco proprio per via degli abusi consumati nella sua diocesi. Mentre è in corso il Sinodo sulla sinodalità è imminente anche l’ultima delle assemblee sinodali del Sinodo tedesco. Lo scandalo Ratzinger, allora, con accuse provenienti dalla Germania puntualmente rilanciate, potrebbe essere un secondo avvertimento ben più rumoroso dopo lo scandalo Woelki: si colpiscono due alfieri della posizione cosiddetta conservatrice.
Ponendo per assurdo che i “conservatori” vengano definitivamente spazzati via dalla faccia della Chiesa, se la piena accettazione della sessualità umana in tutte le sue espressioni e varianti si affermasse come unica opzione dottrinale, resta da chiarire un punto focale di non scarsa densità: gli abusi su minori resterebbero tali? O si pensa che per incanto, eliminati gli avversari ideologici (i conservatori) e politici (il primato romano, una sorta di ossessione teutonica sin da Lutero e forse Carlo Magno), gli abusi cessino?
1517, 1527 etc. etc.
ex germania procella
non è la Stampa ma un rapporto tedesco a parlare di un caso scabroso per Joseph
e se ci sarà uno scandalo non saranno uno spanò o un paciolla qualsiasi, simpatici ma mediterranei, a salvare Ratzinger dalla riprovazione teutonica
Egregio Panciroli, eattamente quanti esecuzioni o pene detentive ha comminato la “riprovazione teutonica”? Olocausto a parte, s’intende. Mi pare che il senso generale del pezzo le sfugga. Grazie dei mediterranei. Non dovrei, perché è un dato biografico non dipeso dalla volontà di nessuno dei due, ma grazie lo stesso.
Nel 1517 furono le indulgenze oggi potrebbe essere la pedofila il motivo dello scandalo ma l’esito sarebbe comunque il medesimo: meno denaro tedesco alla chiesa cattolica
In questo le do ragione. Non sono d’accordo sul fatto di assumere il denaro come unico criterio – propendo per il potere, se proprio devo, ma anche qui a forte rischio di gettare il bambino con l’acqua sporca. Fra l’altro, non mi pare che “togliere” il denaro alla Chiesa Cattolica per metterlo in altre tasche abbia prodotto miglioramenti. La storia del Protestantesimo è costellata di disgrazie non meno numerose e significative, solo in un quarto del tempo.