di Roberto Allieri
“Questa è un po’ grossa (leggi qui) e anche questa (leggi qui) e quest’altra ancora (leggi qui)”, come direbbe un personaggio di Wodehouse per manifestare la sua perplessità su situazioni ‘oltre il limite’.
Cultura woke, gender fluid, femminista: ormai non sanno più cosa rivendicare. Non bastano più leggi antidiscriminatorie che discriminano e l’indottrinamento selvaggio nelle scuole, nelle istituzioni pubbliche e nei mass-media. Non bastano neanche le ossessive e vibranti denunce a senso unico in materia di violenza di genere e femminicidio, tanto tempestive negli aggiornamenti dei contatori quando le vittime sono donne quanto agnostiche se non negazioniste sulla rilevanza di casi opposti, in cui le vittime sono di sesso maschile. Pur condannando e non volendo minimamente disconoscere i cosiddetti ‘femminicidi’, occorre però denunciare un atteggiamento fazioso. Infatti, per quei casi in cui un maschio viene ucciso da una donna non si inquadra mai il fatto in un così non detto ‘maschicidio’: non c’è correlazione, queste sono vittime invisibili per chi guarda la realtà con gli occhiali del conformismo femminista. Sono desaparecidos per l’informazione, esclusi da qualunque coro di indignazione e condanna. Leggere, per credere, la carrellata di notizie nei seguenti articoli, qui, qui e qui.
Le nuove frontiere della cultura woke contro il sessismo prevedono ora lo stravolgimento della lingua scritta e parlata (con asterischi e schwa a profusione e censure di testi, in ossequio ad un presunto egualitarismo) e il disconoscimento di ogni merito riconducibile specificamente alla virilità, da considerare sempre tossica. Al punto che, in Australia, si è persino arrivati in certe scuole (leggi qui) ad imporre a studenti maschi, in quanto potenziali stupratori, forme di ammenda per stupri commessi in passato da altri uomini.
Tutto ciò che non si allinea all’esaltazione femminista viene bollato furiosamente come apologia del patriarcato, considerato oppressivo, discriminatorio, umiliante e lesivo di dignità. Una forma di fascismo, insomma.
Ma se si spazza via il patriarcato vuol dire che si vuole sostituirlo con il matriarcato (e questo è un obiettivo neanche tanto nascosto della cultura ‘woke’) cioè con un ruolo preminente femminile, di guida e decisionale. Del resto, le opzioni sono due, come i sessi; non c’è una terza via. L’opzione neutra e paritaria è una finzione, un pretesto funzionale solo come tappa di un percorso che ha un esito, di carattere rivoluzionario, già ben definito.
Ci si potrebbe allora chiedere: perché il matriarcato, con le stesse caratteristiche rovesciate del patriarcato e con aspetti di sudditanza dell’uomo alla donna, come sta affermandosi, dovrebbe essere migliore e indenne da critiche? Cos’è che rende più desiderabile per una società la sottomissione del maschio senza alcuna possibilità di appello o critica, magari sotto il manto di un egualitarismo di facciata?
Il motivo è insito nella dinamica che alimenta all’infinito le spinte rivoluzionarie e progressiste: cambiare, distruggere, ribaltare. E quando si finisce di distruggere qualcosa, ri-distruggere ancora quello che è stato messo al suo posto. ‘Tutto ciò che esiste, merita di perire’, dicevano Marx ed Engels, riecheggiando le stesse parole di Mefistofele nel Faust di Goethe. Ecco, il programma della rivoluzione antropologica è tutto qui. Ed è riflesso di una guerra che, trascendendo il mondo fisico, si gioca su un piano metafisico, contro il Logos che è ordine, giustizia, bellezza, verità, etc. Ma questo è un discorso che porterebbe troppo in là.
Così, quando si arriverà al perfetto predominio rosa occorrerà spazzarlo via e pensare a promuovere nuove egemonie che ormai sono all’orizzonte: animalismo, superiorità di Intelligenze Artificiali o altro.
È difficile disconoscere che già oggi, al di là di un’ipocrita promozione di pari opportunità (con sfrenata assegnazione di vantaggi a senso unico), prevale nei mass media e nelle istituzioni una ideologia improntata ad una sorta di suprematismo rosa. Quando nei giornali e in ogni ambito pubblico culturale c’è un confronto di comportamenti tra donne e uomini non si manca mai di mettere in risalto la superiorità delle prime e magari gli aspetti più deleteri, negativi e tossici riconducibili al maschio. La donna è sempre presentata come vincente e migliore; all’uomo non è mai riconosciuto alcun tipo di superiorità, se non in negativo o per atteggiamenti deteriori. È così che funziona la pari dignità?
Questo suprematismo si alimenta con il monopolio del diritto alla permalosità o all’indignazione che diventa pretesto per intimidazioni e pesanti sanzioni. In verità, dovrebbe parlarsi di duopolio per questo privilegio esclusivo: esiste infatti un’altra casta protetta che mi guardo bene dal nominare perché non voglio passare per omofobo.
In una società dove il nostro primo ministro è donna, come pure la principale oppositrice politica e così anche, in ambito europeo, il presidente dell’Unione Europea e della Banca Centrale Europea e nella quale sussiste una netta predominanza femminile in vasti settori impiegatizi (banche, Tribunali, uffici pubblici, scuole, etc.) si cercano implacabilmente situazioni in cui le donne sono in minoranza, additandole come intollerabili. Mai però avvengono denunce all’opposto quando ci sono privilegi di posizione a favore delle donne. Magari dovuti a vantaggi e sfruttamenti sleali collegati al gap estetico, troppo spesso premiante al di là dei meriti oggettivi. Si sa che un petto florido o due belle gambe aiutano non poco in moltissime professioni…
Il vittimismo ‘chiagni e fotti’ oggi premia con privilegi legali a pioggia, sovvenzioni e corsie preferenziali diverse categorie (non solo le donne) che sgomitano per accreditarsi come svantaggiate. Ed è di palmare evidenza che mentre una donna offesa trova cento spalle su cui piangere, un uomo umiliato da una donna invece non trova nessuno disposto ad aiutarlo. Anzi, se non vuole aggiungere al danno lo sberleffo e lo sfottò, è meglio che stia zitto e rassegnato.
Quello che frega l’uomo è che non rientra nei suoi parametri di dignità virile il piagnucolare. Piuttosto che vittimizzarsi e commiserarsi è meglio ridursi a vivere da barboni sotto i ponti. Tolto tutto, l’ultima libertà che rimane è quella del naufragio voluttuoso e consapevole. E infatti in quelle situazioni di degrado assoluto forse, a mio avviso, otto decimi sono persone di sesso maschile. Eppure, ecco una lettura faziosa del fenomeno se si hanno le lenti del ‘politicamente corretto’:
Insomma, qui si insinua che gli uomini sono privilegiati perché ottengono più posti nei ricoveri dei barboni, violando una distribuzione più equa. Trovano il modo di colpevolizzarli anche quando sono ridotti sul lastrico. Secondo qualcuno bisognerebbe invece tenere posti letto in egual misura per entrambi i sessi. Con il risultato che poi una bella quota di uomini rimarrebbero fuori dai dormitori e in compenso molti posti letto assegnati alle donne resterebbero liberi.
Per correttezza, occorre d’altro canto riconoscere che l’umiliazione femminile trova massima esplosione nel mondo della prostituzione. Se le donne più oltraggiate non dormono sotto i ponti o nei ricoveri è perché spesso trovano squallidi alloggi in camere dove si consuma lo sfruttamento del proprio corpo; in pratiche che sono la parodia della libertà e dell’auto-determinazione (il corpo è mio e lo gestisco io!).
Forse che anche qui la soluzione alla discriminazione sarebbe incrementare le opportunità di prostituzione per il mondo maschile, in un’ottica di sua promozione paritaria del degrado?
A Nando svejjete!
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